CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 marzo 2019, n. 6144
Prestazioni assistenziali – Pensione di reversibilità – Domanda – Decadenza
Rilevato che
R.M.P., dopo aver esposto al giudice del lavoro del Tribunale di Gorizia di essere titolare dal mese di settembre del 1977 di pensione di reversibilità erogatale dall’Inps con assegno pro rata corrisposto dal Regno Unito, paese in cui aveva lavorato suo marito B.T. sino alla morte, e di essere divenuta, altresì, titolare di una pensione dal mese di maggio del 1980, spiegò che l’Inps aveva errato nel non applicarle la maggiorazione che le sarebbe spettata dal momento della coesistenza delle due prestazioni ai sensi dell’art. 10 della legge n. 160 del 1975, per cui chiese la riliquidazione degli assegni e la condanna dell’istituto di previdenza al pagamento della somma di euro 28.427,01 o del diverso importo ritenuto di giustizia;
dichiarata dal giudice adito l’inammissibilità della domanda per intervenuta decadenza, la Corte d’appello di Trieste (sentenza del 7.9.2015), accogliendo per quanto di ragione l’impugnazione della P., ha accertato che la medesima aveva diritto alla determinazione sulla pensione sos e nel periodo 1979/1984 delle quote fisse ex art. 10, III° comma, della legge n. 160/1975, nonché il diritto a conservare nel prosieguo del tempo detto valore ai fini del computo del trattamento di pensione, condannando di conseguenza l’Inps a corrisponderle la somma capitale di € 29.615,12 maturata a detto titolo dal marzo del 2007 sino a tutto l’anno 2013, con gli interessi legali dall’8.6.2012 al saldo;
nel pervenire a tale decisione la Corte territoriale ha evidenziato che il diritto reclamato poteva essere fatto valere solo a decorrere dal mese di marzo del 2007, in quanto nella fattispecie la domanda amministrativa risaliva al mese di febbraio del 2012, epoca in cui era già in vigore il regime della prescrizione quinquennale dei ratei arretrati prevista dall’art. 38, comma 1, lett. n. 2, del d.l. n. 98 del 2011 nel testo convertito nella legge n. 111 del 2011;
per la cassazione della sentenza propone ricorso l’Inps con un solo motivo, cui resiste T.K., erede di P.R.M., con controricorso, illustrato da memoria;
Considerato che
con un solo motivo l’istituto ricorrente denunzia la violazione dell’art. 2934 cod. civ. e dell’art. 10 della legge 3.6.1975 n. 160 facendo rilevare che la Corte di merito, pur accogliendo l’eccezione di prescrizione, non ha tratto dall’intervenuta maturazione della stessa le corrette conseguenze in diritto per le seguenti ragioni: premesso che l’oggetto del contendere è rappresentato dal diritto della pensionata all’applicazione delle quote fisse ex art. 10, comma 3, l. n. 160/1975, l’Inps fa notare, anzitutto, che la controparte aveva limitato la richiesta di applicazione dell’incremento di cui trattasi al 1984; inoltre, aggiunge che il sistema di perequazione basato sul criterio cosiddetto del punto di contingenza, di cui al citato art. 10 della legge n. 160/1975, era rimasto in vigore sino al 1 maggio 1984, prima di essere superato dai nuovi criteri previsti dall’art. 21 della legge n. 730/1983; ne conseguiva che l’effetto interruttivo della prescrizione, che la Corte territoriale aveva ricondotto alla domanda amministrativa del mese di febbraio del 2012, non si era mai verificato per i ratei suscettibili di maggiorazione in quota fissa, ossia quelli compresi fra la decorrenza della pensione ed il mese di aprile del 1984, avendo la P. rivendicato l’applicazione dei predetti aumenti alla notevole distanza temporale di ventotto anni dall’intervenuta soppressione del meccanismo perequativo di cui si discute; conseguentemente, secondo l’Inps, si erano definitivamente estinti per prescrizione tutti gli aumenti dovuti a titolo di quote fisse, atteso che l’atto interruttivo accertato dalla Corte di merito aveva manifestato i suoi effetti a ritroso solo a decorrere dal mese di marzo del 2007, allorquando il diritto ai predetti incrementi non era più giuridicamente esistente ed azionabile; quindi, la decisione della Corte d’appello di Trieste, che considerava inclusi nei ratei di pensione decorrenti dal marzo del 2007 anche gli aumenti in quota fissa poneva nel nulla gli effetti della maturata prescrizione del diritto al loro conseguimento, posto che la pensione veniva quantificata come se il diritto ai menzionati aumenti fosse tuttora esistente e non si fosse mai estinto; in realtà, conclude l’Inps, il diritto agli incrementi in cifra fissa non era mai entrato nel patrimonio della P. poiché la pensionata non aveva interrotto la prescrizione in tempo utile rispetto alla definitiva soppressione ex lege di tale sistema di adeguamento;
il ricorso è fondato;
invero, l’art. 21, comma 1, della legge 27 dicembre 1983, n. 730 (legge finanziaria del 1984) stabilì, per quel che qui interessa, che, fermi restando gli aumenti delle pensioni derivanti all’1 gennaio 1984 dalla perequazione automatica secondo la normativa allora vigente, per le pensioni dell’A.G.O. per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle forme di previdenze sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, delle gestioni speciali per i lavoratori autonomi, per i lavoratori delle miniere, cave e torbiere, dell’ente Enasarco e di quelle erogate in favore dei soggetti il cui trattamento era regolato dall’art. 26 della legge n. 153/1969 e dall’art. 7 della legge 3.6.1975, n. 160 (ciechi civili, mutilati ed invalidi civili e sordomuti), nonché dall’art. 14 septies del D.L. n.663/1979 (convertito con modificazioni dalla legge n. 33/1980), i successivi aumenti di perequazione intervenivano a far tempo dall’1 maggio 1984 secondo determinati criteri fissati nei commi successivi dello stesso art. 21. Quindi, il sistema della perequazione automatica per le suddette pensioni venne mantenuto fino al 30.4.1984, per cui a decorrere dall’1.5.1984 le pensioni, come quella in esame, riconducibili al Fondo pensioni lavoratori dipendenti di cui all’art. 10 della legge n. 160 del 1975 (contenente la previsione della perequazione automatica), non beneficiarono più di tale automatismo per la sua tacita abrogazione ad opera dell’art. 21 della citata legge finanziaria;
al riguardo si è già statuito (Sez. lav. n. 20507 del 13.10.2015) che << il diritto al conseguimento delle maggiorazioni legate alla perequazione automatica delle pensioni, di cui all’art. 10 della l. n. 160 del 1975, soggiace alla prescrizione ordinaria decennale e, attesa l’avvenuta abrogazione della norma ai sensi dell’art. 21 della l. n. 730 del 1983, sussiste fino al 30 aprile 1984, sicché non può essere riconosciuto ove la domanda amministrativa sia proposta decorsi dieci anni da tale data» (in senso conf. v. C. sez. lav. n. 16996/2017);
si è, altresì, ribadito (C. sez. lav. n. 18840 del 28.7.2017) che va individuata al 31 dicembre 1983 la data ultima entro la quale l’assicurato doveva possedere una pensione di importo superiore al trattamento minimo, quale presupposto per poter beneficiare della liquidazione in quota fissa degli aumenti previsti dall’art. 10, l. n. 160/1975, prima della sua definitiva abrogazione;
né può aver rilievo il richiamo della controricorrente al principio di imprescrittibilità del diritto a pensione, atteso che l’oggetto del contendere è rappresentato esclusivamente dall’accertamento del diritto alla perequazione automatica dell’importo dei singoli ratei di pensione in relazione ad un determinato periodo;
pertanto, una volta accertato che il 31 dicembre 1983 rappresentava la data ultima entro la quale l’assicurata doveva possedere una pensione di importo superiore al trattamento minimo, quale presupposto per poter beneficiare della liquidazione in quota fissa degli aumenti previsti dall’art. 10, l. n. 160/1975, prima della sua definitiva abrogazione “ex lege”, ne consegue che nel mese di marzo del 2007, epoca individuata dai giudici di merito ai fini della decorrenza della prestazione, già non sussisteva più il precedente sistema di perequazione automatica per effetto della modifica apportata dall’art. 21, L. n. 730/1983, per cui non poteva trovare ingresso una richiesta in tal senso formulata ventotto anni dopo (quando era decorso anche l’ordinario termine di prescrizione) in relazione al trascorso periodo 1979 – 1984 indicato nell’impugnata sentenza;
in definitiva, il ricorso va accolto e l’impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari, nella fattispecie, ulteriori accertamenti di fatto ai sensi dell’art. 384, comma 2°, c.p.c. la domanda di R.M.P. va rigettata;
le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della pensionata, non essendovi dichiarazione di esonero per legge nel controricorso, e vanno liquidate come da dispositivo, mentre motivi di equità, dovuti alla particolarità della questione, alla qualità di assistita dell’intimata ed all’alterno esito delle due fasi del giudizio di merito, inducono la Corte a ritenere interamente compensate tra le parti le spese dei precedenti giudizi di merito.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese del doppio grado del giudizio di merito e condanna la controricorrente al pagamento delle spese di legittimità nella misura di € 2200,00, di cui € 2000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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