CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 settembre 2022, n. 25853
Lavoro – Trasferimento di ramo d’azienda – Illegittimità della cessione – Mancato ripristino del rapporto di lavoro da parte del cedente – Natura retributiva dei crediti – Meccanismo dell’aliunde perceptum – Inapplicabilità
Rilevato che
1. La Corte d’Appello di Napoli, in riforma della pronuncia di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo e respinto la domanda proposta da A. M. nei confronti di T. I. s.p.a. per ottenere il pagamento delle somme maturate tra il dicembre 2009 e il gennaio 2012, successivamente alla sentenza con cui era stata dichiarata inefficace la cessione del suo contratto di lavoro in relazione al trasferimento di ramo d’azienda avvenuta in favore di C. L. s.p.a.
2. La Corte territoriale ha ritenuto in sintesi che, anche nell’ipotesi di dichiarata nullità o illegittimità della cessione di ramo d’azienda, l’omesso ripristino della funzionalità del rapporto da parte del cedente, a fronte di una tempestiva messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore, rilevi sul piano risarcitorio, con conseguente eccepibilità dell’aliunde perceptum che nella specie, in ragione della circostanza che l’istante aveva percepito le retribuzioni erogate dalla società cessionaria presso cui aveva continuato a prestare attività, era di entità tale da elidere il danno subito.
3. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso A. M. con un unico motivo.
T. I. s.p.a. ha resistito con controricorso.
Considerato che
4. Con il motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 2126 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale qualificato in termini risarcitori e non retributivi l’obbligazione gravante sulla società cedente successivamente alla sentenza con cui è stata dichiarata illegittima la cessione d’azienda e, conseguentemente, per avere ritenuto operante il meccanismo dell’aliunde perceptum.
5. Il motivo è fondato.
6. La questione della natura dei crediti vantati dalla lavoratrice per effetto del mancato ripristino del rapporto di lavoro da parte di T. I. s.p.a., nonostante la sentenza di accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda (cui la stessa era addetta) a C.L. s.p.a., con decorrenza dalla messa in mora, trova soluzione nel senso della natura retributiva e non più risarcitoria (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 25 giugno 2018, n. 16694) sulla scorta dell’insegnamento posto recentemente dalle Sezioni unite civili di questa Corte (sentenza 7 febbraio 2018, n. 2990).
7. Come noto detta pronuncia ha sancito il seguente testuale principio di diritto: “in tema di interposizione di manodopera, ove ne venga accertata l’illegittimità e dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, l’omesso ripristino del rapporto di lavoro ad opera del committente determina l’obbligo di quest’ultimo di corrispondere le retribuzioni […] a decorrere dalla messa in mora“.
8. A tale indirizzo è stato riconosciuto valore di diritto vivente sopravvenuto dalla Corte costituzionale con la sentenza 28 febbraio 2019, n. 29, anche avuto riguardo alla fattispecie della cessione del ramo d’azienda.
9. Infatti la Corte d’Appello di Roma, sezione lavoro, con ordinanza di rimessione del 2 ottobre 2017, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del “combinato disposto” degli artt. 1206, 1207 e 1217 c.c., in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione all’art. 6 CEDU, censurando le citate disposizioni sulla mora del creditore, sul presupposto che limitassero la tutela del lavoratore ceduto – secondo l’interpretazione giurisprudenziale all’epoca accreditata – al risarcimento del danno, anche dopo la sentenza che avesse accertato l’illegittimità o l’inefficacia del trasferimento d’azienda. La Corte costituzionale ha preso atto (al p.to 6.3. del Considerato in diritto) “che l’indirizzo interpretativo, indicato come diritto vivente allorché sono state proposte le questioni di legittimità costituzionale, risulta disatteso dalla suddetta pronuncia delle Sezioni unite, successiva all’ordinanza di rimessione. Tale pronuncia mira a ricondurre a razionalità e coerenza il tormentato capitolo della mora del creditore nel rapporto di lavoro e consente di risolvere in via interpretativa i dubbi di costituzionalità prospettati”. Dalla “qualificazione retributiva dell’obbligazione del datore di lavoro moroso” il Giudice delle leggi ha tratto la conseguenza di “privare di fondamento, …, le questioni di legittimità costituzionale insorte sulla base di un’interpretazione di segno antitetico”.
10. Pertanto, una volta sancita la natura retributiva delle somme da erogarsi dal cedente inadempiente al comando giudiziale ed escluso che la richiesta di pagamento dei lavoratori abbia titolo risarcitorio, non trova applicazione il principio della compensatio lucri cum damno su cui si fonda la detraibilità dell’aliunde perceptum dal risarcimento (v. Cass. n. 21158 del 2019; n. 21160 del 2019; n. 28500 del 2019).
11. Poiché la Corte d’appello non si è attenuta ai richiamati principi di diritto, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, comma 2, cod. proc. civ., con il rigetto dell’opposizione proposta da T. I. s.p.a. avverso il decreto ingiuntivo n. 429 del 2012 emesso dal Tribunale di Napoli.
12. L’esistenza di contrastanti interpretazioni giurisprudenziali all’epoca di svolgimento del primo e secondo grado di giudizio giustifica la compensazione delle spese di lite di entrambi i gradi di merito.
13. Le spese del giudizio di legittimità sono invece regolate secondo il criterio di soccombenza e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione di T. I. s.p.a. al decreto ingiuntivo n. 429 del 2012 emesso dal Tribunale di Napoli.
Compensa le spese di lite del primo e del secondo grado di giudizio.
Condanna T. I. s.p.a. alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 1.800,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
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