CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2018, n. 14135
Rapporto di lavoro – Cessione del ramo d’azienda – Illegittimità – Spettanze retributive
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l’opposizione di Telecom Italia s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo che aveva condannato la società al pagamento a M. S. delle spettanze retributive per il per il periodo da ottobre a novembre 2011. Tale pagamento era dovuto ad avviso della Corte in quanto con sentenza del 22.12.2009 il Tribunale di Roma aveva disposto il ripristino del rapporto di lavoro con Telecom a seguito dell’illegittimità della cessione da Telecom S.p.A a ITS Servizi Marittimi e Satellitari S.p.A. (oggi SIRM) del ramo d’azienda cui lo S. era addetto, ripristino cui Telecom non aveva ottemperato, sicché la somma spettava al lavoratore a titolo di risarcimento del danno, considerato che la società cessionaria aveva allontanato il lavoratore dal servizio a far data dal 7.10.2011.
2. Telecom Italia S.p.A. ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a un unico motivo;
3. M. S. ha resistito con controricorso;
4. le parti hanno depositato anche memoria ex art. 380 bis comma 2 c.p.c.;
5. il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Considerato che
1. con l’unico motivo di ricorso è prospettata la violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1223 cc, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che il risarcimento del danno non possa essere diminuito scomputando l’indennità di disoccupazione che il lavoratore ha nel frattempo conseguito.
2. Il motivo non è fondato in quanto, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento del danno per mancata costituzione del rapporto di lavoro le somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure sostitutive del reddito in favore del lavoratore, la cui eventuale non debenza dà luogo ad un indebito previdenziale ripetibile, nei limiti di legge, dall’Istituto previdenziale (cfr. Cass. n. 9724 del 18/4/2017, Cass. n. 7794 del 27/03/2017 e giurisprudenza ivi richiamata).
Le argomentazioni dell’odierna ricorrente ripropongono questioni già esaminate e disattese dai precedenti giurisprudenziali ai quali, pertanto, va data continuità.
Sulla base dell’ultima considerazione formulata negli arresti citati e sopra riportata non appare neppure necessario attendere il pronunciamento delle Sezioni Unite sollecitato dalla Sezione III di questa Corte di Cassazione nelle ordinanze interlocutorie rese all’esito dell’udienza del 12.1.2017, che, pur ponendo in generale la questione della compensatio lucri cum damno, attengono a fattispecie concrete diverse rispetto a quella che qui viene in esame.
3. Per tali motivi, condividendo il Collegio la proposta del relatore, il ricorso, manifestamente infondato, va rigettato con ordinanza in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, comma 1, n. 5, cod. proc. civ..
4. La regolamentazione delle spese processuali in favore del controricorrente, liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza.
5. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell’Inps, che liquida in € 2.000,00 per compensi, oltre ad € 200,00 per esborsi, rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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