CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2021, n. 23722
Rapporto di lavoro – Concorrenza sleale – Esclusione – Inesistenza di un patto di non concorrenza ex art. 2125
Rilevato che
1. La Corte di appello di Ancona, con la sentenza n. 365 del 2016, ha confermato la pronuncia resa dal Tribunale della stessa sede n. 19 del 2016 con la quale, per quello che interessa in questa sede, era stato escluso che l’attività svolta dall’ex dipendente S.M. della L.O. spa costituisse concorrenza sleale ex art. 2598 cc ovvero fosse comunque illecita ex art. 2043 cc.
2. I giudici di seconde cure hanno ritenuto lecito il comportamento del M., che aveva preso contatti con i produttori cinesi, gli agenti di commercio e la clientela di cui la società si serviva per la commercializzazione dei prodotti nonché aveva costituito una società S. srl operante nello stesso settore strategico delle calzature di cui si occupava la L.O. spa, rilevando che tra i soggetti sopra indicati e tale ultima società non vi era un rapporto di esclusiva; analogamente hanno precisato che l’inesistenza di un patto di non concorrenza ex art. 2125 cc non ostava alla possibilità di costituzione, da parte del M., di una società operante nel settore delle calzature (così come L.O. spa); hanno, infine, sottolineato che la mancata attuazione del piano commerciale da parte della società S.T. spa (per la quale in un primo momento il M. aveva agito) escludeva un danno concorrenziale atteso che la domanda risarcitoria ex art. 2598 cc era stata formulata in concreto solo come domanda generica di condanna al risarcimento dei danni, con un giudizio limitato al solo “an debeatur” della responsabilità.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione L.O. spa affidato a sei motivi cui ha resistito con controricorso S.M..
4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
5. Le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 n. 3 cc e dell’art. 2043 cc, per non avere la Corte territoriale dichiarato l’illiceità della attività non episodica dell’ex dipendente M. volta ad approfittare sistematicamente dell’avviamento commerciale dell’ex datrice di lavoro ovvero per danneggiare quest’ultima: in particolare, per avere attribuito un atipico rilievo scriminante ad un supposto difetto di esclusiva della L.O. spa sulla propria filiera produttiva-commerciale-distributiva, mentre avrebbe dovuto dare applicazione al diritto vivente, accertando il carattere parassitario e comunque illecito dell’attività di concorrenza sleale del M. che non si era certo limitato a mettere a disposizione della S.T. spa le sue capacità professionali.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 2598 n. 3 cc, dell’art. 2043 cc e dell’art. 1473 cc, per non avere la Corte di merito dichiarato il carattere illecito della attività dell’ex dipendente M. volta ad indurre la violazione dell’obbligo di esclusiva e fedeltà, di cui all’art. 1743 cc, degli agenti di commercio della L.O. spa: in particolare, per avere erroneamente fatto derivare dalla qualità di plurimandatari degli agenti M., L. e B., una non meglio specificata mancanza di vincolo di esclusiva con la L.O. spa.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c. 1 n. 3 cpc, degli artt. 2598, 2599 e 2600 cc, nonché dell’art. 2043 cc, per avere erroneamente la Corte di appello escluso l’illiceità dell’attività di concorrenza sleale del M. per asserito difetto di danno effettivo, pur in presenza di domanda inibitoria abbinata a postulazione di condanna generica: in particolare, per avere affermato che per la responsabilità da concorrenza sleale deve essere giudizialmente vagliata solo l’idoneità dell’atto denunciato a produrre effetti dannosi, quando, invece, l’emissione della invocata inibitoria ex art. 2599 cc è dovuta non solo per ordinare la cessazione di una attività in atto, ma anche per ordinare di astenersi in futuro dal compiere una certa attività illecita, pur se nel frattempo compiuta, essendo la tutela offerta dall’ordinamento diretta a preservare l’integrità del patrimonio aziendale e a difenderlo dal compimento di atti potenzialmente dannosi.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, dell’art. 2697 cc, nonché dell’art. 115 co. 1 cpc, per avere erroneamente la Corte territoriale applicato, a carico della L.O. spa, il principio di non contestazione in ordine ai fatti estranei alla sfera di diretta conoscibilità di essa società: in particolare, per avere ritenuto che fosse onere della L.O. spa contestare specificamente l’asserita, da parte del M., mancata attuazione del piano commerciale di natura concorrenziale da parte della società S.T. spa di concerto con l’ex dipendente M., quando, invece, essa L.O. spa non poteva avere diretta contezza della suddetta mancata attuazione di un piano commerciale di altra società.
6. Con il quinto motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ex art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, in punto di mancanza di motivazione in ordine al rigetto della domanda di condanna generica formulata dalla società LO spa: in particolare, per avere la Corte territoriale, da un lato, affermato che la mancanza di un effettivo danno non avrebbe potuto comportare la reiezione della domanda risarcitoria veicolata ab origine dalla L.O. spa nella forma – contenuto di domanda generica e, dall’altro, per avere statuito il rigetto della domanda di condanna generica quale conseguenza della prima deduzione, così lasciando intendere che seppure l’assenza di un effettivo danno non possa comportare il rigetto di una condanna generica, conseguentemente la domanda di condanna generica andava rigettata per il difetto di un concreto danno.
7. Con il sesto motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ex art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per violazione dell’art. 112 cpc, per avere la Corte territoriale dichiarato l’inesistenza del danno da attività di concorrenza sleale ex art. 2598 cc, o comunque illecita ex art. 2043 cc, in relazione alla sola domanda di condanna generica da parte della L.O. spa, senza che il destinatario della medesima domanda (S.M.) avesse richiesto che l’oggetto del giudizio fosse esteso all’accertamento della inesistenza del danno, così incorrendo nel vizio di extra-petizione.
8. Il primo ed il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono inammissibili.
9. Invero, le violazioni di legge denunciate sono insussistenti, in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalle disposizioni di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013; Cass n. 3010 del 2012).
10. In realtà, i due motivi scrutinati, in relazione alle circostanze in essi rappresentate, sono essenzialmente intesi alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto, di esclusiva spettanza del giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 6288 de 2011).
11. Ciò per la argomentazione della Corte di merito che ha evidenziato la assenza di una condotta imputabile al M. a titolo di responsabilità contrattuale (mancando la stipulazione di un patto di non concorrenza) o di altro titolo (ex art. 2598 cc o 2043 cc).
12. Il terzo motivo è anche esso inammissibile perché non si confronta con la ratio decidendi della gravata sentenza che ha escluso la responsabilità del M. per la mancanza di una condotta rilevante, contrattualmente o extra-contrattualmente, in ordine alla violazione dell’obbligo di non concorrenza o alla realizzazione di fatti di concorrenza sleale o illeciti e non per l’asserito difetto di danno effettivo.
13. Il quarto, quinto e sesto motivo, anche essi da trattarsi congiuntamente per la loro interferenza, sono invece fondati per quanto di ragione.
14. E’ opportuno sottolineare che il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 co. 2 n. 4 cpc e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nell’indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando il giudice non indichi affatto le ragioni che lascino trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 25866 del 2010; Cass. n. 3819 del 2020).
15. Inoltre, quanto all’onere di contestazione, questa Corte ha sottolineato come tale onere, la cui inosservanza rende il fatto pacifico e non bisognoso di prova, sussiste soltanto per i fatti noti alla parte, non anche per quelli ad essa ignoti (Cass. n. 14652 del 2016; Cass. n. 3576 del 2013); con l’ulteriore precisazione per cui i fatti allegati da una delle parti vanno considerati pacifici e, quindi, possono essere posti a fondamento della decisione quando siano stati esplicitamente ammessi da controparte oppure quando questa, pur non avendoli espressamente contestati, abbia tuttavia assunto una posizione difensiva assolutamente incompatibile con la loro negazione, così implicitamente ammettendone l’esistenza (Cass. n. 23186 del 2010; Cass. n. 10482 del 2001).
16. Nel caso in esame, il percorso argomentativo adottato nella sentenza impugnata si pone in contrasto con i principi sopra enunciati.
17. Non vi poteva essere una contestazione specifica dell’odierna ricorrente sulla mancata attivazione, da parte della S.T. spa (per la quale il M. agiva) del piano concorrenziale perché si trattava di una circostanza estranea alla sua sfera di conoscibilità: tale circostanza, poi, non risulta neanche in che termini sia stata precisamente allegata.
18. Non è, poi, chiaro, nell’iter decisionale della gravata sentenza, il seguente passaggio decisionale: <2.7. La mancata attuazione del piano commerciale di natura concorrenziale da parte della S.T. spa implicherebbe, poi, almeno sotto tale limitato profilo, la mancanza di un danno concorrenziale e dunque la reiezione della domanda risarcitoria ex art. 2598 cc, se quest’ultima non fosse stata, in concreto, proposta soltanto come domanda generica di condanna al risarcimento del danno (ciò che esclude la rilevanza della inesistenza del danno, trattandosi di giudizio avente ad oggetto soltanto l’an debeatur della responsabilità). 3. Deve, dunque, rigettarsi la domanda di condanna generica al risarcimento del danno da concorrenza ex art. 2598 o 2043 cc e deve, pertanto, confermarsi la sentenza appellata>.
19. Invero, è ravvisabile un contrasto inconciliabile circa le affermazioni secondo cui l’assenza di un effettivo danno non può comportare il rigetto di una condanna generica che, però, nella fattispecie pare sia stata respinta per il difetto di un concreto danno.
20. Alla stregua di quanto esposto, il quarto, quinto e sesto motivo vanno accolti per quanto di ragione; la sentenza impugnata va cassata in parte qua e la causa deve essere rinviata alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame in relazione alle censure accolte, provvedendo, altresì, alla determinazione sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il quarto, quinto e sesto motivo per quanto di ragione, inammissibili il primo, secondo e terzo; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
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