CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 ottobre 2018, n. 23672
Accertamento – Riscossione – Intimazione di pagamento – Cartelle di riscossione – Notificazione – Procedimento
Ritenuto
che la controversia promossa da S. Hospital s.r.I., nei confronti di E.Tr. Equitalia s.p.a., è stata definita con la decisione in epigrafe, recante il rigetto dell’appello proposto dall’agente della riscossione, avverso la sentenza della CTP di Cosenza, che aveva accolto il ricorso della contribuente contro intimazione di pagamento notificate, nel 2007, alla contribuente, osservando che si tratta di atti nulli perché privi dell’indicazione del funzionario responsabile del procedimento;
che, secondo la CTR, l’agente della riscossione ha violato l’art. 7, comma 2, lett. a), l. n. 212 del 2000, non recando le intimazioni di pagamento, notificate nel 2007, l’indicazione del responsabile del procedimento, vizio sanzionato, ai sensi dell’art. 36 l. n. 31 del 2008, con la nullità dell’atto;
che E.Tr. Equitalia s.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza con due motivi, cui l’intimata resiste con controricorso e memoria;
Considerato
che la ricorrente, con il primo motivo, lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 7, comma 2, lett. a), l. n. 212 del 2000, 36, l. n. 31 del 2008, 11 disp. prel. c. c., avendo il giudice di appello esteso alle intimazioni di pagamento la disciplina prevista per le cartelle di pagamento, peraltro, entrata in vigore un anno dopo la notifica alla contribuente degli atti impugnati, con il secondo motivo, lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, omessa pronuncia sulla eccezione di inammissibilità della censura concernente la mancata indicazione del responsabile del procedimento, accolta dai giudici di primo e secondo grado, benché la questione non fosse stata proposta nel ricorso originario della contribuente;
che, preliminarmente, il ricorso per cassazione va dichiarato ammissibile in quanto contiene, in ossequio al principio dell’autosufficienza, tutti i riferimenti necessari per individuare le argomentazioni censurate della sentenza impugnata, integralmente trascritta nella parte introduttiva del ricorso (cfr. pag. 10), vertendo la ratio decidendi essenzialmente attorno alla questione concernente l’applicabilità, agli atti in contestazione, della disciplina prevista dalla l. n. 212 del 2000;
che, altresì, la parte ricorrente, contrariamente a quanto dedotto dalla intimata società, non è onerata, a pena di improcedibilità, ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, della produzione del proprio fascicolo, e per esso di copia autentica degli atti e documenti ivi contenuti, poiché detto fascicolo, ex art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, è già acquisito a quello d’ufficio di cui abbia domandato la trasmissione alla S.C. ex art. 369 c.p.c., comma 3, a meno che la predetta parte non abbia irritualmente ottenuto la restituzione del fascicolo di parte dalla segreteria della commissione tributaria, e neppure è tenuta, per la stessa ragione, alla produzione di copia degli atti e dei documenti su cui il ricorso si fonda e che siano in ipotesi contenuti nel fascicolo della controparte (Cass. n. 28695/2017);
che, ciò premesso in rito, l’accoglimento del primo motivo di ricorso, con conseguente assorbimento del secondo, è dettato dalle considerazioni di seguito esposte;
che l’obbligo imposto dall’art. 7, l. n. 212 del 2000, al concessionario della riscossione, soggetto privato cui compete l’esercizio di funzioni pubbliche, di indicare nelle cartelle di pagamento il responsabile del procedimento “ha lo scopo di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa, la piena informazione del cittadino (anche ai fini di eventuali azioni nei confronti del responsabile) e la garanzia del diritto di difesa, che sono altrettanti aspetti del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione predicati dall’art. 97, primo comma, Cost. (si veda, ora, l’art. 1, comma 1, della legge n. 241 del 1990, come modificato dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa»)” (cfr. Corte Cost. ord. n. 377/2007);
che, come questa Corte ha avuto modo di precisare, “La cartella esattoriale che ometta di indicare il responsabile del procedimento, se riferita a ruoli consegnati agli agenti della riscossione in data anteriore al 10 giugno 2008, non è affetta da nullità, atteso che l’art. 36, comma 4-ter, del d.l. 31 dicembre 2007, n. 248 (convertito dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31), ha previsto tale sanzione solo in relazione alle cartelle di cui all’art. 25 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 riferite ai ruoli consegnati a decorrere dalla predetta data, norma ritenuta legittima dalla Corte costituzionale, con sentenza n. 58 del 28 gennaio 2009.” (tra le altre, Cass. n. 13747/2013);
che nella giurisprudenza di questa Corte “emerge in modo inequivoco il carattere innovativo della previsione sanzionatoria contenuta nella legge del 2007, nel senso che, precedentemente alla introduzione del vizio di nullità della cartella, la inosservanza della norma dello Statuto del contribuente (che prevedeva la indicazione nell’atto del responsabile del procedimento), determinava una mera irregolarità e non anche la invalidità dell’atto tributario” (Cass. n. 15221/2012);
che la nuova disposizione conferma che, prima della sua entrata in vigore, l’irregolarità di cui si tratta non comportava la nullità della cartella di pagamento, conclusione rinvenibile nella giurisprudenza amministrativa, oltre che in quella di legittimità, che si era già espressa più volte nel senso che la mancata indicazione del responsabile del procedimento non si configura come vizio invalidante dell’atto, dato che “la mancata comunicazione del nominativo del responsabile del procedimento al soggetto interessato rappresenta una mera irregolarità, insuscettibile di determinare l’illegittimità dell’atto, alla quale peraltro è possibile supplire considerando responsabile del procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa competente” (TAR del Lazio n. 6998/2007, TAR della Campania n. 6137/2007, Consiglio di Stato n. 974/2006, Cass. n. 22197/2004, Cass. n. 9263/2002);
che, nel caso di specie, il vizio è riferito non già alla cartella di pagamento, bensì ad atto affatto diverso, segnatamente, alle intimazioni ad adempiere notificate dall’agente della riscossione, in epoca peraltro anteriore al 1° giugno 2008, ai sensi dell’art. 50, comma 2, d.p.r. n. 602 del 1973, disposizione quest’ultima la quale prevede che il concessionario, ora agente della riscossione, possa procedere ad esecuzione forzata quando è inutilmente decorso il termine di 60 giorni dalla notifica della cartella di pagamento, e che, se è trascorso oltre un anno dalla detta notifica, possa procedervi solo dopo avere notificato un avviso contenente l’intimazione ad adempiere entro un termine non inferiore a 5 giorni;
che, pertanto, non trova alcuna base giuridica la proposta estensione dell’obbligo in questione ad un atto della procedura di riscossione coattiva, quale è l’intimazione ad adempiere, che precede il pignoramento, e ne condiziona la validità, funzionalmente distinto dalla cartella di pagamento, disciplinata dagli artt. 25 e 26, d.p.r. n. 602 del 1973, atto quest’ultimo destinato a portare a conoscenza del contribuente il ruolo, limitatamente alla partita iscritta a suo carico, e con il quale si avanza la pretesa impositiva;
che la sentenza impugnata si è discostata dai principi sopra esposti e va cassata, mentre la causa, la quale non necessita di ulteriori accertamenti in fatto, può essere decisa con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente, la quale non si è doluta della decisione del Giudice di appello;
che l’evoluzione della vicenda processuale, ed il progressivo consolidarsi della giurisprudenza richiamata, giustificano la compensazione della spese dei gradi di merito, mentre le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originario della contribuente. Compensa le spese processuali dei gradi di merito e condanna l’intimata al pagamento di quelle del presente giudizio che liquida in € 5.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed accessori di legge.
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