CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 marzo 2022, n. 6623

Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Operazioni di leverage by out – Presunta elusione fiscale – Prova contraria – Valide ragioni economiche – Necessità di ottenere il finanziamento bancario

Rilevato che

l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo contro la M. S.p.A. per la cassazione della sentenza n. 2609/2015 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, pronunciata in data 13 maggio 2015 depositata in data 11 giugno 2015 e non notificata, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa dell’avviso di accertamento per maggiori Ires, Irap ed Iva relativa all’anno di imposta 2011;

oggetto dell’impugnazione rimane il solo rilievo numero quattro, relativo alla presunta elusività dell’operazione di cessione ad un fondo lussemburghese delle partecipazioni alla società F21 Reti TLC S.p.A. nel corso dell’anno 2007;

a parere dell’Ufficio, la complessiva operazione sarebbe stata priva di valide ragioni economiche, eccezion fatta per il realizzo di un indebito vantaggio di risparmio fiscale;

i primi giudici, avevano accolto il ricorso proposto dalla contribuente ritenendo che l’operazione de qua non era stata effettuata per eludere il fisco;

con l’atto di appello l’Ufficio aveva contestato l’anzidetta motivazione ritenendola generica e riproponendo le proprie ragioni;

con la sentenza impugnata, la C.t.r. riteneva valida e corretta la motivazione della sentenza di primo grado, supportata da un’articolata ed esaustiva analisi delle operazioni compiute dalla parte appellata, dalla quale era emersa l’assenza degli indizi che avrebbero potuto evidenziare la mancanza di valide ragioni economiche, con espresso riferimento ai requisiti individuati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 1372/2011 per le operazioni di leverage by out (LBO, letteralmente acquisto in blocco con “effetto leva”, cioè acquisizione di una società mediante ricorso all’indebitamento);

in particolare, la C.t.r. riteneva che, nella specie, le valide ragioni economiche risiedessero nella necessità di ottenere il finanziamento bancario, in assenza del quale l’intera operazione sarebbe stata irrealizzabile;

il giudice di appello riteneva, inoltre, che non vi fosse una specifica norma sull’abuso del diritto e che l’accertamento non potesse travalicare l’ambito delle libere scelte dell’imprenditore;

la società contribuente resiste con controricorso;

il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 27 gennaio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;

Considerato che

con l’unico motivo, l’Agenzia ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 110, comma 7, d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917 e 37 – bis d.P.R. 29 settembre 1973 n.600, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.;

la ricorrente, in particolare, deduce che, nella fattispecie in esame, l’operazione di merger leveraged buy out (MLBO, cioè l’acquisizione della società obiettivo, o anche target, con il ricorso all’indebitamento e la successiva fusione con la società veicolo, o anche newco) aveva una finalità economica rappresentata dall’acquisto di una nuova entità produttiva;

tuttavia, ciò che l’Agenzia ricorrente contesta è l’anormalità degli strumenti utilizzati per l’acquisto di detta partecipazione, i quali avevano come unica finalità il mero accollo del debito in capo ad una società patrimonialmente sana;

secondo la ricorrente, solo la sussistenza in concreto di un ragionevole obiettivo economico e, quindi, di finalità ulteriori rispetto all’accollo del debito, poteva evitare di incorrere in un abuso della disposizione fiscale;

sostiene la ricorrente che l’esistenza di un obiettivo economico nell’ambito di un’operazione di MLBO non legittimava lo spostamento in capo al soggetto acquisito dei costi necessari per il suo acquisto, atteso che bisognava distinguere i costi di ristrutturazione del soggetto acquisito al fine di conseguire un determinato risultato economico, che erano inerenti a tale soggetto acquisito, dai costi sostenuti per acquistare detto soggetto che, sulla base dei principi OCSE, erano inerenti all’attività dell’azionista, poiché connessi all’attività d’investimento del soggetto acquirente;

in conclusione, secondo l’Agenzia delle entrate, nel caso di specie, lo spostamento degli interessi passivi dal soggetto acquirente al soggetto acquisito non risultava legittimo;

il motivo è infondato e va rigettato;

occorre premettere che l’orientamento giurisprudenziale in materia di operazioni abusive è consolidato nel ritenere che «il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il cui fondamento si rinviene nell’art. 37-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in difetto di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici » (Cass. n. 4604 del 26/2/2014; Cass.n. 25537 del 30/11/2011), con la conseguenza che «il carattere abusivo va escluso quando sia individuabile una compresenza, non marginale, di ragioni extrafiscali, che non necessariamente si identificano in una redditività immediata, potendo consistere in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda »;

questa Corte ha, quindi, avuto modo di precisare, con riferimento ai processi di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale effettuati nell’ambito di grandi gruppi di imprese, che il divieto di comportamenti abusivi, fondati sull’assenza di valide ragioni economiche e sul conseguimento di un indebito vantaggio fiscale, «non vale ove quelle operazioni possano spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmi d’imposta poiché va sempre garantita la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportati anche un differente carico fiscale» (Cass. n. 439/2015, citata in Cass. n.868/2019, alla cui ampia motivazione si rimanda);

inoltre, con particolare riferimento alle operazioni di fusione, si è anche detto che « in tema di elusione fiscale, sono prive di carattere elusivo e non integrano l’abuso del diritto le operazioni straordinarie sul capitale della società giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche d’ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a  finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa (come in caso di fusione di più società finalizzata alla riduzione del numero degli enti partecipanti all’operazione tramite la creazione di una nuova compagine societaria), volte non già a realizzare un indebito risparmio d’imposta e l’erosione della base imponibile, ma a semplificare e razionalizzare l’intera struttura gestionale e ad abbattere i costi complessivi» (Cass. n.35398/2021);

con riguardo al leveraged buy-out ed al merger leveraged buyout, esse sono operazioni societarie straordinarie, finalizzata all’acquisizione di una società detta “società target” mediante lo sfruttamento della capacità di indebitamento della società stessa;

in concreto, si acquisisce un’azienda comprando la quasi totalità delle sue azioni tramite denaro preso a prestito dalle banche ed, a garanzia della somma, si mettono i cespiti della società obiettivo; l’art.2501-bis cod. civ., come modificato dal d.lgs. 6 febbraio 2004 n.37, prevede e disciplina la “Fusione a seguito di acquisizione con indebitamento” ;

pertanto, sotto il profilo fiscale, il leveraged buy-out ed il merger leveraged buy-out, non costituiscono, di per sé, abuso del diritto, ma possono diventare operazioni “abusive”, ai sensi dell’art. 37-bis d.P.R. n.600/1973, oggi sostituito dall’art. 10- bis della Legge del 27 luglio 2000 n. 212, introdotto con l’articolo 1 del decreto legislativo del 5 agosto 2015 n. 128, qualora siano ” prive di sostanza economica” e realizzino “essenzialmente vantaggi fiscali indebiti”, pur nel rispetto formale delle norme fiscali; secondo la normativa citata, «sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato»;

inoltre, ai sensi dei commi tre e quattro dell’art. 1 – bis, attualmente in vigore, «3. Non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente.

4. Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale»; nel caso di specie, a conclusione di una verifica fiscale condotta nei confronti della M. S.p.A. per l’anno di imposta 2007 in esecuzione del programma di controllo per l’anno 2012, conclusasi con p.v.c. del 30.11.2010, la Direzione Provinciale II di Milano emetteva l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione;

con tale atto impositivo — per quel che in questa sede ancore rileva — l’ufficio contestava (rilievo n. 4) la violazione dell’art. 37-bis d.P.R. n. 600/73 e dell’art. 110, comma 7, T.U.I.R., per un imponibile di €. 1.354.347,00, in riferimento all’elusività di un’operazione di leveraged buy out;

invero, la società A. S.p.A. possedeva M. S.p.A. al 100 per cento;

la società SSCP Fibre Holding SCA (costituita in Lussemburgo dal fondo di private equity Stirling Square Capital) al 76,47 per cento e A. S.p.A. al 23,57 per cento acquistavano la B. S.p.A. (società veicolo) che acquistava da A. S.p.A. il 100 per cento di M.  S.p.A. (società target), parte con i finanziamenti dei soci e parte attraverso finanziamento di ING N.V. Italian Branc (poco più di € 11.000.000,00);

successivamente, in data 12.4.2007, M. S.p.A.,

posseduta interamente da B. S.p.A., incorporava con fusione inversa la B. S.p.A.;

il debito veniva interamente rimborsato a fronte della accensione di un nuovo debito pari a € 11.500.000,00, sostenendo inoltre oneri per la incorporazione della società per € 522.490,75;

secondo l’ufficio, l’intera operazione aveva comportato una divisione tra il soggetto inciso dal costo per il trasferimento azionario (M. S.p.A.) e il soggetto beneficiario di tale trasferimento, B. S.p.A, in violazione del principio di inerenza che regola il reddito di impresa;

in particolare, l’Agenzia deduce che gli oneri sostenuti dalla casa madre per l’acquisto di una partecipazione non potevano essere imputati in capo al soggetto acquisito;

sostiene l’Ufficio che la società veicolo, avendo reso un servizio infragruppo al suo socio estero, era tenuta a contabilizzare nel proprio bilancio, a norma dell’art. 110, comma 7, del T.U.I.R., il valore normale del servizio infragruppo, in particolare con il riaddebito al socio non residente degli interessi passivi;

i rilievi dell’Agenzia delle entrate sostanzialmente presuppongono l’illegittimità dell’operazione di MBLO per come la stessa è essenzialmente strutturata, senza evidenziarne la “mancanza di sostanza economica”, anzi riconoscendo l’esistenza della finalità di trasferimento della partecipazione di maggioranza della società target ad un soggetto terzo;

per quanto si è detto sopra, l’abusività delle operazioni va esclusa nei casi in cui esse siano giustificate da valide ragioni extrafiscali, che possono essere costituite anche da modifiche di natura organizzativa che comportino un miglioramento della struttura e della funzionalità della società;

in tale senso si è espressa anche l’Agenzia delle entrate con la circolare del 30 marzo 2016, n.6/E, che esclude il fenomeno dell’elusione delle operazioni di LBO e MBLO, salvo i casi in cui si riscontrino particolari tratti di artificiosità con specifico riferimento al mutamento del profilo partecipativo degli asset societari;

le conclusioni della circolare devono interpretarsi nel senso di valutare come non rispondente a finalità economiche rilevanti, ma dirette al conseguimento di un mero vantaggio fiscale indebito, le operazioni di LBO/MLBO che non si risolvano in un mutamento significativo del profilo partecipativo di riferimento;

come evidenziato dalla società controricorrente, un’operazione di reverse merger leverage by out può dirsi economicamente motivata sul piano fiscale anche quando è finalizzata a determinare delle sinergie produttive, commerciali, finanziarie tra le realtà che si fondono; è richiesto, quindi, che la società veicolo sia costituita mediante conferimenti, effettuati dal socio, di assets che abbiano una connessione strategica con l’attività che si intende acquisire, di modo che consentano di perseguire il ragionevole obiettivo economico preposto;

dunque, l’interpretazione adottata dal giudice di seconde cure – sebbene oggetto di una motivazione molto sintetica – appare in linea con le più recenti sentenze di legittimità (cfr. Cassazione n.438/2015, n.439/2015, n.5155/2016, n.30404/2018 e n.24294/2019), nonché con gli esiti dei lavori della “Commissione Gallo”, per la scrittura del nuovo articolo 10 -bis dello Statuto del contribuente, introdotto dall’articolo 1 dlgs. n. 128/2015 (cfr. relazione illustrativa) e recante la disciplina dell’abuso del diritto e dell’elusione fiscale, con riferimento alla raccomandazione n.2012/772/Ue sulla pianificazione fiscale aggressiva;

invero, nel caso di specie, come ha riconosciuto la stessa Agenzia delle entrate, l’operazione contestata ha lo scopo di configurare un nuovo assetto proprietario-gestionale della società “obiettivo”; pertanto il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali in favore della controricorrente; rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato,  non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500,00 per compensi, oltre il 15% per spese generali, euro 200,00 per esborsi, i.v.a. e c.p.a. come per legge.