CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 luglio 2022, n. 21031
Riscossione tramite ruolo – Agente riscossione – Crediti contributivi della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense – Discarico per inesigibilità
Fatti di causa
1. Con sentenza 18764/2015 il Tribunale di Roma ha rigettato l’opposizione proposta da Equitalia Centro s.p.a., quale successore di Bipiesse e Equitalia Sardegna s.p.a., avverso il decreto ingiuntivo per l’importo di € 23.932,73, oltre accessori, ottenuto dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, relativo agli importi dovuti dagli iscritti per il ruolo suppletivo 1998 e 1999.
2. Con sentenza del 30.1.2020 la Corte di appello di Roma ha accolto l’appello proposto da Equitalia Centro e ha revocato il decreto opposto, a spese compensate.
3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 2.11.2020 ha proposto ricorso per cassazione la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, al quale ha resistito con controricorso notificato il 2.12.2020 ADER – Agenzia delle Entrate – Riscossione, subentrata a Equitalia Centro, chiedendone l’inammissibilità o il rigetto.
4. Il ricorso consta di quattro motivi.
4.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, n.3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art. 1, commi 527, 528 e 529 della legge 228/2012 e agli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 509/1994.
La ricorrente lamenta l’applicazione effettuata dalla Corte territoriale della normativa speciale pubblicistica di cui al d.lgs. n. 112 del 1999 e alla successiva legge n. 228 del 2012, tanto in relazione all’annullamento automatico dei crediti iscritti a ruolo sino al 31.12.1999 per importi inferiori a € 2.000, quanto in relazione all’automatico discarico dei ruoli sino alla stessa data, per importo superiore ai 2.000,00 € e non interessati da attività di riscossione, in luogo delle comuni regole in tema di responsabilità contrattuale, e ciò in contrasto con la natura privata e l’autonomia contabile della Cassa Forense.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, n.3, cod. proc. civ., la ricorrente denuncia l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, commi 527 e seguenti, della legge 228/2012 in relazione agli artt. 3, 38, 41 e 42 Cost., nonché violazione dell’art.1 del Protocollo addizionale della CEDU, dell’art.117 Cost. e dell’art. 6 CEDU. La ricorrente denuncia l’irragionevolezza dell’ablazione discriminatoria senza indennizzo di un diritto proprio della Cassa, per giunta in spregio delle ragioni di salvaguardia del sistema previdenziale.
4.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 19, comma 1, lett. b), e 59, comma 4 ter, del d.lgs. 112/1999, nonché 35, 39, 74 e seguenti, e 82, del d.p.r. 43/1988. Secondo la ricorrente la mancata dimostrazione da parte dell’esattore, nei tempi e modi previsti dalla legge, di aver diligentemente operato per la riscossione dei crediti iscritti a ruolo e di non esserci riuscito per causa a lui non imputabile, faceva venir meno il suo diritto al rimborso delle somme già versate all’Ente impositore in virtù del principio del non riscosso per riscosso o del diritto al discarico delle somme non anticipate.
4.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360, n.3, cod.proc.civ., la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’art.1, commi 527, e degli artt.1, comma 1, e 2 del d.m. 15.6.2015. In subordine rispetto alla sua deduzione in via principale, la ricorrente lamenta, quantomeno, la mancata diversificazione del regime quanto all’annullamento automatico dei crediti inferiori a € 2.000,00, che non era in alcun modo giustificabile.
5. È stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod.proc.civ. la trattazione in camera di consiglio non partecipata. La ricorrente ha illustrato con memoria ex art. 380 bis, comma 2, cod.proc.civ., le proprie difese.
Ragioni della decisione
6. Le censure svolte con i primi due motivi e con il quarto, subordinato, sono strettamente connesse e possono essere quindi esaminate congiuntamente. Esse appaiono infondate alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale maturato da questa Corte, condiviso dal Collegio, e che il ricorso non offre argomenti per rivedere (Sez. 3 – e non Sezioni Unite come inesattamente indicato nella sentenza impugnata – n. 12229 del 9.5.2019, Rv. 653891 – 01; Sez. 3, n. 11972 del 19.6.2020, Rv. 657922 – 01; Sez. 3, n. 26531 del 20.11.2020; Sez.3, n.21386 del 26.7.2021; Sez.6-1 n.25003 del 15.9.2021; Sez.3. n.26336 del 29.9.2021; Sez.6-1, n. 4555 dell’11.2.2022; Sez.6-1, n.6766 e 6767 del 1.3.2022).
7. Il complessivo quadro normativo di riferimento è stato efficacemente ricostruito già nella sentenza 12229 del 2019, sopra citata. Ai sensi dell’art. 18 della L. 576/1980, recante la riforma del sistema previdenziale forense, ribadito dall’art. 17, comma 3, d.lgs. 46/1999, la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense provvede alla riscossione dei contributi insoluti a mezzi di ruoli da essa compilati, resi esecutivi dall’Intendenza di Finanza e da porre in riscossione secondo le norme previste per la riscossione delle imposte dirette; pertanto, la Cassa compila e trasmette all’Agente della riscossione i ruoli (e cioè, come precisato dall’art. 10 d.p.r. 602/1973, gli elenchi dei debitori della Cassa e del loro debito), i quali costituiscono il titolo esecutivo attraverso il quale effettuare la riscossione dei contributi previdenziali nei confronti degli avvocati iscritti alla gestione previdenziale che non li hanno corrisposti.
Ai sensi dell’art. 32, comma 3, del d.p.r. 43/1988, ora abrogato, la consegna dei ruoli faceva divenire il Concessionario addetto alla riscossione debitore dell’intero ammontare delle somme iscritte nei ruoli, che dovevano essere dallo stesso Concessionario versate alla Cassa alle scadenze stabilite, ancorché non riscosse.
Il concessionario aveva quindi l’obbligo di anticipare alla Cassa il gettito delle procedure di riscossione (c.d. meccanismo del «non riscosso come riscosso»), con possibilità, secondo quanto previsto dagli artt. 75 e 77 del d.p.r. 43/1988, di recuperare il carico anticipato (facendoselo rimborsare dalla Cassa o compensandolo con gli altri importi da anticipare) solo ove avesse agito diligentemente nella procedura di riscossione senza però riuscire nell’esazione (c.d. «diritto al discarico» o «sistema del discarico»).
Il citato d.p.r. 43/1988, e in particolare il meccanismo del «non riscosso come riscosso», è stato abrogato dal d.lgs. 112 del 1999, che ha quindi fatto venire meno l’obbligo dell’agente di versare anticipatamente alla Cassa, a scadenza fissa, gli importi da riscuotere e ha introdotto un diverso sistema, in base al quale il concessionario, una volta ricevuti i ruoli, provvede alla riscossione dei relativi importi e, dopo averli riscossi, ha l’obbligo di riversarli alla Cassa (art. 2 d.lgs. 37/1999; art. 22 d.lgs. 112/1999);
in caso di omessa riscossione, il concessionario può ottenere il «discarico per inesigibilità» (e quindi non ha l’obbligo di versare i relativi importi alla Cassa) solo ove abbia rispettato determinati adempimenti (nello specifico quelli espressamente previsti dall’art. 19, lett. a, b, c, d, e, del d.lgs. 112/1999), mentre perde il diritto al discarico (con conseguente obbligo di pagamento alla Cassa dei relativi importi) ove, al termine della procedura di cui all’art. 20 d.lgs. 112/1999, venga accertata una sua responsabilità in ordine alla mancata riscossione.
In materia è poi intervenuta la legge 228/2012, in vigore dal 1.1.2013 (legge di stabilità per il 2013), in combinato con il decreto attuativo 15.6.2015 del Ministro dell’Economia e delle Finanze, che, per tutti i ruoli antecedenti al 31.12.1999, ha stabilito:
1) l’annullamento automatico dei crediti di importo sino ad € 2.000,00 iscritti in ruoli resi esecutivi sino al 31.12.1999 (art. 1, comma 527, legge cit.); in particolare, ai sensi dell’art. 1 del detto d.m. 15.6.2015, l’elenco delle quote riferite ai detti crediti è trasmesso dall’agente della riscossione all’ente creditore su supporto magnetico, ovvero in via telematica, e le dette quote sono automaticamente discaricate ed eliminate dalle scritture contabili dell’ente creditore;
2) l’obbligo dell’Agente di riscossione, per i crediti di importo superiore ad € 2.000,00, di dare notizia all’ente impositore dell’esaurimento dell’attività di riscossione (art. 1, comma 528, legge cit.);
obbligo poi precisato ( artt. 2 e 3 d.m.. 15.6.2015) in quello di dare comunicazione, su supporto magnetico o comunque in via telematica, dell’elenco delle quote non interessate da procedure esecutive avviate o da contenzioso pendente o da accordi in corso o da insinuazioni in procedure concorsuali ancora aperte o da dilazioni in corso, con conseguente automatico discarico anche di dette quote ed eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore;
per i crediti superiori a € 2000,00, interessati invece dalle dette procedure o pendenze, rimasti in carico all’Agente della riscossione, obbligo di quest’ultimo di inserirli in un elenco, da trasmettere su supporto magnetico o comunque in via telematica all’ente creditore, entro due mesi dalla conclusione delle attività, con conseguente automatico discarico anche di dette quote ed eliminazione dalle scritture contabili dell’ente creditore;
3) per tutti i crediti, indipendentemente dal valore, la non applicabilità degli artt. 19 e 20 del d.lgs. 112/1999 (art. 1, comma 529, legge cit.).
8. Il ricorso presenta un primo e preliminare profilo di inammissibilità perché la ricorrente non chiarisce se e in che misura i crediti iscritti a ruolo per cui è causa fossero o meno superiori alla somma di € 2.000,00, e per vero neppure riferisce di aver allegato in giudizio tale circostanza, mentre argomenta indiscriminatamente in relazione ad entrambe le ipotesi, a cui si applicano, secondo la sua stessa linea di ragionamento, regole e soluzioni differenti. In tal modo la Cassa ricorrente incorre nel vizio di genericità e non pertinenza delle questioni trattate.
9. In ogni caso, secondo il ricordato indirizzo giurisprudenziale, alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ente privatizzato ex art. 1 del d.lgs. n. 509 del 1994, ma deputato allo svolgimento di una funzione pubblica quale quella previdenziale, è concesso ex lege di provvedere alla riscossione mediante ruolo.
Pertanto, si applica ad essa la procedura, prevista dall’art. 1, commi 527- 529, della legge n. 228 del 2012 di annullamento del ruolo per i crediti più risalenti (antecedenti al 1999), introdotta ai fini della razionalizzazione dei bilanci degli enti creditori pubblici o privati che provvedono alla riscossione mediante ruolo.
La richiamata disciplina presenta un duplice profilo di ragionevolezza, tenuto conto che, per i crediti inferiori a € 2.000,00, scongiura la antieconomicità della riscossione in ragione del presumibile rapporto negativo tra costi dell’esazione e benefici dell’eventuale riscossione e che, per quelli superiori a € 2.000,00, non incide sui diritti di credito degli enti ma solo sulla procedura di riscossione, atteso che l’annullamento del ruolo non coincide con l’annullamento del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato dall’ente secondo l’ordinaria procedura.
È stato al proposito osservato che la legge 228/2012 non pone alcuna distinzione tra ruoli attinenti a crediti consegnati da soggetti pubblici o comunque da soggetti istituzionalmente beneficiari di finanziamenti pubblici, da una parte, e ruoli concernenti invece crediti vantati da soggetti privati, dall’altra; la legge in questione, invero, come univocamente desumibile dal tenore letterale della stessa, riguarda indistintamente tutti i crediti iscritti in ruoli esecutivi sino al 31.12.1999, ed è ispirata all’esigenza di razionalizzazione dei bilanci di tutti gli enti creditori (a prescindere dalla loro natura di soggetto pubblico o, come nella specie, di soggetto privato che eccezionalmente provvede alla riscossione attraverso il ruolo), attuata proprio mediante la «rottamazione» del sistema di riscossione a mezzo ruolo relativamente ai ruoli più risalenti; «rottamazione» per la quale sussistono evidenti profili di ragionevolezza, attesa appunto l’epoca dell’iscrizione a ruolo (antecedente al 1999) e, per i crediti inferiori ad € 2.000,00, la non economicità della riscossione per il presumibile rapporto negativo tra i costi dell’esazione ed i benefici dell’eventuale riscossione.
La predetta univoca disposizione di legge non può essere diversamente interpretata solo perché la Cassa è un ente di previdenza privatizzato, e pertanto un soggetto al cui bilancio lo Stato, ex art. 1 d.lgs 509/1994, non contribuisce neppure in via indiretta e non può quindi incidere sullo stesso, annullandone o riducendone i crediti.
Infatti, da un lato, la Cassa è sì ente privatizzato ma comunque deputato allo svolgimento di una funzione pubblica quale quella previdenziale (Cass. S.U. 10132/2012), al quale il legislatore ha eccezionalmente concesso di procedere alla riscossione dei propri crediti mediante ruolo, e cioè attraverso un sistema normalmente riservato agli enti pubblici (unici soggetti a cui è consentito di formare il titolo esecutivo senza l’ausilio dell’autorità giudiziaria).
Lo stesso legislatore, pertanto, può legittimamente disciplinare detta riscossione, imporre limiti alla stessa o, come avvenuto nella specie, non consentire più la riscossione a mezzo ruolo per i ruoli più risalenti.
D’altro canto la legge 228/2012, e questo sicuramente almeno per i crediti superiori ad € 2.000,00 (vedi melius infra), non incide sui diritti di credito degli enti (determinando, come sostenuto dalla ricorrente, un prelievo forzoso nei confronti della Cassa, e cioè una indebita misura ablatoria), ma solo sulla procedura di riscossione, atteso che il disposto annullamento del ruolo (e cioè, come detto, dell’elenco formato dall’ente dei propri crediti e dei propri debitori, reso esecutivo dalla ex Intendenza di Finanza; artt. 10 e 11 d.p.r. 602/1973) non coincide con l’annullamento del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato in proprio dall’ente creditore con l’ordinaria procedura.
10. Tali considerazioni consentono di superare i dubbi di incostituzionalità della menzionata legge 228/2012; ancora recentemente è stata ribadita la manifestamente infondatezza della questione di legittimità costituzionale della legge n. 228 del 2012 per irragionevolezza, in quanto nel compiuto riassetto della disciplina generale del sistema di riscossione delle risorse del settore pubblico, mediante l’abrogazione del principio del «non riscosso per riscosso» e la «rottamazione dei ruoli inattivi», sono ricompresi gli enti previdenziali (come nella specie, la Cassa forense), senza differenziazioni, anche a seguito della loro trasformazione in enti privatizzati, in senso conforme al principio sancito dall’art. 3 Cost., né può ravvisarsi, in relazione alla lesione dell’art. 6 CEDU, la violazione della norma interposta dell’art. 117 Cost. in quanto il riassetto normativo non ha introdotto una imprevedibile e indebita ingerenza nella gestione del contenzioso, anche alla luce dell’interpretazione offerta in materia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 51 del 2019 (Sez. 3, n. 26531 del 20.11.2020, Rv. 661376 – 01). Come ribadito con l’ordinanza di questa Sottosezione (Sez.6-1 n.4555 dell’11.2.2022), deve ritenersi altresì infondata la censura di violazione dell’art. 117 Cost., sollevata in riferimento all’art. 6 della CEDU, sotto il profilo dell’irragionevole incidenza delle disposizioni in esame sulla posizione di parità delle parti nei giudizi in corso, non configurandosi le stesse come un intervento isolato ed inaspettato rispetto ad un quadro normativo idoneo ad ingenerare nelle parti un ragionevole affidamento in ordine alla sua immutabilità, ma come uno stadio ulteriore di un percorso normativo avviato fin dal 1999 con la riforma del sistema di riscossione a mezzo ruolo, e proseguito con la sostituzione dell’organizzazione di carattere pubblicistico degli agenti della riscossione ai rapporti di concessione precedentemente intrattenuti dagli enti creditori con società private.
La riferita interpretazione, secondo la quale l’annullamento del ruolo non incide sul credito sottostante, che potrà essere soddisfatto nelle forme ordinarie, è conforme alla ratio della riforma, che ha inteso soltanto eliminare le procedure coattive o speciali di riscossione per crediti per i quali, data la loro risalenza o la loro esiguità (sotto i 2.000,00 €), la procedura è diventata onerosa ed antieconomica, con l’esigenza di eliminare quelle riscossioni lasciando in piedi solo quelle successive al 1999, informatizzate e più efficaci; se non v’è stata dunque estinzione dei crediti, vengono meno gli argomenti esposti nei motivi che hanno come presupposto che i crediti siano stati estinti, vicenda che imporrebbe di non applicare la riforma agli enti privatizzati che quei crediti perderebbero dunque irrimediabilmente.
11. Quanto ai crediti inferiori a € 2.000,00, le sentenze n. 11972 del 19.6.2020 e n. 26531 del 20.11.2020 della III Sezione, in ciò innovando rispetto alla pronuncia capostipite n. 12229 del 2019, che non aveva specificamente affrontato il tema, hanno negato che «l’annullamento dei crediti e la eliminazione dalle scritture contabili» dei crediti inferiori a € 2.000,00 integri un provvedimento ablatorio senza indennizzo nei confronti di enti cui lo Stato non contribuisce neppure in via indiretta.
Ciò perché la formula lessicale impiegata nella disposizione legislativa richiamata deve essere posta in relazione agli scopi di efficienza e trasparenza perseguiti con il generale intervento riorganizzativo del servizio di riscossione a mezzo ruoli, mediante eliminazione dell’ingente arretrato del carico dei ruoli determinatosi nel corso degli anni: e a tale scopo non è affatto richiesta l’anticipata estinzione, rispetto all’ordinario termine prescrizionale, con atto iure imperii, dei crediti in titolarità all’ente previdenziale nei confronti dei propri iscritti, a tacer del rilievo che un tale effetto rivelerebbe l’uso di un mezzo sproporzionato e neppur funzionale al fine.
Il fine della legge n. 228 del 2012 è quello di non aggravare inutilmente, rendendola meno efficiente nella realizzazione dei risultati, l’attività demandata all’Agente della riscossione, lasciando pendere ad libitum l’obbligo di ricerca dei cespiti da aggredire e gli inutili tentativi di iniziative esecutive rivolte al recupero di crediti, risalenti nel tempo ed anche di minima entità, per i quali, dato il tempo trascorso, è seriamente presumibile la definitiva inesigibilità: rispetto all’utile perseguimento di tale scopo rimane, infatti, del tutto estraneo un intervento del Legislatore volto ad incidere sul rapporto obbligatorio tra Cassa Forense e professionista-iscritto alla gestione previdenziale, avente ad oggetto il versamento del relativo contributo.
Questa Corte è quindi ormai stabilmente addivenuta ad una interpretazione della legge n. 228 del 2012 in senso conforme al principio costituzionale di ragionevolezza (art. 3 Cost.), ed avuto specifico riguardo alla esigenza che ogni intervento della autorità pubblica, incidente nella sfera giuridica di terzi, deve corrispondere al canone di coerenza e di proporzionalità, e ha così ritenuto che le formule lessicali adottate nel testo legislativo («annullamento»; «eliminazione»), debbano essere riferite esclusivamente al «titolo esecutivo» (e cioè al ruolo) e non anche al «diritto di credito» (come emerge anche dalla lettura del decreto MEF di attuazione in data 15.6.2015, che, agli artt. 1, 2 e 3, fa riferimento al discarico automatico delle quote inserite in elenco).
La prescrizione normativa della eliminazione del credito dalle scritture patrimoniali assume quindi valenza esclusivamente contabile in funzione della esigenza, richiesta dal sistema contabile Europeo, di fornire una realistica esposizione dello stato patrimoniale ed economico dell’ente escludendo l’appostazione dei crediti relativi ai ruoli annullati in bilancio nello stato patrimoniale come riserve o immobilizzazioni, sì da integrare l’attivo patrimoniale, potendo invece essere riportati solo come crediti insoluti – prudenzialmente valutati – nel bilancio di esercizio.
12. L’eliminazione di crediti dalle scritture contabili non costituisce una novità, trattandosi di effetto già contemplato nel caso di discarico del ruolo: così, infatti, era già previsto dal d.lgs. n. 112 del 1999, art. 19, comma 3, (discarico triennale automatico per inerzia dell’ente creditore che non aveva svolto l’attività di controllo dopo aver ricevuto la comunicazione di inesigibilità del credito); e così è stato ribadito anche dalla legge n. 228 del 2012 ed ancora viene previsto dalla legge n. 190 del 2014 (stabilità 2015).
La disposizione della legge di stabilità 2013 appare, quindi, del tutto coerente con lo scopo di evitare che i crediti risalenti anche a trenta anni addietro siano posti tra le voci dell’attivo nel bilancio degli enti e contribuiscano fattivamente al loro pareggio disattendendo al criterio di veridicità dei bilanci.
L’annullamento del ruolo e l’eliminazione contabile del credito dallo stato patrimoniale, non pregiudicano, dunque, in alcun modo l’esercizio da parte dell’ente previdenziale delle ordinarie misure di tutela del credito apprestate ai soggetti privati dall’ordinamento giuridico, non sussistendo una forma larvata di espropriazione patrimoniale, diversamente dalla fattispecie disciplinata dalla norma di cui al d.l. 6.7.2012, n. 95, art. 8, comma 3, convertito con modificazioni dalla legge 7.8.2012, n. 135, art. 1, comma 1, oggetto di dichiarazione di illegittimità costituzionale «nella parte in cui prevede che le somme derivanti dalle riduzioni di spesa ivi previste siano versate annualmente dalla Cassa Forense nazionale di previdenza ed assistenza per i dottori commercialisti ad apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato»: in quel caso, infatti, attraverso la parziale distrazione delle risorse destinate alla Cassa previdenziale, veniva in tal modo ad essere alterato proprio quel vincolo funzionale – imprescindibile per il corretto ed efficiente perseguimento dello scopo istituzionale – tra contributi degli iscritti ed erogazione delle prestazioni previdenziali (cfr. Corte costituzionale, sentenza 11.1. 2017 n. 7).
13. Gli esposti principi sono stati poi ribaditi con le decisioni della Sezione 3 n. 26336 del 21.5.2021 e n. 21386 del 26.7.2021 e con le ordinanze n. 6766 e 6767 del 1.3.2022 di questa Sezione, pienamente condivise dal Collegio, ove è stato affermato: – che l’art. 1, comma 527, nella parte in cui prevede, per i ruoli relativi ai crediti di valore inferiore ad € 2.000,00, l’annullamento dei crediti e l’eliminazione dalle scritture contabili, dev’essere interpretato nel senso che l’esclusione della possibilità di procedere ulteriormente alla riscossione a mezzo ruolo comporta unicamente il venir meno del titolo esecutivo, costituito dal ruolo, e non anche l’estinzione del diritto di credito, in tal senso deponendo le finalità perseguite dal legislatore con la disciplina in esame, configurabile non già come un provvedimento ablatorio nei confronti di enti cui lo Stato non contribuisce neppure in via indiretta, ma come un intervento di riorganizzazione del servizio di riscossione a mezzo dei ruoli; – che nessun rilievo può assumere, in contrario, l’espressa previsione della eliminazione dei predetti crediti dalle scritture contabili dell’ente, la quale, oltre a costituire un effetto già altre volte contemplato in caso di discarico dal ruolo, riveste una valenza esclusivamente contabile, in funzione dell’esigenza, correlata al sistema contabile europeo, di fornire una realistica esposizione dello stato patrimoniale ed economico dell’ente, evitando che crediti persistentemente insoluti possano venire ad alterarne i bilanci di esercizio, quali poste soltanto virtuali iscritte all’attivo, in contrasto con il criterio di veridicità dei bilanci;
– che anche per i ruoli relativi ai crediti di valore inferiore ad € 2.000,00 vale pertanto la considerazione riferibile ai crediti di valore superiore al predetto importo, secondo cui l’annullamento del ruolo non coincide con l’annullamento del credito sottostante, che ben potrà essere successivamente azionato in proprio dall’ente creditore, con gli strumenti di tutela ordinariamente apprestati dall’ordinamento per i soggetti privati;
– che risulta pertanto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale delle norme in esame, sia in relazione alla previsione di un’espropriazione senza indennizzo dei crediti da essa vantati nei confronti dei propri iscritti e dell’idoneità di tale intervento a incidere sull’equilibrio finanziario dell’ente, sia in relazione alla disparità di trattamento introdotta tra i crediti delle casse previdenziali e quelli dell’Unione Europea, per i quali resta confermata l’operatività del sistema di riscossione a mezzo ruolo, anche se risalenti;
– che è infondata anche la censura di violazione dell’art. 117 Cost., sollevata in riferimento all’art. 6 della CEDU, sotto il profilo dell’irragionevole incidenza delle disposizioni in esame sulla posizione di parità delle parti nei giudizi in corso, non configurandosi le stesse come un intervento isolato ed inaspettato rispetto ad un quadro normativo idoneo ad ingenerare nelle parti un ragionevole affidamento in ordine alla sua immutabilità, ma come uno stadio ulteriore di un percorso normativo avviato fin dal 1999 con la riforma del sistema di riscossione a mezzo ruolo, e proseguito con la sostituzione dell’organizzazione di carattere pubblicistico degli agenti della riscossione ai rapporti di concessione precedentemente intrattenuti dagli enti creditori con società private.
14. Non può infine condividersi la tesi sostenuta dalla difesa della ricorrente sub 3), pag.13, nella memoria di cui all’art. 380-bis, comma 2, cod.proc.civ., secondo cui, in quanto configurabile come una sanatoria prevista unicamente a favore degli agenti della riscossione, confluiti nell’Agenzia delle Entrate Riscossione, il meccanismo del discarico automatico dei ruoli introdotto dalla legge n. 228 del 2012, art. 1, commi 527-529, si traduce in un aiuto di Stato contrastante con l’art. 107 TFUE, determinando un indebito vantaggio selettivo a danno dei concessionari operanti nel medesimo settore.
Come già osservato nelle citate ordinanze n. 6766 e 6767 del 2022 al proposito di un’analoga eccezione, ai fini della qualificazione di una determinata misura come aiuto di Stato, ai sensi dell’art. 107 TFUE, par. 1, è infatti necessario che ricorrano quattro condizioni, ovverosia a) che sussista un intervento dello Stato o effettuato mediante risorse statali, b) che lo stesso incida sugli scambi tra gli Stati membri, c) che esso conceda un vantaggio selettivo al beneficiario, d) che falsi o minacci di falsare la concorrenza (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 15/05/2019, in causa C706/17, Achema; 13/09/2017, in causa C-329/15, ENEA, 19/12/2013, in causa C-262/12, Association Vent de Colere ed altri).
Nella specie, anche a voler ritenere sussistenti le prime due condizioni, in ragione dell’introduzione della misura attraverso una disposizione legislativa e dell’idoneità della stessa a precludere il recupero di risorse che, pur non appartenendo direttamente al patrimonio dello Stato, spettano ad un organismo dallo stesso istituito (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 21.10.2020, in causa C-556.19, Eco TLC; 10.12.2020, in causa C-160.19, Comune di Milano c. Commissione; 28.03.2019, in causa C-405.16, Germania c. Commissione), nonché a determinare un rafforzamento della posizione dell’Agenzia delle Entrate – Riscossione rispetto ai concessionari operanti nel medesimo settore (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 29.7.2019, in causa C-659/17, Azienda Napoletana Mobilità; 27.6.2017, in causa C74/16, Congregación de Escuelas PEas Provincia Betania), non risulta in alcun modo dimostrato che il discarico automatico si traduca in un vantaggio economico che la beneficiaria non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato (cfr. Corte di Giustizia UE, sent. 15.5.2019, in causa C-706.17, Achema; 17.7.2008, in causa C-206/06, Essent Netwerk Noord e altri; 27.6.2017, in causa C74/6, Congregación de Escuelas PEas Provincia Betania).
In senso contrario, depone d’altronde la stessa ratio della misura in esame, alla cui introduzione il legislatore si è determinato tenendo bene presente la situazione complessiva dei ruoli ancora insoluti risultante all’esito delle ripetute proroghe concesse agli agenti della riscossione, ritenendo ostativa ad una sana e corretta gestione dei bilanci degli enti creditori ed all’efficienza del servizio di riscossione il mantenimento di crediti che continuavano ad essere considerati fittiziamente esigibili, trattandosi invece di crediti meramente virtuali, in quanto iscritti a ruoli emessi e consegnati in tempi risalenti ed ormai del tutto inesigibili essendo venuta meno ogni concreta probabilità di esazione (cfr. Sez. 3, 19.6.2020, n. 11792).
15. Non merita dunque accoglimento l’istanza di rinvio pregiudiziale della causa alla Corte di Giustizia UE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, par. 3, proposta dalla difesa della ricorrente ai fini della valutazione in ordine alla riconducibilità della misura in esame alla nozione di aiuto di Stato contemplata dall’art. 107 TFUE e della conseguente disapplicazione della L. n. 228 del 2012, art. 1, commi 527-529, per contrasto con la normativa eurounitaria.
16. Sempre in ordine alle censure relative all’asserito illegittimo annullamento dei crediti inferiori a € 2.000,00 per ragioni di antieconomicità di riscossione, per vero non dimostrata nella sua rilevanza in causa per l’assoluta genericità e non autosufficienza del ricorso in parte qua, milita per l’inammissibilità delle doglianze della Cassa Forense anche una ulteriore ragione.
La questione circa l’illegittimità e l’inoperatività dell’annullamento automatico dei crediti -e non solo dei ruoli relativi – e la conseguente elisione della pretesa creditoria verso il debitore del contributo previdenziale, inclusi i dubbi di compatibilità costituzionale, europea e convenzionale dell’interpretazione avversata dalla Cassa Forense, dovrebbe semmai essere dibattuta nel contraddittorio con il debitore a cui si vorrebbe opporre la persistenza del credito e non certo all’esattore, visto che la tesi, svolta in subordine dalla ricorrente, ammette l’elisione solo del ruolo e non del credito; una volta ammesso il discarico dell’esattore, questi difetta di legittimazione passiva a discutere della persistenza o meno del credito verso il debitore previdenziale che la Cassa ricorrente sostiene sussistere per l’illegittimità costituzionale, eurounitaria e convenzionale della normativa che lo cancellerebbe.
17. Il terzo motivo, infine, è infondato poiché i ruoli in questione erano stati formati prima del 30.9.1999 ed erano quindi cartacei non informatizzati con la conseguente inapplicabilità del flusso telematico di rendicontazione previsto dal d.m. 22.10.1999. Per i ruoli precedenti al 30.9.1999, ai sensi dell’art. 59, comma 4-ter, del d.lgs.112 del 1999 l’obbligo di rendicontazione decorreva dalla data stabilita in un decreto attuativo mai emanato.
Pertanto, come esattamente rilevato dalla Corte capitolina, anche a voler ritenere sussistente l’obbligo di rendicontazione dell’esattore, in assenza del decreto ministeriale, l’inadempimento dell’obbligo informativo non giustificava comunque la perdita del diritto al discarico per inesigibilità in difetto di una norma che lo prevedesse (cfr incidentalmente Sez.6-1, n.4555 del 11.2.2022, che ha dato conto dell’insussistenza di censure alle statuizioni contenute sul punto in altra sentenza della Corte romana).
Il mancato invio delle informazioni annuali comportava la perdita del predetto diritto soltanto per i ruoli successivi al 30.9.1999, mentre l’obbligo di rendicontazione, non previsto dal d.P.R. n. 43 del 1988, è stato introdotto, per i ruoli resi esecutivi prima del 30.9.1999, dalla disciplina transitoria del d.lgs. n. 112 del 1999, che non prevedeva però la perdita del predetto diritto. Il motivo proposto non affronta e non confuta la specifica affermazione formulata dalla Corte capitolina.
18. Per i motivi esposti il ricorso deve essere complessivamente rigettato con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del contro ricorrente, liquidate nella somma di € 3.500,00 per compensi, € 100,00 per esborsi, 15% rimborso spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- Corte di Cassazione ordinanza n. 18002 depositata il 6 giugno 2022 - In tema di riscossione dei tributi, l'iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento divengono illegittime a seguito della sentenza che, accogliendo il ricorso proposto dal contribuente,…
- Corte di Cassazione sentenza n. 26556 depositata il 9 settembre 2022 - In tema di imposta di registro, al fine di stabilire se un'abitazione sia di lusso e, come tale, esclusa dai benefici per l'acquisto della cd. prima casa, la superficie utile deve essere…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 gennaio 2022, n. 1394 - Nel sistema del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 49 e segg., ed in particolare dell'art. 57 di quest'ultimo, come emendato dalla sentenza della…
- Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 1394 depositata il 18 gennaio 2022 - Nel sistema del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2 e del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 49 e segg., ed in particolare dell'art. 57 di quest'ultimo, come…
- Corte di Cassazione ordinanza n. 15674 depositata il 17 maggio 2022 - La scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l'effetto sostanziale…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 18 giugno 2019, n. 16253 - Mancata comunicazione all'Amministrazione ed esibizione dell'attestazione che le scritture contabili si trovano presso altri soggetti determina la rilevata omissione nell'esibizione delle scritture…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Nel caso di adesione al processo verbale di consta
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17068 depositata il 14 giugno 20…
- Il verbale di conciliazione deve essere sottoscrit
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25796 depositata il 5 settembre…
- Processo tributario: la perizia estimativa e la co
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 26798 depositata il 19 settembre…
- Il dipendente che effettua un furto di piccolo imp
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27353 depositata il 26 settembre…
- Sanzioni tributarie: prescrizione e decadenza in c
Le sanzioni tributarie sono soggette, in tema di prescrizione e decadenza, ad un…