CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 agosto 2022, n. 23918
Lavoro – Direttore editoriale – Natura subordinata del rapporto intercorso con l’editore – Valore probatorio del verbale di conciliazione – Omessi contributi previdenziali – Avviso di pagamento INPS – Legittimità
Ritenuto in fatto
Con sentenza n.922/15, la Corte d’appello di Catanzaro confermava la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato legittimo l’avviso di pagamento emesso dall’Inps nei confronti di C. R., e avente ad oggetto il pagamento di contributi previdenziali su una somma corrisposta in forza di verbale di conciliazione giudiziale stipulato tra lo stesso C., editore del periodico S., e I. M., direttore responsabile del periodico.
Riteneva la Corte che tra i due fosse sorto un rapporto di lavoro subordinato, come confermato dal tenore del verbale di conciliazione del 17.4.96 in riferimento al periodo dal 1.1.93 al 30.11.95. Né le risultanze dell’istruttoria testimoniale avevano dimostrato la sussistenza di un rapporto di lavoro autonomo. Respingeva infine l’eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo all’Inps per essere l’obbligo contributivo relativo ad epoca precedente il 2001, quando ancora non era obbligatoria l’assicurazione dei giornalisti presso l’Inpgi.
Contro la sentenza, C. R. ricorre per un solo motivo.
L’Inps ha conferito delega in calce alla copia notificata del ricorso.
Considerato in diritto
Con l’unico motivo di ricorso, C. R. denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.3 e 5 l. n.47/48.
Il corpo del motivo presenta due distinti argomenti di censura avverso la sentenza. La Corte avrebbe errato nel ritenere la legittimazione attiva in capo all’Inps quando invece essa spettava all’Inpgi, unico ente previdenziale per giornalisti e pubblicisti.
La Corte avrebbe poi errato nel qualificare come rapporto di lavoro subordinato anziché autonomo, quello intercorrente tra l’editore e il direttore del periodico. A prescindere dal testo del verbale di conciliazione, la giusta considerazione del materiale probatorio versato in atti avrebbe dovuto indurre la Corte ad accertare la natura autonoma della prestazione lavorativa.
Nelle sue due articolazioni, il motivo si presenta inammissibile.
Va innanzitutto rilevato che la rubrica del ricorso richiama norme, gli artt. 3 e 5 l. n. 47/85, non pertinenti al contenuto del motivo d’impugnazione, e riferite alla figura del direttore responsabile e della registrazione di giornali o periodici.
Tanto premesso, la censura relativa al difetto di legittimazione è priva di specificità, non chiarendo se I. fosse giornalista professionista o pubblicista, né se fosse iscritto all’albo professionale. Per il periodo anteriore al 2001, l’iscrizione all’Inpgi vigeva per i giornalisti professionisti, mentre per i pubblicisti l’iscrizione obbligatoria era presso l’Inps, poi passata all’Inpgi a far data dal 1.1.2001 in forza dell’art.76 l. n.388/00, modificativo dell’art.38 l. n.416/81 (v. sul punto Cass.15162/19). Essendo pacifico che il rapporto lavorativo risale a epoca anteriore, il motivo di ricorso avrebbe dovuto allegare, nel rispetto del criterio di specificità, che I. era giornalista professionista iscritto all’albo, poiché solo l’iscrizione all’albo professionale determina l’assicurazione presso l’Inpgi (Cass.16383/08, Cass.3385/11).
La censura riguardante la ricorrenza, in concreto, di un rapporto di lavoro autonomo e non subordinato, è parimenti inammissibile. Essa rientra non nella violazione di legge bensì del vizio di motivazione, senza però che il motivo adduca alcunché sulla ricorrenza dei presupposti di cui all’art. 360, co.1, n.5 c.p.c.
Questa Corte ha affermato che costituisce accertamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità, la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice ad includere il rapporto nello schema contrattuale del lavoro subordinato o di quello autonomo (v. Cass.5079/09; in tema di lavoro giornalistico, v. Cass.22785/13, secondo cui non è censurabile in sede di legittimità, se non nei limiti del vizio di motivazione, la valutazione in concreto dei criteri su cui fondare la natura subordina oppure autonoma del rapporto). Peraltro, dopo la riforma dell’art.360, co.1, n.5 c.p.c., la valutazione compiuta dal giudice di merito sulla natura subordinata o autonoma del rapporto di lavoro può essere sindacata in sede di legittimità nei limiti più ristretti di una motivazione totalmente omessa su un fatto decisivo per il giudizio, che sia stato oggetto di discussione tra le parti.
Ora, la sentenza ha motivato l’affermazione di un rapporto di lavoro subordinato alla luce delle evidenze probatorie acquisite. Dopo aver premesso che le dichiarazioni testimoniali risultavano generiche e non dirimenti, non avendo i testi saputo specificare nulla sul concreto atteggiarsi del rapporto intercorso tra C. e I., ha valorizzato il tenore letterale del verbale di conciliazione, che parlava di rapporto di lavoro e di retribuzione. Tanto ha fatto in conformità all’orientamento di questa Corte secondo cui l’Inps può azionare il credito contributivo provando in qualsiasi modo, compreso il tenore stesso del contratto dì transazione, le somme assoggettabili a contribuzione (v. Cass.12035/20).
Il motivo di ricorso non porta alcuna censura specifica a tale argomentazione, né, più in generale, s’incarica di allegare i presupposti che, secondo l’art.360, co 1, n.5 c.p.c., sono necessari per sottoporre a sindacato di legittimità il vizio di omessa motivazione. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile, senza alcuna pronuncia sulle spese, non avendo svolto l’Inps attività difensiva.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso;
dà atto che, attesa l’inammissibilità, sussiste il presupposto processuale di applicabilità dell’art.13, co.1 quater, d.P.R. n.115/02, con conseguente obbligo in capo a parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
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