CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 ottobre 2018, n. 23782
Licenziamento per giusta causa – Comportamenti contrari alle regole deontologiche contenute nel codice etico – Richiesta di prestito di denaro – Proporzionalità della sanzione espulsiva
Rilevato che
1. con sentenza n. 1444, pubblicata il 27.10.2016, la Corte d’appello di Milano, ha confermato la sentenza di primo grado, emessa ex art. 1, comma 57, della legge n. 92 del 2012, di rigetto della domanda di A. G. volta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa dalla società T. s.p.a. in data 16.7.2015 per vari comportamenti contrari alle regole deontologiche contenute nel codice etico (integrità, conflitto di interessi, responsabilità sodale-responsabilità degli affari) nonché agli obblighi di buona fede e correttezza per aver, in più occasioni, chiesto in prestito somme di denaro alla sig.ra B., responsabile di contratto dell’impresa appaltatrice delle pulizie, I. s.p.a., presso le strutture aziendali controllate dalla G., con conseguente atteggiamento di favore nei confronti della suddetta società appaltatrice consistente nella diminuzione dei controlli sulla corretta esecuzione dell’appalto e nello spostamento del tecnico A. (particolarmente meticoloso) presso un cantiere meno importante (ove l’importo delle penali era minimo), e per avere, inoltre, utilizzato la posta elettronica per scopi personali e omesso di approntare misure idonee a tutelare i beni aziendali (chiavi dell’armadietto ove era riposta una macchina fotografica, sottratta);
2. a sostegno della propria decisione la Corte d’appello ha osservato, da un lato, che erano stati provati tutti gli addebiti mossi alla lavoratrice (somme di danaro ricevute dalla responsabile di contratto dell’impresa appaltatrice delle pulizie, sig.ra B., durante la vigenza del contratto di appalto; diminuzione dei controlli nei confronti della ditta appaltatrice nonché spostamento del tecnico A. in altro cantiere; utilizzo della posta elettronica per scopi personali; ricezione di piccoli prestiti dai colleghi; inidonea tutela dei beni aziendali) e che appariva rilevante la qualifica professionale della G., quadro di primo livello, responsabile del contratto pulizie (affidato alla società I. s.p.a., sotto la sorveglianza della sig.ra B.) e, dall’altro, che l’art. 61 del CCNL invocato dalla lavoratrice (che prevedeva una sanzione conservativa) non era applicabile al caso di specie escludendo, la clausola, espressamente le mancanze che per la loro particolare gravità erano diversamente perseguibili, ipotesi che – considerate le componenti oggettive e soggettive della condotta – era integrata dal caso di specie, cui erano applicabili le previsioni dell’art. 64 lett. b) o k) del CCNL;
3. avverso tale sentenza, la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi;
4. la società ha resistito con controricorso illustrato da memoria;
Considerato che
5. col primo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970 e 64 del CCNL per il personale della mobilità nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5), avendo, la Corte di merito, erroneamente ritenuto che oggetto della contestazione disciplinare (in piccola parte riprodotta) fosse la richiesta del prestito alla responsabile di contratto della società appaltatrice e non il nesso tra il suddetto prestito e il conseguente atteggiamento di favore nei confronti dell’attività svolta dalla società appaltatrice, con conseguente viziata analisi delle condotte addebitate ed errata ricognizione delle ipotesi di licenziamento elencate dal CCNL applicato in azienda (come emerge dall’analisi dei dati raccolti dalla Commissione aziendale d’inchiesta e relativi ai controlli effettuati sui Lotti 1 e 2 controllati dalla G. che non sono sufficienti a dimostrare l’intento consapevole e fraudolento della lavoratrice);
6. con il secondo ed il terzo motivo, si deduce vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 5) avendo, la sentenza impugnata, attribuito scarso rilievo alla circostanza che il contratto di appalto fosse in fase terminale (e che la I. s.p.a. aveva partecipato alla gara per un Lotto diverso, estraneo alla competenza della G.) e “sbrigativamente liquidato altri aspetti della presente vicenda”, non potendosi ritenere provato mediante le deposizioni testimoniali raccolte l’uso del tecnico A., controllore particolarmente meticoloso, al cantiere “tettoia” (ove l’importo delle penali previste dal contratto di appalto era minimo), trascurandosi poi che l’orario di lavoro del tecnico era stato predisposto dal signor M. (e non dalla G.), omettendo la valutazione di scarsa gravità di ulteriori comportamenti addebitati, quali l’utilizzo della posta elettronica e la ricezione di piccoli prestiti da parte dei colleghi;
7. con il quarto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 della legge n. 300 del 1970 e 59, lett. h), del CCNL applicato nonché vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, nn. 3 e 5) avendo, la Corte territoriale, immotivatamente trascurato – quanto alla mancata tutela dei beni aziendali (macchina fotografica e chiavi) – che la contestazione riguardava non tanto la custodia quanto la sparizione degli oggetti e che il licenziamento è sproporzionato alla condotta, essendo punita, tale mancanza, con la multa dall’art. 59, lett. h) del CCNL;
8. con il quinto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 64 del CCNL applicato (in relazione all’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3) avendo, la Corte territoriale, richiamato – ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva irrogata – le lettere b) e k) dell’art. 64 del CCNL, che fanno riferimento a fattispecie non pertinenti, e trascurato che il contratto collettivo subordina la legittimità del licenziamento per giusta causa all’accettazione “di un qualsiasi compenso, anche non in danaro”, nel caso di specie non sussistente, avendo, la G. ricevuto un semplice prestito, prontamente restituito;
9. i primi quattro motivi appaiono inammissibilmente formulati per aver ricondotto, sotto l’archetipo della violazione di legge censure che, invece, attengono alla tipologia del difetto di motivazione ovvero al gravame contro la decisione di merito mediante una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, non potendosi nemmeno rinvenire un vizio di falsa applicazione di legge, non lamentando, il ricorrente, un errore di sussunzione del singolo caso in una norma che non gli si addice;
10. le censure, invero, non constano nella erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme impugnate bensì in una carente ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa (esterna all’esatta interpretazione della norma di legge) ed ineriscono, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione, sindacato configurabile (nel novellato testo dell’art. 360 n. 5, cod.proc.civ. come interpretato dalle Sezioni Unite n. 8053/2014) soltanto qualora manchi del tutto la motivazione oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittoria da non permettere di individuarla”;
11. la Corte territoriale ha, invero, ampiamente esaminato i fatti controversi, rilevando che “è pacifico che la reclamante [G.] abbia chiesto ed ottenuto da B. la somma di euro 3.000,00. Riguardo alle altre somme ricevute in prestito, la circostanza è stata confermata dai testimoni escussi”, che non si poteva prescindere dalla qualifica rivestita dai soggetti coinvolti (l’una, la G., quadro di primo livello, responsabile del contratto di appalto per le pulizie delle carrozze aggiudicato alla I., l’altra, la B., dipendente della I., con compiti di responsabile del contratto di appalto stipulato con T.) e, dunque, dal “sotteso interesse contrattuale dei soggetti per i quali le stesse prestavano attività lavorativa”, che era irrilevante che al momento del prestito la società appaltatrice era uscente e in regime di proroga in quanto “al momento del prestito il contratto era in essere e che in ogni caso, anche a seguito della cessazione dello stesso, avrebbero continuato a sussistere interessi economici relativi al contratto in capo a entrambe le società” considerati il quantum del corrispettivo, le detrazioni imputabili alle penali, il rinnovo dell’appalto tramite partecipazione alla nuova gara, la sussistenza della clausola di continuità, con conseguente commistione di interessi e che, infine, le deposizioni testimoniali avevano confermato che la G. aveva detto alla B. che avrebbe spostato A. al cantiere (di valore economico minore) “tettoia” per aiutarla, con l’intento sotteso di limitare l’ammontare delle penali;
12. la Corte territoriale ha, inoltre, aggiunto che “anche la sola richiesta di prestito di somme di denaro a soggetti terzi legati da un diretto interesse contrattuale con la società datrice di lavoro costituisce una condotta sufficiente a inficiare il vincolo fiduciario tra le parti, assumendo una gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, indipendentemente dal fatto che il prestito abbia avuto o meno natura di compenso per affari trattati per ragioni di ufficio (lett. b), k), art. 64 CCNL)”;
13. il quinto motivo non è fondato, trattandosi, per un verso, di una valutazione di merito che in quanto basata su valutazione sufficiente ed esente da vizi logici è insindacabile in sede di legittimità e, per l’altro, di una errata interpretazione delle clausole del CCNL;
14. la Corte territoriale, ha valutato, alla luce dei parametri dell’intensità dell’elemento intenzionale, del grado di affidamento richiesto dalle mansioni affidate alla lavoratrice ed al numero e gravità delle condotte e all’intensità dell’elemento intenzionale, la proporzionalità della sanzione espulsiva adottata nei confronti della ricorrente, sussumendo tali condotte nella previsione – più specifica – di cui alla lett. b) del CCNL applicato e, in ogni caso, in quella – più ampia – della lett. k);
15. l’interpretazione fornita dalla Corte territoriale della lett. b) dell’art. 64 del CCNL secondo cui integra la tipizzazione contrattuale del licenziamento per giusta causa (“aver accettato un qualsiasi compenso, anche in denaro”) anche la sola richiesta e ricezione di somme di denaro è rispettosa degli usuali canoni di esegesi negoziale ed in particolare aderente al significato comune dei termini utilizzati nonché alla comune intenzione delle parti sociali (che hanno escluso l’intimazione di provvedimenti conservativi, art. 61 CCNL, per comportamenti che arrechino vantaggio al lavoratore ove ricorra una “particolare gravità”) ed è, comunque, distinta ed autonoma rispetto all’affermata ricorrenza anche della fattispecie di cui alla lett. k) del CCNL (“in genere, per fatti o atti dolosi, commessi in occasione del rapporto di lavoro anche nei confronti di terzi, di gravità tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro, ivi compreso lo svolgimento di attività incompatibili di cui alla lett. f), art. 56 – doveri del personale – del presente CCNL”), fattispecie, quest’ultima, che (al pari della violazione dell’art. 2119 cod.civ.) non risulta censurata;
16. alla luce delle considerazioni svolte il ricorso va rigettato;
17. le spese del presente giudizio, per il principio di soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come in dispositivo;
18. sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti di impugnazione iniziati in data successiva al 30.1.2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
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