CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2021, n. 23723

Lavoro – Patto di non concorrenza – Nullità – Recesso unilaterale operato dal datore in costanza di rapporto di lavoro – Contrasto con le norme imperative

Rilevato che

1. Con la sentenza n. 936 del 2016 la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale di Reggio Emilia il 7.4.2015 con la quale era stata respinta la domanda proposta da C.C., nei confronti di A.I. spa di cui era stata dipendente dal 3.4.2000 fino al 31.3.2011 allorquando era stata dimessa, diretta ad ottenere la somma di euro 40.246,31 quale compenso dovuto per la clausola del patto di non concorrenza per i due anni successivi alla cessazione del rapporto, pattuita al momento della assunzione.

2. La Corte di merito ha rilevato, sul presupposto del chiaro tenore letterale della clausola in oggetto, che il patto de quo era sottoposto ad una condizione potestativa a favore di parte datoriale, che si era riservata, al momento della risoluzione del rapporto, di decidere se avvalersene o meno e che una siffatta clausola era stata ritenuta nulla, per contrasto con norme imperative, in sede di legittimità. Tuttavia, la Corte territoriale ha sottolineato che, nella fattispecie, il contrasto con le norme imperative non era ravvisabile perché il datore di lavoro aveva esercitato il diritto di recesso ben sei anni prima della risoluzione del rapporto di lavoro per cui la lavoratrice non aveva subito alcun sacrificio, in relazione alla facoltà di riorganizzare il proprio futuro lavorativo e da indennizzare con la indennità pretesa.

3. Avverso la decisione di seconde cure ha proposto ricorso per cassazione C.C. affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso A.I. spa.

4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.

5. Le parti hanno depositato memorie.

Considerato che

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2125 cc, dell’art. 1344 cc, dell’art. 1373 cc, in ordine alla nullità della clausola di recesso unilaterale, nonché all’illegittimità del recesso intimatole da A.I. spa. Deduce, in particolare, l’erroneità in punto di riconosciuta validità del recesso unilaterale dal patto di non concorrenza operato dal datore di lavoro in corso di rapporto di lavoro, in palese contrasto e difformità dai principi normativi imperativi, anche univocamente richiamati nella giurisprudenza della Suprema Corte di legittimità.

3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cpc, la violazione nonché falsa applicazione dell’art. 1373 cc comma 3, dell’art. 1362 cc, dell’art. 2125 cc circa l’illegittimità del recesso intimato in corso di rapporto di lavoro. Si sostiene l’erroneità della sentenza in punto di riconosciuta validità del recesso unilaterale del patto di non concorrenza operato dal datore di lavoro in corso di rapporto di lavoro, mediante un improprio richiamato principio di diritto, anche contrastante con una diversa previsione contrattuale specifica ovvero con la prevista forma scritta ex lege.

4. Il ricorso è fondato e va accolto in parte qua.

5. I due motivi, per la loro interferenza, devono essere scrutinati congiuntamente e in relazione ad essi vanno richiamati i precedenti di questa Corte di legittimità pronunciati in analoghe vicende (Cass. n. 10536 del 2020; Cass. n. 10535 del 2020; Cass. n. 3 del 2018), cui questo Collegio ritiene di dare seguito.

6. Invero, è stato affermato che la previsione della risoluzione del patto di non concorrenza rimessa all’arbitrio del datore di lavoro concreta una clausola nulla per contrasto con norme imperative; inoltre, è stato altresì precisato, sempre con la richiamata giurisprudenza di legittimità, che il fatto che, nella fattispecie, il recesso del patto di non concorrenza sia avvenuto in costanza di rapporto di lavoro non rileva, poiché i rispettivi obblighi si sono cristallizzati al momento della sottoscrizione del patto, il che impediva al lavoratore di progettare per questa parte il proprio futuro lavorativo e comprimeva la sua libertà; ma detta compressione, appunto ai sensi dell’art. 2125 cc, non poteva avvenire senza l’obbligo di un corrispettivo da parte del datore: corrispettivo che, nella specie, finirebbe per essere escluso ove al datore stesso venisse concesso di liberarsi ex post dal vincolo (cfr. Cass. n. 3 del 2018).

7. Tali argomentazioni rendono, conseguentemente, non condivisibile l’assunto della Corte territoriale secondo cui, la circostanza che il recesso fosse avvenuto in costanza di rapporto di lavoro, addirittura diversi anni prima (oltre sei) dallo scioglimento dello stesso, non concretizzava alcuna compressione della libertà del lavoratore di progettare il proprio futuro lavorativo.

8. Pertanto, premesso che l’obbligazione di non concorrenza a carico del lavoratore per il periodo successivo alla cessazione del rapporto sorge, nella fattispecie, sin dall’inizio del rapporto di lavoro (Cass. n. 8715 del 2017), tamquam non esset va considerata la successiva rinuncia al patto stesso appunto perché, mediante questa, si finisce per esercitare la clausola nulla, tramite cui la parte datoriale unilateralmente riteneva di potersi sciogliere dal patto, facendo cessare ex post gli effetti, invero già operativi, del patto stesso, in virtù di una condizione risolutiva affidata in effetti a mera discrezionalità di una sola parte contrattuale (Cass. n. 3 del 2018).

9. La trattazione di ogni altra doglianza resta assorbita.

10. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere accolto in parte qua, con la cassazione della gravata sentenza e il rinvio alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame attenendosi ai principi di legittimità sopra esposti e provvederà, altresì, alle determinazioni sulle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso in parte qua; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.