CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2021, n. 23720
Lavoro – Decesso a seguito di mesotelioma peritoneale – Nesso causale tra l’attività svolta e la patologia accertata – Responsabilità datoriale – Risarcimento del danno non patrimoniale
Rilevato che
1. La Corte di appello di Brescia ha parzialmente accolto il ricorso proposto da G., M. e T.P. e M. e D.M., eredi di R.C. titolare della Manifattura Italiana Guarnizioni per Macchine C. & C., ed ha ridotto la somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno non patrimoniale in favore di A. e G.D., eredi di E.E.D., deceduta a seguito di mesotelioma peritoneale insorto a seguito dell’attività di operaia roccatrice, trecciatrice e tessitrice addetta alla produzione di manufatti in amianto nel periodo dal 11.12.1968 al 31.12.1981.
2. Il giudice di secondo grado ha ritenuto ammissibile la produzione alla prima udienza di comparizione della dichiarazione di successione degli eredi della signora D., successivamente alla proposizione dell’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata nella memoria di costituzione. Ha confermato la legittimazione passiva degli eredi di R.C.. Ha escluso che la prescrizione potesse decorrere dalla data di cessazione del rapporto del 31.12.1981 o dall’insorgenza nel 2002 della pleuropatia da asbesto evidenziando che la prima diagnosi del mesotelioma era datata al febbraio 2012 e che tale ultima patologia non costituiva una semplice evoluzione della prima malattia accertata ma piuttosto una malattia diversa. Ha confermato il nesso causale tra l’attività svolta e la patologia accertata e la responsabilità datoriale sia sotto il profilo soggettivo che sotto il profilo oggettivo. Ha ritenuto fondati i rilievi formulati nell’appello che investivano la quantificazione del danno che ha commisurato ad € 1000.0 per ogni giorno di ricovero sofferto ed in € 750,00 per ogni giorno di invalidità parziale così ammontando ad € 257.250,00 dal quale ha detratto quanto erogato dall’INAIL (€ 10.664,00) e così per € 246.586.0 oltre accessori di legge.
3. Per la cassazione della sentenza ricorrono G., M. e T.P. e M. e D.M. articolando quattro motivi ai quali resistono con controricorso A. e G.D.. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ..
Considerato che
4. Il primo motivo con il quale è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 414 n. 5 e 420 quinto comma cod. proc.civ. e dell’art. 2697 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. è infondato.
4.1. Va premesso che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto (cfr. Cass. Sez. U. 16/02/2016 n. 2951).
4.2. Gli odierni resistenti nel proporre il giudizio di primo grado hanno affermato di essere eredi della signora D. ed in tale qualità hanno avanzato una domanda di risarcimento del danno non patrimoniale da questa sofferto. In sostanza hanno allegato di essere parti e di essere titolari del diritto al risarcimento del danno iure hereditatis.
4.3. Tale qualità è stata oggetto di contestazione da parte dei controricorrenti e perciò i ricorrenti nella prima difesa utile hanno depositato documentazione attestante la qualità.
5. Con il secondo motivo è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2946, 2934 e 2935 cod.civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod.proc.civ..
5.1. Sostengono i ricorrenti che La Corte avrebbe dovuto ritenere prescritto il diritto al risarcimento atteso che il termine, decennale, decorreva dalla cessazione del rapporto di lavoro nel 1981 ovvero, comunque, dall’insorgenza della malattia nel 2002.
6. Anche tale motivo è infondato. La prescrizione infatti decorre dal momento in cui il lavoratore ha potuto acquisire la piena consapevolezza non solo della malattia, con un danno alla salute apprezzabile, ma anche dell’origine professionale della stessa, indipendentemente da valutazioni meramente soggettive a lui ascrivibili (cfr. Cass. 31/05/2010 n. 13284, 11/09/2007 n. 19022, 29/05/1997 n. 4774 e recentemente Cass. 03/06/2020 n. 10539).
Con riguardo poi all’accertamento della data da cui far decorrere materialmente la prescrizione la Corte territoriale, sulla base dell’indagine svolta dal consulente d’ufficio, ha accertato che il mesotelioma peritoneale, diagnosticato nel febbraio 2012 e che poi aveva condotto a morte la lavoratrice, era malattia diversa e non aggravamento della pleuropatia accertata nel 2002. Si tratta di accertamento di fatto fondato sulle conclusioni rassegnate dall’ausiliario officiato in giudizio che può essere sindacato in sede di legittimità solo in caso di palese deviazione dalle nozioni correnti della scienza medica, di cui però è necessario indicare la fonte, o nell’omissione degli accertamenti strumentali dai quali, secondo le predette nozioni, non si può prescindere per la formulazione di una corretta diagnosi. Nessuna di tali ipotesi ricorre nel caso in esame e pertanto la censura si risolve in un mero dissenso diagnostico non attinente a vizi del processo logico – formale e si traduce, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice (cfr. tra le altre Cass. 13 dicembre 2012, n. 4570).
7. Il terzo motivo di ricorso, con il quale è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti – per avere la Corte trascurato di considerare la complessiva storia lavorativa della D. e la sua esposizione all’amianto che si era protratta dal 1968 al 2004 laddove il rapporto con la Manifatture C. era terminato nel 1981, sicché dei 26 anni di esposizione solo 13 sono trascorsi alle dipendenze della Manifattura Italiana C. – è inammissibile.
7.1. Va rilevato che le circostanze sarebbero risultate dall’anamnesi lavorativa ricostruita dal consulente e non erano state allegate dai ricorrenti odierni quali circostanze impeditive della pretesa azionata. Peraltro, dalla lettura della sentenza di appello non emerge che la questione di un concorso di colpa o di una interruzione del nesso causale, desumibile dalla ricostruzione fattuale del consulente, sia mai stata sollevata davanti al giudice di appello e dunque anche per tale aspetto la censura è inammissibile.
8. Anche il quarto motivo di ricorso – con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1226, 2059 e 113 cod. proc.civ. in relazione alla valutazione equitativa del danno da parte della Corte di appello senza idonea giustificazione- non può essere accolto atteso che l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione, come nella specie, dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito (Cass. 13/10/2017 n. 24070).
La Corte ha ridotto gli importi (da 1350,00 a 1000,00 e da 900,00 a 750,00), rinviando ai criteri in uso presso l’ufficio e utilizza come parametri di valutazione per la liquidazione equitativa l’accertata consapevolezza dell’approssimarsi della morte. Si tratta di motivazione della decisione che da adeguatamente conto dell’uso del potere discrezionale di liquidazione del danno in via equitativa e indica il processo logico e valutativo seguito (cfr. Cass. 15/03/2016 n. 5090).
9. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso va rigettato e le spese, liquidate in dispositivo, vanno regolate secondo il criterio della soccombenza. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, infine, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 7.500,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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