CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 ottobre 2018, n. 23740
Avvocati – Compenso – Responsabilità professionale – Obbligazione di mezzi e non di risultato
Fatti di causa
L’avv. D. ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della O.T., per l’importo di € 7.300,35, oltre interessi ex d.lgs. 231/2002, a titolo di corrispettivi per l’attività difensiva svolta nel giudizio intentato dalla P.T. S.r.l. nei confronti della ricorrente per ottenere il risarcimento del danno derivante dall’errata consegna di un quantitativo di calzature.
L’ingiunta ha proposto opposizione, asserendo di non dover corrispondere il compenso, avendo il difensore operato con negligenza, avendo chiamato in causa una sola delle coassicuratrici (la A. Insurance s.r.I.). Ha inoltre chiesto la restituzione di € 448,38, assumendo di aver versato al difensore un importo superiore al dovuto.
L’opposizione è stata respinta, con conseguente conferma dell’ingiunzione di pagamento.
Il Tribunale, ritenuto applicabile il rito sommario ai sensi dell’art. 14, d.lgs. 150/2011 e giudicata tempestiva l’opposizione benché proposta con citazione, ha escluso profili di responsabilità a carico del difensore, rilevando che la scelta di non evocare in causa l’altra coassicuratrice si giustificava per il fatto che la polizza non era stata sottoscritta dalla F.. Ha infine osservato che la A. Insurance s.p.a., aveva proposto appello, contestando anzitutto l’operatività della copertura assicurativa il che escludeva che le strategie difensive adottate dal resistente avessero condotto alla riforma della sentenza di primo grado.
Per la cassazione di tale decisione la O.T. s.r.l. ha proposto ricorso in quattro motivi, cui ha resistito l’Avv. D. con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il primo motivo censura la violazione degli artt. 14, d.lgs., 150/2011, 28 e ss., L. 794/1942, 183, comma terzo, 633 e ss., 702 bis e ss., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c..
A parere della ricorrente, il d.lgs. 150/2011 contempla, in materia di compensi del difensore, la duplice possibilità di richiedere il decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 e ss. c.p.c., suscettibile di opposizione ex art. 645 c.p.c. sottoposta al rito ordinario (e da introdurre con citazione) o di proporre la domanda secondo il rito sommario ex art. 702 bis c.p.c.; che, avendo il difensore richiesto il decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 633 e ss. c.p.c., senza menzionare l’art. 14, d.lgs. 150/2011, il giudice era tenuto a procedere con il rito ordinario e a concedere i termini dell’art. 183 c.p.c. richiesti dalla ricorrente. La domanda andava rivolta, inoltre, alla Corte d’appello, discutendosi dei compensi relativi al giudizio di secondo grado.
Il primo motivo è infondato.
L’opposizione aveva ad oggetto il decreto ingiuntivo ottenuto dal resistente per il pagamento dei compensi professionali relativi alle attività di difesa esauritesi con la pronuncia della Corte d’appello di Bari n. 190/2009.
La domanda monitoria è stata proposta in data 7.10.2011 ed era sottoposta al regime dell’art. 14, d.lgs. 150/2011.
La norma dispone che le controversie previste dall’articolo 28 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e l’opposizione proposta a norma dell’art. 645 c.p.c. contro il decreto ingiuntivo riguardante onorari, diritti o spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali sono regolate dal rito sommario di cognizione, ove non diversamente disposto.
Le suddette controversie possono, quindi, essere alternativamente introdotte: a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14, d.lgs. 150/2011; b) ai sensi degli artt. 633 segg. c.p.c., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702 bis segg. c.p.c., integrato dalla disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c..
E’ invece esclusa la possibilità di introdurre l’azione con il rito ordinario di cognizione o con quello del procedimento sommario ordinario disciplinato dagli artt. 702 bis e ss. c.p.c. (Cass. s.u. 4485/2018).
Ne discende che anche l’opposizione ex art. 645 soggiace al rito sommario e va introdotta con ricorso, fermo che, ove proposta con citazione, la congiunta applicazione dei commi primo e quarto dell’art. 4, d.lgs. 150/2011, rende l’errore privo di conseguenze (Cass. s.u. 4485/2018).
Riguardo alla competenza, la questione non risulta sollevata nei gradi di merito ed è perciò preclusa, ma, in ogni caso, l’art. 14 non introduce un criterio esclusivo di competenza, poiché, ai sensi del primo comma dell’articolo 637 c.p.c., la domanda di pagamento dei compensi può esser proposta anche dinanzi all’autorità giudiziaria del luogo ove ha sede il consiglio dell’Ordine al cui albo cui è iscritto il difensore (Cass. 18264/2016).
2. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 1176 e 2236 c.c., 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c..
Il Tribunale, nel respingere la domanda riconvenzionale volta alla condanna del difensore al risarcimento del danno, non avrebbe considerato che il resistente, omettendo di chiamare in causa l’altra coassicuratrice (F. Sai s.p.a.), aveva determinato l’esito sfavorevole del giudizio di appello e che inoltre aveva omesso di informare la ricorrente della scelta processuale adottata, non consentendole di valutare se assumere il rischio della soccombenza in giudizio, ed in palese violazione degli obblighi di diligenza professionale, non aveva interrotto il termine di prescrizione del credito verso la coassicuratrice, né informato la ricorrente della possibilità di proporre ricorso in cassazione.
Il motivo è infondato.
La circostanza che il difensore non avesse interrotto il termine di prescrizione dell’azione verso la F. s.p.a. né informato e concordato con la cliente se procedere alla chiamata in giudizio della coassicuratrice, omettendo anche di informarla sulla possibilità di proporre il ricorso in cassazione, appare oggetto di una deduzione nuova, non sollevata nei gradi di merito, e di cui non vi è menzione nella decisione impugnata.
Di conseguenza non può essere esaminata in sede di legittimità.
2.2. La responsabilità professionale dell’avvocato, la cui obbligazione è di mezzi e non di risultato, presuppone la violazione del dovere di diligenza, da commisurare, ai sensi dell’art. 1176, secondo comma, c.c., alla natura dell’attività esercitata. Non potendo il professionista garantire l’esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali omissioni è ravvisabile solo se, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che senza quell’omissione, il risultato sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, censurabile in sede di legittimità solo per eventuali vizi di motivazione (Cass. 6967/2006; Cass. 16846/2005).
L’imperizia del difensore è configurabile allorché egli ignori o violi precise disposizioni di legge, ovvero risolva in modo errato questioni giuridiche prive di margine di opinabilità, mentre la scelta di una determinata strategia processuale può essere foriera di responsabilità, purché la sua inadeguatezza al raggiungimento del risultato sia valutata (e motivata) dal giudice di merito “ex ante” e non “ex post”, sulla base dell’esito del giudizio (Cass. 11906/2016).
Nel caso in esame il Tribunale, con accertamento in fatto, ha escluso che la riforma della sentenza di primo grado del giudizio proposto dalla P.T. s.r.l. fosse imputabile al difensore, dando rilievo al fatto che la A. Insurance non si era limitata a dedurre la sussistenza della coassicurazione ma aveva sollevato una molteplicità di altre censure alla decisione impugnata ed ha concluso che, perciò, l’appello sarebbe stato comunque proposto.
Ha ritenuto che la possibilità di convenire in causa la coassicuratrice fosse quantomeno dubbia, poiché la polizza non recava la sottoscrizione della F. Sai s.p.a. e tale accertamento, riguardando il merito, si sottrae alle censure sollevate in ricorso, di merito l’accertamento della sussistenza e della gravità dell’inadempimento.
3. Il terzo motivo censura la violazione degli artt. 5, dm. 127/2004, 115 e 166 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c..
Il tribunale avrebbe ritenuto congrue le somme richieste con l’ingiunzione di pagamento sebbene, con la specifica prodotta in giudizio, fossero stati richiesti i compensi massimi e benché il difensore si fosse limitato alla chiamata in causa della A. Insurance s.p.a., senza compiere ulteriori attività difensive. La pronuncia non avrebbe considerato che il valore della causa non eccedeva l’importo di € 16.000 ed avrebbe trascurato l’esito sfavorevole del giudizio, riconoscendo importi superiori a quanto il cliente aveva ottenuto dall’assicuratore.
Il motivo è infondato.
Anzitutto il valore della causa non era stato oggetto dei motivi di opposizione (cfr. sentenza pag. 7) e ciò spiega che la sentenza abbia preso in considerazione il valore dichiarato nella nota specifica.
La questione, stante la sua novità, non può – comunque – esser proposta per la prima volta in sede di legittimità.
Il ricorso non contiene – inoltre – alcun riferimento al contenuto degli atti difensivi e alle attività svolte, impedendo di valutare se effettivamente il resistente si sia limitato alla chiamata in causa dell’assicurazione senza svolgere ulteriori difese.
Resta comunque che la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una motivazione specifica e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando l’interessato specifichi le singole voci della tariffa che siano state oggetto di un’inadeguata valutazione nella pronuncia impugnata, argomentando sulle ragioni della violazione lamentata (Cass. 11583/2004; Cass. 7527/2002; Cass. 15373/2000).
Nessun vincolo derivava dal fatto che il compenso riconosciuto al difensore era superiore alle somme rimborsate, a titolo di manleva, dalla società assicuratrice, poiché non sussiste alcun principio che imponga la perfetta corrispondenza tra i compensi del difensore, relativamente ai rapporti con il cliente, e le somme poste a carico della parte soccombente in giudizio.
4. Il quarto motivo censura la violazione dell’art. 92, 115 e 166 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. per aver la sentenza condannato la ricorrente al pagamento delle spese di lite, benché il mandato professionale non fosse stato diligentemente eseguito e benché la condotta del difensore avesse determinato una riduzione della condanna dell’assicuratore e la mancata attribuzione, per l’intero, delle spese processuali del giudizio di appello.
Il motivo è infondato, poiché, non configurandosi a carico del difensore specifici profili di negligenza, nulla poteva opporre la ricorrente al fine di escludere la sua soccombenza in giudizio e pertanto la sentenza, ponendo a suo carico le spese processuali, ha fatto puntuale applicazione dell’art. 91 c.p.c..
Il ricorso è quindi respinto, con condanna al pagamento delle spese processuali come da dispositivo.
Sussistono le condizioni per dichiarare che la ricorrente è tenuta versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad €. 200,00 per esborsi ed € 2.000,00 per compenso, oltre ad Iva, cpa e rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%.
Si dà atto che la ricorrente è tenuta a versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
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