CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 marzo 2019, n. 6128
Dazi doganali – Accertamento – Importazioni – Certificato AGRIM – Violazioni leggi doganali
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 43/14/13 dell’11/04/2013, la CTR della Toscana – Sezione staccata di Livorno accoglieva l’appello proposto dalla D.G. s.r.l. avverso la sentenza n. 128/06/11 della CTP di Livorno, che aveva respinto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di rettifica con il quale le veniva richiesta, nella qualità di spedizioniere rappresentante indiretto dell’importatore, la corresponsione dei dazi doganali in relazione ad un’importazione di aglio fresco di provenienza cinese risalente all’anno 2005.
1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR e dalle difese delle parti: a) l’avviso di rettifica derivava dall’accertata falsità del certificato AGRIM in base al quale, in applicazione degli accordi GATT, l’importazione della merce, introdotta in libera pratica nel territorio della UE, era esente da dazi; b) per i medesimi fatti l’importatore era stato condannato penalmente, con sentenza passata in giudicato; c) la CTP respingeva il ricorso della società contribuente; d) la sentenza della CTP era appellata dalla D.G. s.r.l.
1.2. Su queste premesse, la CTR motivava l’accoglimento dell’appello osservando che: a) lo spedizioniere che assumeva l’incarico di rappresentante indiretto dell’importatore era, «in linea di principio, responsabile (…) delle violazioni alle leggi doganali e alle normative correlate, compiute nell’adempimento del proprio incarico»; b) tuttavia, nel caso di specie, non si era di fronte ad una regolare immissione in libera pratica, ma di un’importazione del tutto irregolare, per atti costituenti reato posti in essere dall’importatore senza il concorso del rappresentante indiretto; c) ne conseguiva che la responsabilità dello spedizioniere rappresentante indiretto dell’importatore doveva ritenersi ricompresa non già nell’art. 201 del regolamento CEE n. 2913/92 del 12 ottobre 1992 (Codice doganale comunitario – CDC), ma nel successivo art. 202, ovvero, in subordine, nell’art. 203 CDC, con conseguente necessità di dimostrare, da parte dell’Ufficio, la consapevolezza dello spedizioniere che la dichiarazione presentata in dogana era errata; d) tale consapevolezza doveva escludersi perché la D.G. s.r.l., con la sua semplice esperienza professionale e diligenza (tenuto conto anche del reato posto in essere dall’importatore, cui il legale rappresentante della società non aveva partecipato), «si trovava nella materiale impossibilità sostanziale di operare un’autonoma valutazione della veridicità della documentazione di cui trattasi»; e) risultava applicabile l’art. 220 CDC, «nel senso che l’Amministrazione non può agire per il recupero dei diritti doganali non riscossi nei confronti del debitore che abbia agito in buona fede ed osservato tutte le disposizioni previste dalla regolamentazione vigente per la sua dichiarazione in Dogana, ma deve rivolgersi nei confronti dei diretti responsabili della sottrazione di denaro pubblico»; f) con riferimento alla eccezione di violazione del contraddittorio doganale, la normativa di riferimento andava correttamente individuata nell’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, «il quale, applicato regolarmente, non determina alcuna minaccia o lesione del diritto di difesa del contribuente», essendo espressione del principio di leale collaborazione tra contribuente e fisco, sicché priva di pregio si rivelava anche la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 3 e 24 Cost.; g) ogni altra eccezione doveva ritenersi assorbita.
2. L’Agenzia delle dogane impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi, e replicava con controricorso al ricorso incidentale.
3. La D.G. s.r.l. resisteva con controricorso e proponeva ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
Ragioni della decisione
1. Va pregiudizialmente evidenziato che la notifica del ricorso è correttamente avvenuta presso il difensore domiciliatario, avv. M.P., non rilevando la mancata notificazione del ricorso agli altri difensori (cfr. Cass. n. 20625 del 31/08/2017; Cass. n. 11744 del 27 maggio 2011; Cass. n. 3020 del 06/02/2009; Cass. n. 13361 del 07/06/2007; Cass. n. 12963 del 31/05/2006).
2. Sempre in via pregiudiziale deve ritenersi che non sussista la violazione del cd. principio di autosufficienza del ricorso, lamentata da parte controricorrente, essendo l’esposizione dei fatti di causa chiara e comprensibile, oltre che sufficientemente completa.
3. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle dogane deduce la violazione e falsa applicazione della normativa comunitaria in materia di rappresentanza in dogana e relativi profili di responsabilità, con particolare riferimento agli artt. 201 e 202 CDC e all’art. 199 del regolamento (CEE) n. 2454 del 2 luglio 1993, evidenziando che lo spedizioniere rappresentante indiretto è responsabile dell’obbligazione doganale ai sensi degli artt. 4 e 201, § 3, CDC, allo stesso modo del rappresentato e, in ogni caso, tale responsabilità deriverebbe da una corretta applicazione dell’art. 202 CDC.
4. Con il secondo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 220 CDC e dell’art. 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che la CTR ha ritenuto la buona fede dello spedizioniere e, quindi, l’esenzione dalla responsabilità doganale, senza che lo spedizioniere abbia fornito la prova della sussistenza di tutte le circostanze necessarie per la configurabilità della menzionata esenzione.
5. i due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, sono fondati.
5.1. Ai sensi dell’art. 5, § 2, CDC (applicabile ratione temporis, in quanto il codice doganale comunitario è stato abrogato dal regolamento (UE) n. 952/2013 del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione) e dell’art. 40, primo comma, TULD, la dichiarazione doganale può essere fatta personalmente dall’importatore ovvero a mezzo di un rappresentante diretto o indiretto.
La rappresentanza è diretta quando il rappresentante agisce a nome e per conto di terzi, indiretta, quando il rappresentante agisce a nome proprio ma per conto di terzi. Mentre la rappresentanza indiretta è libera, la rappresentanza diretta implica l’iscrizione in un apposito albo professionale istituito con la l. 22 dicembre 1960, n. 1612 ed il rispetto della disciplina prevista dalla legge medesima e dalla successiva l. n. 213 del 2000.
5.2. Dal combinato disposto degli artt. 201, § 3, e 4, punto 18, CDC si evince, poi, che l’obbligazione doganale sorge in capo a chi fa la dichiarazione a nome proprio ovvero alla persona in nome della quale la dichiarazione è fatta. Conseguentemente, in caso di rappresentanza diretta, la responsabilità grava, in via di principio, sul solo importatore, mentre in caso di rappresentanza indiretta è specificamente prevista la responsabilità sia dello spedizioniere che dell’importatore (cfr. Cass. n. 9773 del 23/04/2010; Cass. n. 7720 del 27/03/2013; Cass. n. 9270 del 17/04/2013).
5.2.1. L’obbligazione doganale sorge, altresì, in caso di introduzione irregolare di merce ai sensi dell’art. 202, § 1, lett. a), CDC; e l’introduzione della merce è considerata irregolare quando non è stata oggetto di una presentazione in dogana, conformemente alle disposizioni degli articoli da 38 a 41 CDC, e, quindi, quando non c’è stata la presentazione della merce in dogana con la relativa dichiarazione (cfr. CGUE 25 gennaio 2017, causa C-679/15, Ultra – Brag AG, punto 20).
In tale caso sono debitori, ai sensi dell’art. 202, § 3, CDC: la persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare (cioè, quella che normalmente avrebbe dovuto svolgere le operazioni di sdoganamento e adempiere gli obblighi del dichiarante in dogana), nonché le persone che hanno partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare e le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando l’hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente (cioè le persone che, sebbene non siano tenute a procedere alle operazioni di sdoganamento in forza delle disposizioni del CDC, sono state nondimeno coinvolte nell’introduzione irregolare sia prima, sia immediatamente dopo la stessa: cfr. CGUE 25 gennaio 2017, ult. cit., punti 21 e 22; Cass. n. 9433 del 12/04/2017; Cass. n. 5159 del 01/03/2013).
5.2.2. Per completezza (anche perché la CTR vi ha fatto riferimento) deve evidenziarsi che l’obbligazione doganale sorge anche a seguito della sottrazione della merce presentata in dogana ai sensi dell’art. 203 CDC. In tale ipotesi, «costituisce sottrazione di una merce al controllo doganale (…) qualsiasi ritiro, non autorizzato dall’autorità doganale competente, di una merce sottoposta alla vigilanza doganale dal luogo di custodia autorizzato, a prescindere dall’intenzionalità dello stesso» (così Cass. n. 29535 del 16/11/2018, che richiama CGUE 18 maggio 2017, causa C-154/16, Latvij as Dzelzcel§ VAS, punto 42, e CGUE 11 luglio 2013, causa C-273/12, Harry Winston, punti 30 e 33).
5.3. Nel caso di specie, è pacifico tra le parti che la D.G. s.r.l. sia rappresentante indiretto dell’importatore, sicché lo spedizioniere risponde in solido con quest’ultimo dell’obbligazione doganale per il semplice fatto di avere presentato la dichiarazione in dogana, dichiarazione impegnativa con riferimento all’esattezza delle indicazioni figuranti nella dichiarazione, all’autenticità dei documenti presentati e all’osservanza di tutti gli obblighi inerenti al vincolo delle merci importate al regime considerato (cfr. art. 199 del regolamento (CEE) n. 2454 del 1993).
5.4. Non è, dunque, necessario, al fine di imputare la responsabilità doganale al rappresentante indiretto dell’importatore, ricorrere alle ulteriori disposizioni sopra menzionate (art. 202 ovvero art. 203 CDC, art. 38 del d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43, Testo unico sulla legge doganale – TULD), che sostanzialmente ritengono la responsabilità solidale di chiunque si sia ingerito, sia pure in via meramente fattuale, nell’operazione di importazione.
5.5. L’interpretazione fornita, assolutamente pacifica nella giurisprudenza della S.C., consegue, dunque, all’interpretazione di disposizioni che non rivelano problemi interpretativi tali da giustificare il chiesto rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.
5.6. Né può ritenersi che la responsabilità dello spedizioniere rappresentante indiretto integri una forma di responsabilità oggettiva, ben potendo quest’ultimo provare la propria buona fede alle condizioni previste dall’art. 220, § 2, lett. b, CDC.
5.6.1. Secondo la giurisprudenza della S.C., infatti, «in tema di tributi doganali, l’applicazione del regime di esenzione o riduzione daziaria presuppone la regolarità formale e sostanziale della documentazione relativa all’origine e/o alla provenienza della merce, intendendosi per “origine” il luogo dove la merce è stata realizzata e per “provenienza” il luogo dal quale essa giunge o dove è stata oggetto di lavorazione o trasformazione (a tal fine non essendo sufficienti le operazioni di spolveratura, lavaggio, verniciatura, selezione, riduzione a pezzi, ecc.); pertanto, considerato che un certificato di origine “ignota” va considerato come “inesatto”, le Autorità doganali, qualora constatino la falsità dei certificati di origine e provenienza, devono procedere alla contabilizzazione “a posteriori” dei dazi doganali, salve le deroghe nei seguenti casi tipizzati che devono concorrere cumulativamente: riscossione dovuta ad errore delle autorità competenti (sia di quella alla quale spetta procedere al recupero sia di quella di rilascio del certificato preferenziale di esportazione); errore tale da non poter essere ragionevolmente riconosciuto dal debitore in buona fede, nonostante la sua esperienza professionale e diligenza, provocato da un comportamento “attivo” delle autorità che rilasciarono il certificato, non rientrandovi l’errore indotto da dichiarazioni inesatte rese dall’esportatore, salvo che le autorità di quel paese fossero informate o dovessero sapere dell’inoperatività dell’esenzione; osservanza di tutte le disposizioni previste dalla normativa vigente per la dichiarazione in dogana» (Cass. n. 4997 del 02/03/2009).
5.6.2. Affinché trovi applicazione l’esenzione prevista dall’art. 220, § 3, lett. b, CDC devono, dunque, ricorrere le tre condizioni che la norma contemporaneamente richiede, vale a dire che: a) il rilascio irregolare dei certificati di origine sia dovuto ad un errore delle autorità competenti; b) l’errore commesso dalle autorità sia di natura tale da non poter essere ragionevolmente rilevato dal debitore di buona fede; c) il debitore abbia osservato tutte le prescrizioni della normativa in vigore (vedi CGUE 14 maggio 1996, cause C-153/94 e C-204/94, Farne Seafood e altri; CGUE 3 marzo 2005, causa C- 499/03 P, Biegi Nahrungsmittel e Commonfood; CGUE 18 ottobre 2007, causa C-173/06, Agrover, CGUE 15 dicembre 2011, C-409/10, Afasia Knits; CGUE 16 marzo 2017, causa C-47/16, Veloserviss).
5.6.3. In proposito, va prima di tutto evidenziato che «il debitore non può nutrire un legittimo affidamento quanto alla validità dei certificati EUR 1 per il fatto che essi siano stati ritenuti inizialmente veritieri dalla autorità doganale di uno Stato membro dato che le operazioni effettuate da detti uffici nell’ambito dell’accettazione iniziale delle dichiarazioni non ostano affatto all’esercizio di controlli successivi» (CGUE 9 marzo 2006, causa C-293/04, Beemsterboer Coldstore Services BV, richiamata da CGUE 8 novembre 2012, causa C-438/11, Lagura, in riferimento ai certificati FORM A, documenti giustificativi utili a fruire delle preferenze generalizzate concesse dalla UE), e ciò in quanto le prescrizioni del CDC, alla luce del suo sesto considerando («considerando che, tenuto conto della grande importanza che il commercio esterno ha per la Comunità, occorre sopprimere o per lo meno limitare, per quanto possibile, le formalità e i controlli doganali»), vanno interpretate nel senso che «(…) al momento dell’accettazione della dichiarazione in dogana, l’autorità suddetta non si pronuncia sull’esattezza delle informazioni fornite dal dichiarante, di cui quest’ultimo si assume la responsabilità» (CGUE 15 settembre 2011, causa C-138/10, DP Group EOOD). Ne consegue, che, se a seguito di un controllo a posteriori venga ritenuta la falsità dei certificati posti a base dell’esenzione daziaria, si deve ritenere che detti certificati e la conseguente tariffa preferenziale siano stati concessi indebitamente (cfr. con riferimento ai certificati EUR 1, CGUE 9 marzo 2006, cit.).
5.6.4. Secondariamente, a fronte dell’accertata falsità dei certificati utilizzati dall’importatore o dallo spedizioniere rappresentante indiretto, l’Unione Europea non può essere tenuta a sopportare le conseguenze di comportamenti scorretti dei fornitori dei suoi cittadini rientranti nel rischio dell’attività commerciale, e contro i quali gli operatori economici ben possono premunirsi nell’ambito dei loro rapporti negoziali (CGUE 17 luglio 1997, causa C-97/95, Pascoal & Filhos; Cass. n. 19195 del 06/09/2006; Cass. n. 14509 del 30/05/2008; Cass. n. 1583 del 03/02/2012; Cass. n. 15758 del 19/09/2012).
5.7. Quanto sopra riferito per i certificati EUR 1 e FORM A vale sicuramente anche per i certificati AGRIM oggetto del presente giudizio, che consentono al contribuente di importare il quantitativo di banane corrispondente a quello di riferimento o all’assegnazione, pagando il dazio nella misura agevolata, in conformità al regolamento (CE) n. 2362/98 del 28 ottobre 1998, applicabile ratione temporis (Cass. n. 25587 del 27/10/2017).
5.8. Nel caso di specie l’Ufficio doganale di Livorno ha correttamente proceduto alla contabilizzazione a posteriori dei dazi in ragione del fatto che i certificati AGRIM utilizzati nell’operazione di importazione sono risultati falsi; e poiché la falsità di detti certificati non è oggetto di contestazione, con ciò l’Ufficio ha assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante (cfr. CGUE 16 marzo 2017, cit., punto 47), restando a carico dell’importatore e, in ragione della sua diretta responsabilità, della D.G. s.r.l., la prova della ricorrenza delle ulteriori condizioni per l’applicazione della esenzione prevista dall’art. 220, par. 2, lett. b), CDC (cfr. Cass. n. 7674 del 16/05/2012, in motivazione).
5.9. La CTR, per parte sua, si è limitata ad affermare la sussistenza della buona fede dello spedizioniere, ritenendola rilevante ai sensi della disposizione da ultimo menzionata, ma, non compiendo alcuna indagine sulla sussistenza degli ulteriori elementi previsti dalla disposizione da ultimo menzionata, necessari ai fini della rilevanza della buona fede, la ha falsamente applicata.
6. Con l’unico complesso motivo di ricorso incidentale la D.G. s.r.l. deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.: a) la violazione e falsa applicazione degli artt. 97 Cost., 12 della I. 27 luglio 2000, n. 212 e 11 del d.lgs. 8 novembre 1990, n. 374, nonché del principio comunitario che riconosce al contribuente il diritto al contraddittorio preventivo, contraddittorio in ipotesi non attivato; b) in via subordinata, la disapplicazione delle indicate disposizioni di diritto interno, ove interpretate come non imponenti il contraddittorio per contrasto con il diritto comunitario; c) in via ulteriormente subordinata, l’illegittimità costituzionale delle medesime disposizioni.
7. Il motivo è complessivamente infondato.
7.1. Per semplicità si riporta integralmente, sul punto, la motivazione di Cass. n. 23669 del 01/10/2018 che questo Collegio condivide: «questa Corte è ferma nel ritenere che, in tema di avvisi di rettifica emanati in esito a revisioni di accertamenti doganali, è inapplicabile l’art. 12, 7° comma, l. 20 luglio 2000 n. 212, perché in tale ambito opera il ius speciale regolato dall’art. 11 del d.lgs. 8 novembre 1990 n. 374, preordinato a garantire al contribuente un contraddittorio pieno in un momento comunque anticipato rispetto alla impugnazione in giudizio del suddetto avviso.
E ciò in quanto:
a) i commi 50, 7° e 8° dell’art. 11 del d.lgs. n. 374/90, nel testo vigente ratione temporis, che è anteriore rispetto alla novella che l’ha integrato nel 2012, prevedevano che, quando dalla revisione, eseguita sia d’ufficio, sia su istanza di parte, fossero emerse inesattezze, omissioni, o errori relativi agli elementi presi a base dell’accertamento, “l’ufficio procede alla relativa rettifica e ne dà comunicazione all’operatore interessato, notificando apposito avviso” di rettifica motivato;
b) entro trenta giorni dalla data della notifica dell’avviso, l’operatore può contestare la rettifica e in tal caso è redatto apposito verbale dall’Ufficio doganale “ai fini della eventuale instaurazione dei procedimenti amministrativi per la risoluzione delle controversie previsti dall’articolo 66 ss. del TU delle disposizioni legislative in materia doganale approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43”;
c) il procedimento amministrativo in questione era preordinato a garantire un contraddittorio pieno, in un momento anticipato rispetto all’impugnazione in sede giurisdizionale dell’atto, nel corso del quale il contribuente era posto in grado di esporre tutte le ragioni difensive ed allegare nuovi fatti, indicando le opportune prove, al fine di sollecitare l’attivazione dei poteri di autotutela dell’Amministrazione doganale e quindi l’annullamento o la revoca dell’avviso di rettifica.
La specialità della disciplina in materia doganale trova conferma nella normativa sopravvenuta (d.l. 24 gennaio 2012 n. 1, convertito con I. 24 marzo 2012 n. 27), la quale, nel disporre che gli accertamenti in materia doganale sono disciplinati in via esclusiva dall’art. 11 del d.lgs. n. 374 cit., ha introdotto un meccanismo di contraddittorio vicino a quello previsto dallo statuto dei diritti del contribuente (tra varie, Cass. 2 luglio 2014, n. 15032 e 5 aprile 2013, n. 8399).
La Corte di giustizia, con sentenza 20 dicembre 2017, causa C-276/16, Preqù Italia, ha promosso la normativa italiana, nella versione, antecedente alla novella del 2012, che è quella applicabile anche nel caso in questione nell’odierno giudizio e che, si è visto, non scandiva direttamente la fase procedimentale, lasciando all’iniziativa del contribuente la contestazione della rettifica idonea a instaurare l’interlocuzione con l’Amministrazione.
La Corte ha difatti stabilito che “Il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi deve essere interpretato nel senso che i diritti della difesa del destinatario di un avviso di rettifica dell’accertamento, adottato dall’autorità doganale in mancanza di una previa audizione dell’interessato, non sono violati se la normativa nazionale che consente all’interessato di contestare tale atto nell’ambito di un ricorso amministrativo si limita a prevedere la possibilità di chiedere la sospensione dell’esecuzione di tale atto fino alla sua eventuale riforma rinviando all’articolo 244 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario, come modificato dal regolamento (CE) n. 2700/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 novembre 2000, senza che la proposizione di un ricorso amministrativo sospenda automaticamente l’esecuzione dell’atto impugnato, dal momento che l’applicazione dell’articolo 244, secondo comma, di detto regolamento da parte dell’autorità doganale non limita la concessione della sospensione dell’esecuzione qualora vi siano motivi di dubitare della conformità della decisione impugnata con la normativa doganale o vi sia da temere un danno irreparabile per l’interessato“.
Giustappunto con riguardo a un avviso di rettifica adottato dall’autorità doganale, la Corte europea ha sottolineato che il principio generale del diritto dell’Unione del rispetto dei diritti della difesa non si configura come una prerogativa assoluta, ma può soggiacere a restrizioni, purché esse rispondano a obiettivi di interesse generale e siano rispetto a questi proporzionate.
E, nel caso in esame, la Corte ha ravvisato l’interesse generale prevalente in quello dell’Unione a recuperare tempestivamente le proprie entrate, che richiede rapidità ed efficacia dell’attività di controllo.
Ed è sempre tale interesse generale, ha soggiunto, a giustificare la mancanza di automatismo della sospensione dell’esecuzione dell’avviso qualora esso sia impugnato.
D’altronde, l’art. 245 del codice doganale comunitario (reg. n. 2913/92, applicabile ratione temporis) rinvia per questi aspetti al diritto nazionale, là dove stabilisce “le norme di attuazione della procedura di ricorso sono adottate dagli Stati membri”, nel rispetto dei principi di equivalenza e di effettività (in termini, da ultimo, Cass., ord. 23 maggio 2018, n. 12832, in adesione alla giurisprudenza unionale sul punto).
A ogni modo, con riguardo alla versione dell’art. 11 del d.lgs. n. 374/90 anteriore alla novella, che “…non impone all’amministrazione che procede ai controlli doganali l’obbligo di ascoltare i destinatari degli avvisi di rettifica dell’accertamento prima di procedere alla revisione degli accertamenti ed alla loro eventuale rettifica” (punto 48), a chiusura la Corte ha ribadito che, in virtù del principio di strumentalità delle forme, la violazione del diritto di essere ascoltati determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso».
7.2. Applicando i sopra menzionati principi di diritto al caso di specie, non può che ritenersi la correttezza della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui: a) esclude l’applicabilità dell’art. 12, comma 7, della l. n. 212 del 2000; b) ritiene che il rispetto del principio del contraddittorio sia legittimamente affidato alla previsione dell’art. 11 del d.lgs. n. 374 del 1990, anche nella versione applicabile ratione temporis.
7.3. Tale interpretazione, come segnalato, è stata ritenuta compatibile con il diritto unionale dalla CGUE (sicché non v’è motivo di disapplicare le disposizioni interne) e non pone alcuna lesione del diritto di difesa e del principio di uguaglianza, esplicandosi il contraddittorio doganale nelle forme legittimamente previste dal diritto interno.
8. In conclusione, vanno accolti i motivi di ricorso principale e rigettato il motivo di ricorso incidentale; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR della Toscana, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
8.1. Poiché il presente giudizio è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato il ricorso incidentale, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della controricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione incidentale.
P.Q.M.
Accoglie i motivi di ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della controricorrente del contributo unificato dovuto per il controricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
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