CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 luglio 2020, n. 13396
Tributi – Crediti di imposta – Utilizzo in compensazione – Oltre il limite massimo – Omesso versamento
Svolgimento del processo
A seguito di controllo fiscale avente ad oggetto la verifica del rispetto della normativa in tema di uso di crediti di imposta per compensazione con altri tributi, l’Agenzia delle Entrate notificava a S. s.p.a. in liquidazione (e successivamente fallita) un atto di recupero di credito di imposta, per l’anno 2005, con il quale, accertata l’indebita utilizzazione in compensazione di un credito oltre la soglia consentita, irrogava la sanzione ai sensi dell’art. 13 del D.lgs 471/1997 pari al 30% dell’imposta.
La contribuente impugnava l’atto e la Commissione Tributaria Provinciale di Forlì, con sentenza n.18/03/2011 accoglieva il ricorso sul presupposto che non potesse essere applicata analogicamente una sanzione non espressamente prevista e disciplinata.
L’Agenzia delle Entrate impugnava la sentenza e la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia, con sentenza n. 64/01/12 depositata il 9.7.2012 rigettava l’appello.
Avverso la sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per Cassazione affidando il suo mezzo a un motivo.
Il Fallimento della S. s.p.a. resiste con controricorso, illustrato con memoria.
Ragioni della decisione
Con il motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 13 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, 25 del d.lgs 9 luglio 1997 n. 241 e 34 della I. 23 dicembre 2000, 388 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che nel caso di errata utilizzazione del credito IVA oltre il limite previsto dall’art. 34 della I. n. 388 del 2000 si verifica un omesso versamento dell’imposta, con la conseguente applicazione della sanzione del trenta per cento prevista dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997.
La censura è fondata.
Questa Corte ha già più volte osservato che «il superamento del limite massimo dei crediti d’imposta compensabili equivale al mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste, che è sanzionato dall’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, così come accade ogniqualvolta sia utilizzata la compensazione in assenza dei relativi presupposti» (Cass. n. 18369 del 26/10/2012; Cass. n. 18080 del 21/07/2017).
Il sistema che prevede un limite massimo alla compensazione dei crediti non è in contrasto con la disciplina eurounitaria, atteso che sulla specifica questione è recentemente intervenuta la Corte di giustizia, la quale, con la decisione 16 marzo 2017, B. s.p.a. c. Agenzia delle entrate, in causa C-211/16, ha affermato che «L’articolo 183, primo comma, della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, come modificata dalla direttiva 2010/45/UE del Consiglio, del 13 luglio 2010, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che limita la compensazione di taluni debiti tributari con crediti d’imposta sul valore aggiunto a un importo massimo determinato, per ogni periodo d’imposta, a condizione che l’ordinamento giuridico nazionale preveda comunque la possibilità per il soggetto passivo di recuperare tutto il credito d’imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole»; e la disciplina attuale denota l’esistenza di spazi ordinamentali idonei a consentire un recupero del credito entro un termine ragionevole, potendo il credito essere riportato in compensazione nel successivo esercizio o chiesto a rimborso (cfr. in motivazione, la già citata Cass. n. 18080 del 2017).
Inoltre, l’errata utilizzazione della compensazione in assenza dei relativi presupposti, non integra una violazione meramente formale poiché comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste e determina il ritardato incasso erariale, con conseguente deficit di cassa, sia pure transitorio (cfr. Cass. 26926/2019; Cass. 31706/2019; Cass. 31706/2018 Cass n. 23755/2015; Cass. n. 15612/2016; Cass. n. 16504/2016; Cass. n. 18080/2017; Cass. 4555/2017).
Il ricorso deve essere, conseguentemente accolto e la sentenza cassata.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in punto di fatto il giudizio può essere deciso nel merito con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.
Le spese del giudizio di merito devono essere compensate in considerazione dell’evoluzione nel tempo della giurisprudenza in materia.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso della contribuente.
Compensa le spese del giudizio di merito e condanna il Fallimento S. s.p.a. al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.600,00 oltre alle spese prenotate a debito.
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