CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 ottobre 2018, n. 23677
Tributi – Accertamento – Studi di settore – Scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard – Procedimento
Rilevato che
nella controversia originata dall’impugnazione da parte della V. s.r.l. di avviso di accertamento in rettifica relativo a IRES, IVA E IRAP anno 2004, la Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, riformava integralmente la decisione di primo grado (favorevole alla contribuente), confermando l’atto impositivo; in particolare, il Giudice di appello riteneva che l’Agenzia avesse applicato il corretto studio di settore mentre la contribuente non aveva fornito prova idonea a vincere la relativa presunzione;
avverso la sentenza ricorre la Società affidandosi a cinque motivi;
l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;
il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ., introdotti dall’art. 1bis del d.l. 31 agosto 2016 n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016 n. 197;
la ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione di legge (artt. 62 bis, 62 sexies d.l. n. 331/1993, art. 39 comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600/1973, 54 d.P.R. n. 633/1972 e 2697 c.c.) in cui sarebbe incorsa la C.T.R. nell’affermare che lo scostamento tra i ricavi dichiarati dal contribuente e quelli calcolati con gli strumenti informatici in applicazione dello studio del settore darebbe luogo ad un automatismo previsto dalla legge che comporterebbe a carico del contribuente l’onere di attivarsi per vincere la presunzione operata nei confronti dello stesso;
2. con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. in relazione al riconoscimento del valore di presunzioni qualificate da gravità, precisione e concordanza allo scostamento dei ricavi dichiarati dalla contribuente dagli standards applicati e alla reiterazione delle incongruenze;
2.1. Le censure, trattate congiuntamente siccome connesse, non sono meritevoli di accoglimento;
2.2. secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte (v. tra le altre, di recente, Cass. n. 21754 del 20/09/2017; id.n.9484 del 12/04/2017) l’accertamento tributario standardizzato mediante applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex legge determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati – meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività – ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, questi ha l’onere di provare, senza limitazione di mezzi e contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma va integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa. In tal caso, però, egli ne assume le conseguenze, in quando l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla sola base dell’applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito;
si è, inoltre, condivisibilmente, statuito (v.Cass.n. 20414 del 26/09/2014) che l’Amministrazione finanziaria non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste dagli artt. 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, allorché si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore di cui all’art. 62 bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, ma solo quando venga ravvisata una “grave incongruenza” secondo la previsione del successivo art. 62 sexies, trovando riscontro la persistenza di tale presupposto – nel quadro di una lettura costituzionalmente orientata al rispetto del principio della capacità contributiva – anche dall’art. 10, comma 1, della legge 8 maggio 1998, n. 146, il quale, pur non contemplando espressamente il requisito della grave incongruenza, compie un rinvio recettizio al menzionato art. 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993;
2.2. alla luce dei superiori principi, la fondatezza del primo motivo (laddove la C.T.R. ha assegnato allo scostamento derivante dall’applicazione degli studi di settore valore di automatismo previsto dalla legge) non comporta, comunque, la cassazione, per tale capo, della sentenza impugnata in quanto, corretta la motivazione nei sensi sopra indicati ex art. 384, ultimo comma, cod. proc.civ., non essendo contestata la rituale instaurazione del contraddittorio, il dispositivo è conforme a diritto;
2.3. è, invece, infondato il secondo motivo laddove la sentenza impugnata ha congruamente motivato, non incorrendo nella dedotta violazione di legge, sulla sussistenza, nel caso in specie, di gravi incongruenze evidenzianti, tra l’altro, un’antieconomicità della gestione;
3. con il terzo motivo si denuncia la sentenza impugnata di omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti costituito dall’illegittimità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione e violazione dell’art. 42 d.p.r. n. 600/73 e dell’art. 56 d.p.r. n. 633/1972;
4. con il quarto motivo si deduce l’ulteriore omesso esame di un fatto decisivo costituito dalla collocazione della Società V. s.r.l. in un cluster dello studio di settore SD17U che si discosterebbe dalla reale situazione della Società per diversi profili;
5. con il quinto motivo si deduce, ancora, l’omesso esame del fatto decisivo costituito dall’applicabilità delle sanzioni e la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 d.lvo n.472/1997 sul principio di colpevolezza laddove la C.T.R. aveva confermato l’avviso di accertamento omettendo qualsiasi pronuncia in ordine alla richiesta della contribuente, ribadita in seno alle controdeduzioni in appello, di disapplicazione delle sanzioni per carenza dell’elemento soggettivo;
6. prima di procedere alla trattazione, nel merito, delle censure va rilevato che, contrariamente a quanto dedotto in ricorso, non è applicabile il nuovo disposto dell’art. 360, 1 comma, n.5 cod. proc.civ. (essendo stata la sentenza impugnata depositata il 6 marzo 2012 e, quindi, anteriormente al 12 settembre 2012 data di pubblicazione delle sentenze impugnate quale dies rilevante ai fini dell’applicazione della novella);
7. ciò posto, il terzo motivo di ricorso è inammissibile laddove, da un canto, la mancanza di motivazione in ordine ad una questione in diritto (quale l’illegittimità dell’avviso di accertamento) non integra l’omesso esame di un “fatto” e, dall’altro, in quanto il mezzo, con difetto di specificità, non riproduce, se non per stralcio idoneo allo scopo, il contenuto dell’avviso di accertamento, come da orientamento consolidato di questa Corte (v. Cass. n. 16147 del 28/06/2017; id. n. 9536 del 2013:«in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso»;
8. è, invece, fondato il quarto motivo in quanto la C.T.R., limitandosi a statuire che l’esame della documentazione versata in atti dalla contribuente convince il Collegio della corretta applicabilità dello studio SD17U al caso in cui si discute ha sostanzialmente omesso di esplicitare l’iter logico seguito per giungere a tale decisione;
9. egualmente fondato è il quinto motivo; malgrado la rubrica contenga un riferimento testuale (omesso esame di un fatto decisivo) riconducibile al vizio di cui all’art. 360, 1 comma, n.5 cod. proc. civ., in seno al motivo viene, in realtà, chiaramente prospettata la nullità della sentenza per omessa pronuncia e tale censura è fondata, non ravvisandosi nella sentenza impugnata alcuna statuizione sulla domanda avanzata dalla contribuente sin dal ricorso introduttivo e ribadita in atto di appello;
10. conclusivamente, rigettati il primo, secondo e terzo motivo, in accoglimento del quarto e del quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata, nei limiti dei motivi accolti, e va disposto il rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri;
cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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