CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 giugno 2021, n. 15214
Tributi – Accertamento – Termini di decadenza – Comportamento delittuoso – Obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria – Raddoppio dei termini di accertamento – Applicazione automatica in presenza di una speciale condizione obiettiva
Rilevato che
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accolse l’appello proposto dalla società A.O.S. & C. s.a.s. e dai soci S.O. e P.A.B. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano che aveva rigettato il ricorso dagli stessi proposto.
2. Il giudice di appello evidenziò che: a) con avviso di accertamento, integrativo di precedente accertamento, anch’esso relativo all’anno 2004, l’Agenzia delle entrate aveva accertato, ai sensi dell’art. 39, secondo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973, maggior volume della produzione, maggior reddito d’impresa e maggior imponibile I.V.A., essendo emerso all’esito della verifica svolta nei confronti della S.C. di F.L. l’emissione nei riguardi della A.O.S. & C. s.a.s. di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti; b) con distinti avvisi di accertamento aveva accertato maggiori imposte (Irpef) nei confronti dei soci per effetto dell’accertamento nei confronti della società; c) la società ed i soci avevano impugnato gli avvisi e la C.T.P. aveva rigettato i ricorsi; d) i soccombenti avevano appellato la sentenza di primo grado, deducendo, per quello che in questa sede rileva, la decadenza dell’Ufficio dal potere di accertamento e la violazione dell’art. 43, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973.
La C.T.R., accogliendo il motivo, osservò che: a) per il raddoppio del termine per l’accertamento, l’art. 43 citato ed il terzo comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 non prevedevano che il comportamento delittuoso dovesse essere vagliato in sede penale e che fosse iniziato il relativo procedimento, essendo dalle norme prevista quale unica condizione che il fatto evidenziato fosse tale da comportare l’obbligo della denuncia all’autorità giudiziaria; b) era tuttavia necessario che il termine ordinario di decadenza non fosse maturato, ma fosse ancora in corso, essendo altrimenti i contribuenti esposti alla possibilità di essere sottoposti ad accertamento anche a distanza di molti anni dalla scadenza del termine ordinario dei quattro anni dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi o dei cinque anni da quella in cui la dichiarazione era stata presentata; c) il quarto comma dell’art 43 ed il quarto comma dell’art. 57 del d.P.R. n. 633 del 1972, secondo i quali l’avviso di accertamento integrativo poteva essere notificato fino alla scadenza dei termini previsti dai commi precedenti, faceva ritenere che non fosse possibile una riapertura dei termini una volta maturati.
Ritenne, quindi, che le notificazioni degli avvisi di accertamento fossero state effettuate quando ormai l’Ufficio era decaduto dalla possibilità di accertamento, considerato che il termine ordinario per la notificazione dell’avviso di accertamento, relativo ai redditi dell’anno 2004, scadeva, ai sensi dei citati artt. 43 e 57, il 31 dicembre 2009, mentre le notificazioni degli avvisi di accertamento alla società e ai soci erano avvenute in data 14 e 16 dicembre 2010.
3. Avverso la sentenza d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con un unico motivo.
La società contribuente ed i soci resistono con controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo di ricorso articolato la difesa erariale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 43, terzo comma, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1973 (ndr art. 57, terzo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972), anche in virtù della sentenza n. 247 del 2011 della Corte Costituzionale, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
Rileva che i citati artt. 43 e 57 non lasciano adito a dubbi sul fatto che il raddoppio dei termini operi automaticamente laddove si sia in presenza di un comportamento del contribuente che comporti l’obbligo di denuncia da parte dell’Ufficio a fronte dell’astratta sussistenza di una fattispecie delittuosa come previsto dal d.lgs. n. 74 del 2000. Nel caso di specie era incontestata la sussistenza di una fattispecie delittuosa per la quale operava l’obbligo di denuncia penale, tanto che i contribuenti avevano depositato sentenza penale di assoluzione, sicché il raddoppio dei termini, essendo automatico e previsto dalla legge, riguardava anche l’azione di accertamento integrativa.
Sulla questione era intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 247 del 2011, che aveva chiarito che il raddoppio dei termini non solo è automatico, ma sostituisce il termine decadenziale precedente, sicché, qualora l’atto integrativo sia stato notificato nel nuovo termine decadenziale, esso è pienamente valido ed efficace.
2. La censura è fondata nei limiti che di seguito si espongono.
2.1. Questa Corte ha già avuto modo di affermare, sulla scorta dei principi enunciati dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 247 del 2011, che il cd. <<raddoppio dei termini di accertamento>> non configura una ipotesi di <<proroga dei termini ordinaria di accertamento. In realtà, il raddoppio attiene solo alla commisurazione del termine di accertamento ed i termini raddoppiati sono anch’essi termini fissati direttamente dalla legge, operanti automaticamente in presenza di una speciale condizione obiettiva – ossia l’obbligo di denuncia penale per i reati tributari previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, senza che all’Amministrazione finanziaria sia riservato alcun margine di discrezionalità per la loro applicazione.
In sostanza, i termini raddoppiati non si innestano su quelli <<brevi>> in base ad una scelta degli uffici tributari e non procedono secondo una <<doppia fase>>, ma sono unitari e decorrono autonomamente allorché sussistono elementi obiettivi tali da rendere obbligatoria la denuncia penale per i reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000. Per tale motivo non può parlarsi di «riapertura o proroga di termini scaduti>>, né di <<reviviscenza di poteri di accertamento ormai esauriti», perché i termini <<brevi>> e quelli raddoppiati si riferiscono a fattispecie ab origine diverse, che non interferiscono tra loro ed alle quali si connettono diversi e distinti termini di accertamento (Cass., sez. 5, 16/12/2016, n. 26037).
2.2. Con le pronunce di questa Corte n. 20043 e 9974 del 2015 si è, in particolare, spiegato che: a) il raddoppio dei termini per l’accertamento si applica anche alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore delle disposizioni in esame (4 luglio 2006), perché queste, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data di entrata in vigore del decreto-legge n. 223 del 2006, incidono necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data; b) questo effetto non deriva dalla natura retroattiva delle norme, ma dall’applicabilità ex nunc della protrazione dei termini in corso, nel rispetto del principio secondo cui, di regola, <<la legge non dispone che per l’avvenire>> (art. 11, prima parte del primo comma delle disposizioni preliminari al codice civile e art. 3, primo comma, della legge n. 212 del 2000); c) il raddoppio deriva dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale ai sensi dell’art. 331 cod. proc. civ., indipendentemente dalla presentazione della denuncia, dall’inizio dell’azione penale e dall’accertamento penale del reato, risultando dunque irrilevante che l’azione penale non sia proseguita o sia intervenuta una decisione penale di proscioglimento, di assoluzione o di condanna (Cass., sez. 5, 9/08/2016, n. 16728); e) il giudice tributario deve controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione dell’atto impositivo o di contestazione delle sanzioni, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo una valutazione ora per allora (cd. «prognosi postuma>>) circa la loro ricorrenza, accertando se l’amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni in esame al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento; f) in presenza di una contestazione sollevata dal contribuente, l’onere di provare i presupposti dell’obbligo di denuncia penale (e non dell’esistenza del reato) è a carico dell’amministrazione finanziaria (in senso conforme, tra le altre, Cass., sez. 6-5, 14/05/2018, n. 11620; Cass., sez. 5, 13/09/2018, n. 22337; Cass., sez. 5, 30/10/2018, n. 27629; Cass., sez. 5, 2/07/2020, n. 13481).
2.3. La Corte Costituzionale, con la sentenza sopra richiamata, ha pure chiarito che, operando i termini raddoppiati in presenza di violazioni tributarie per le quali vi è obbligo di denuncia, è del tutto irrilevante che detto obbligo possa insorgere anche dopo il decorso di un periodo pari a quello del termine <<breve>> o possa non essere adempiuto entro tale termine, perché ciò che rileva è solo la sussistenza dell’obbligo di denuncia.
2.4. Il raddoppio dei termini non può, tuttavia, trovare applicazione con riferimento all’Irap, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass., sez. 6-5, 14/05/2018, n. 11620; Cass., sez. 6-5, 3/05/2018, n. 10483; Cass., sez. 6-5, 11/04/2017, n. 9322).
3. La Commissione tributaria regionale, affermando che il raddoppio dei termini possa operare solo qualora il termine ordinario di decadenza non sia maturato, ma sia ancora in corso, poiché altrimenti il contribuente sarebbe esposto alla possibilità di essere sottoposto ad accertamenti anche a distanza di molti anni, non si è attenuta ai principi su esposti.
4. Il ricorso va, pertanto, accolto limitatamente alla ripresa a tassazione ai fini Irpef e I.V.A. e rigettato quanto alla ripresa ai fini Irap; la sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale, in diversa composizione, per nuovo esame, nonché per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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