CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 aprile 2019, n. 9140
Imposte dirette – IRPEF – Reddito da lavoro autonomo – Diniego tacito rimborso – Ricorso per Cassazione
Rilevato che
– Con sentenza n. 574/5/17 depositata in data 20 febbraio 2017 la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione distaccata di Catania (in seguito, la CTR), respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 30/1/13 della Commissione tributaria provinciale di Ragusa (in seguito, la CTP) che aveva accolto il ricorso di C. R., quale erede di Costa Giuseppe (in seguito, il contribuente), contro il diniego tacito di rimborso IRPEF 1990, 1991 e 1992;
– La CTR osservava in particolare che al contribuente, titolare di un reddito da lavoro autonomo, spettava “il diritto (…) al rimborso del 90% delle somme pagate per Irpef ed Ilor per gli anni 1990-1191- 1992 qualora la relativa istanza fosse stata presentata entro il 1.3.2010”;
– Avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi;
– Resiste la contribuente, con controricorso, che illustra con memoria.
Considerato che
– In via preliminare, vanno esaminate le eccezioni formulate in controricorso di manifesta inammissibilità del ricorso dell’Agenzia per mancata impugnazione di un capo decisivo e formazione del giudicato, ex art.366 cod. proc. civ. per mancata indicazione delle specifiche enunciazioni contenute nella sentenza oggetto di impugnazione, per difetto di autosufficienza del primo motivo e per essere il secondo motivo una ripetizione del primo;
– Le eccezioni preliminari si appalesano prive di fondamento in quanto, a differenza di quanto argomenta la contribuente, l’impugnazione della sentenza proposta con il ricorso è radicale, ed investe l’unica ratio decidendi, che ha ritenuto il rimborso delle imposte oggetto dell’istanza amministrativa compatibile con il diritto comunitario. Inoltre, il ricorso alle pag.2 e 3 ripropone la succinta motivazione della CTR oggetto di censura e ciò risulta pienamente rispondente ai requisiti dell’art. 366 cod. proc. civ., ai fini tanto dell’autosufficienza quando dell’indicazione delle enunciazioni impugnate e, infine, il secondo motivo lamenta la violazione della novella introdotta dall’art.16 octies d.l. n.91 del 2017, convertito in I. n.190 del 2014 alla disciplina applicabile e non è perciò inammissibile, ma esaminabile congiuntamente al primo motivo, per connessione;
– Con il primo ed il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. – l’agenzia fiscale ricorrente lamenta la violazione/falsa applicazione degli artt. 9, comma 17, legge 289/2002, 1, comma 665, legge 190/2014, della Sesta Direttiva CEE n. 388/77 e giurisprudenza unionale relativa, della decisione della Commissione UE 5549/2015 final, poiché la CTR ha dichiarato dovuto il rimborso che era stato legittimamente negato;
– Le censure, da esaminarsi congiuntamente per stretta connessione, sono fondate. Si deve anzitutto premettere che nel caso di specie lo svolgimento da parte del contribuente Costa Giuseppe – di cui C. R. è erede – di un’attività di impresa negli anni di imposta, nel senso di cui infra, è pacifico ed è stato accertato dalla stessa CTR;
– Ne consegue che lo svolgimento di un’attività di “impresa” (nel senso che appunto si preciserà appena oltre) costituisca un limite all’applicabilità del beneficio in esame, così come previsto dall’art. 1, comma 665, prima parte, legge n. 190 del 2014, posto che il diritto al rimborso delle imposte versate per il triennio 1990-1992 in misura superiore al 10 per cento previsto dall’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, in favore dei “soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990, che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, individuati ai sensi dell’articolo 3 dell’ordinanza del Ministro per il coordinamento della protezione civile 21 dicembre 1990, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 299 del 24 dicembre 1990” è escluso per “quelli che svolgono attività d’impresa, per i quali l’applicazione dell’agevolazione è sospesa nelle more della verifica della compatibilità del beneficio con l’ordinamento dell’Unione europea” ed altresì atteso che la Corte di giustizia nella sentenza del 17/07/2008, in causa C-132/06 aveva già rilevato l’incompatibilità delle disposizioni condonistiche di cui alla legge n. 289 del 2002 con il sistema comune dell’IVA, in quanto, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano, alteravano il principio di neutralità fiscale;
– Vi è poi da osservare che con riferimento a tale beneficio la Commissione UE, con la decisione del 14/08/2015, C(2015) 5549 final – senz’altro da ritenersi vincolante per il giudice nazionale, che deve darvi attuazione anche attraverso la disapplicazione delle norme interne con essa contrastante (Cass. n. 15354 del 2014 e n. 22377 del 2017), all’art. 1 ha stabilito, in via generale, che “Le misure di aiuto di Stato in oggetto (Legge 27 dicembre 2012, n. 289, articolo 9, comma 17, e successive modifiche e integrazioni; Legge 24 dicembre 2003, n. 350, articolo 4, comma 90, e successive modifiche e integrazioni; Legge 23 dicembre 2005, n. 266, articolo 1, comma 363, e successive modifiche e integrazioni; Legge 27 dicembre 2006, n. 296, articolo 1, comma 1011, e successive modifiche e integrazioni; Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, comma 109, e successive modifiche e integrazioni; Decreto legge 29 novembre 2008, n. 185, articolo 6, comma 4-bis e 4-ter, e successive modifiche e integrazioni; Legge 12 novembre 2011, n. 183, articolo 33, comma 28, e successive modifiche e integrazioni; e tutti gli atti esecutivi pertinenti previsti dalle leggi sopraccitate), che riducono tributi e contributi dovuti da imprese in aree colpite da calamità naturali in Italia dal 1990 e cui l’Italia ha dato effetto in maniera illegale in violazione dell’articolo 108, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, sono incompatibili con il mercato interno”, salvo che si tratti di “aiuto individuale” che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento (CE) n. 1407/2013 o dal regolamento (CE) n. 717/2014”, ovvero dei regolamenti che prevedono gli aiuti c.d. de minimis (art. 2 della decisione) o che, “al momento della sua concessione, soddisfa le condizioni previste dal regolamento adottato in applicazione dell’articolo 1 del regolamento (CE) n. 994/98” (del 7 maggio 1998, sull’applicazione degli articoli 92 e 93 [ora 87 e 88] del trattato che istituisce la Comunità europea a determinate categorie di aiuti di Stato orizzontali) “o da ogni altro regime di aiuti approvato”, ma “fino a concorrenza dell’intensità massima prevista per questo tipo di aiuti” (art. 3);
– Tale decisione della Commissione UE, impugnata da una società siciliana (T-172/16), è stata confermata dal Tribunale di primo grado UE con sentenza del 26 gennaio 2018. Si deve tuttavia precisare che secondo la Commissione UE “una decisione negativa in merito ad un regime di aiuti non pregiudica la possibilità che determinati vantaggi concessi nel quadro dello stesso regime non costituiscano di per sé aiuti di Stato o configurino, interamente o in parte, aiuti compatibili con il mercato interno (ad esempio perché il beneficio individuale è concesso a soggetti che non svolgono un’attività economica e che pertanto non vanno considerati come imprese oppure perché il beneficio individuale è in linea [con] il regolamento de minimis applicabile oppure perché il beneficio individuale è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato o un regolamento di esenzione)” (p. 134 della “decisione”);
– Diverse le conseguenze che discendono da tale affermazione. La prima, ovviamente, è quella della necessità di individuare la categoria di impresa “comunitaria”, all’interno della quale collocare i vari soggetti economici, perché evidentemente soltanto l’appartenenza a tale categoria rende di per sé inapplicabile, salvo le precisazioni di cui ai citati artt. 2 e 3 della decisione (di cui si dirà in prosieguo), il beneficio di cui alla disposizione in esame;
– A livello di normazione unionale, manca una specifica definizione di “impresa”, proprio come avviene nell’ordinamento interno, in cui dalla definizione di “imprenditore” di cui agli artt. 2082 e 2083 cod. civ., può dedursi che per impresa si deve intendere un’attività economica professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. E proprio come nell’ordinamento unionale, la nozione di impresa, che può ricavarsi dall’ampia profusione giurisprudenziale, presenta caratteri comuni a quella di “attività economica”, perché questa ne rappresenta l’elemento costitutivo;
– Sono quindi rilevanti sul piano normativo l’art. 9, par.l della Direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, stabilisce – in maniera sostanzialmente identica alla precedente Sesta Direttiva (77/388/CEE) – che sia considerato soggetto passivo “chiunque esercita, in modo indipendente e in qualsiasi luogo, un’attività economica, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di detta attività”, specificando che per attività economica deve intendersi qualsiasi attività di produzione, commercializzazione o prestazione di servizi, cui si unisce ogni forma di sfruttamento di un bene materiale o immateriale cui consegua un guadagno stabile; ma anche l’art. 1, par. 8 della Direttiva 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, secondo cui “i termini imprenditore, fornitore e prestatore di servizi designano una persona fisica o giuridica o un ente pubblico o un raggruppamento di tali persone e/o enti che offra sul mercato, rispettivamente la realizzazione di lavori e/o opere, prodotti e servizi”-, – Più esplicita è, invece, la giurisprudenza unionale (cfr., ad esempio, Corte di giustizia CE, sentenza 26 marzo 2009, causa C-113/07, Se- lex Sistemi Integrati/ Commissione e Eurocontrol), secondo cui la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento (sentenze 23 aprile 1991, causa C- 41/90, Hòfner e Elser, Racc. pag. 1-1979, punto 21; 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurances e a., Racc. pag. 1-4013, punto 14, e 11 dicembre 1997, causa C- 55/96, Job Centre, Racc. pag. 1-7119, punto 21) e che costituisce un’attività economica qualsiasi attività che consista neN’offrire beni o servizi su un determinato mercato (Corte giustizia, sent. 16 giugno 1987, causa 118/85, Commissione/Italia, Racc. pag. 2599, punto 7; cause riunite da C180/98 a C184/98, Pavlov e a., Racc. pag. 16451, punto 75, nonché 1° luglio 2008, causa C49/07, MOTOE, Racc. pag. 14863, punto 22);
– L’affermazione rinvenibile al punto 134 della decisione della Commissione UE sopra citata, laddove si dice che i “soggetti che non svolgono attività economica […] non vanno considerati come imprese”, rappresenta una chiara conferma del fatto che la nozione di impresa in ambito unionale è costruita sul concetto di “attività economica”, nel senso individuato dalla citata giurisprudenza della Corte di giustizia. L’ampiezza della nozione di impresa ha condotto la Corte di giustizia a ricomprendervi anche le attività professionali, pur se regolamentate da norme nazionali e soggette a precise autorizzazioni. A tale conclusione la giurisprudenza unionale è pervenuta, ad esempio, in sede di applicazione della normativa antitrust (artt. da 101 a 106 del TFUE, già artt. da 81 a 86 del Trattato CE) per quanto riguarda l’attività degli spedizionieri doganali, che “presenta natura economica” in quanto “offrono, contro retribuzione, servizi” (Corte di giustizia, sent. 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione contro Repubblica Italiana, p. 37), proprio in considerazione del fatto che “la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che eserciti un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento” (p. 36). Pertanto, ai fini della nozione “comunitaria” di impresa, come correttamente osservato anche in dottrina, nessuna rilevanza può attribuirsi all’elemento soggettivo, sia sotto il profilo della qualifica dell’attività (di impresa o professionale, di lavoro autonomo e di esercente attività c.d. protette) sia sotto il profilo della struttura propria del soggetto (persona fisica o ente collettivo; soggetto di diritto privato o di diritto pubblico), in quanto il soggetto passivo è identificato in funzione dell’attività economica svolta. Significativa, in tal senso, anche la decisione 95/188/CE della Commissione, del 30 gennaio 1995, COAPI (Colegio Oficial de Agen- tes de la Propriedad Industriai) relativa ad una procedura di applicazione dell’articolo 85 del trattato CE, che ha molto chiaramente precisato che il fatto che gli API (Agentes de la Propiedad Industriai) “costituiscano una libera professione regolamentata ai sensi della legge spagnola e della direttiva 89/48/CEE del Consiglio, che le prestazioni abbiano carattere” intellettuale, tecnico o specializzato e siano fornite su base personale e diretta non cambia nulla alla natura di attività economica” e ciò perché secondo la Corte di giustizia, sentenza del 23 aprile 1991 nella causa C-41/90 Hoefner/Macroton, “la nozione di impresa abbraccia qualsiasi entità che esercita un’attività economica, a prescindere dallo status giuridico di detta entità e dalle sue modalità di finanziamento” (p. 32). In senso analogo si è espressa la Corte di giustizia nella sentenza del 12 settembre 2000, nelle cause riunite da C-180/98 a C-184/98, in relazione alla posizione dei medici specialisti (p. 77, laddove, sempre con riferimento alla normativa sulla concorrenza, afferma che “i medici specialisti autonomi membri della LSV svolgono un’attività economica e, pertanto, costituiscono imprese ai sensi degli artt. 85, 86 e 90 del Trattato, senza che la natura complessa e tecnica dei servizi da loro forniti e la circostanza che l’esercizio della loro professione è regolamentato siano tali da modificare questa conclusione (v., in tal senso, sentenza 18 giugno 1998, Commissione/Italia, già citata, punti 37 e 38)”);
– La seconda conseguenza che discende dall’affermazione di cui sopra è quella secondo cui, una volta accertato lo svolgimento di un’attività economica (commerciale o professionale) da parte della contribuente, i giudici di appello dovranno altresì accertare che il beneficio individuale rispetti il regolamento de minimis (artt. 2 e 3 della citata decisione), “tenendo conto, in specie, che la regola de minimis, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, TFUE, può considerarsi inapplicabile, costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, per modo che, quando la soglia dell’irrilevanza dovesse essere superata, il beneficio dovrà essere negato nella sua interezza” (cfr. Cass. n. 22377 del 2017 che richiama Cass. n. 11228 del 2011) e, in difetto, valutare la sussistenza delle condizioni che, secondo la decisione della Commissione UE del 14/08/2015, C (2015) 5549 final, fanno ritenere comunque compatibile gli aiuti in esame con il mercato interno, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 2, lettera b), del TFUE, ovvero che si tratti di “aiuti destinati a compensare i danni causati da una calamità naturale” (p. 150, lett. b)), sempre che sussista “un nesso chiaro e diretto tra i danni subiti dalla singola impresa in seguito alle calamità naturali in oggetto e l’aiuto di Stato concesso a norma delle misure in esame” (p. 136), che presuppone necessariamente (ma non unicamente) che il beneficiario abbia sede operativa nell’area colpita dalla calamità naturale al momento dell’evento, e che sia evitata una sovracompensazione rispetto ai danni subiti dalla impresa, scorporando dal danno accertato l’importo compensato da altre fonti (assicurative o altre misure di aiuto: cfr. punto 148 della decisione della Commissione);
– Al riguardo, premesso che la prova delle suddette circostanze è a carico del soggetto che invoca il beneficio, in sintonia con quanto affermato da Cass. n. 22377 del 2017 citata, deve ricordarsi anche il principio, al quale dovrà attenersi la Commissione di appello, secondo cui, “posto che l’invocazione dello ius superveniens” (alla cui stregua va ricondotta la decisione della Commissione UE) “e il giudizio positivo sulla idoneità della nuova disciplina giuridica ad incidere sulla decisione della lite costituiscono fattori sufficienti e determinanti per la cassazione della sentenza, dev’essere consentita, in sede di rinvio, l’esibizione di quei documenti prima non ottenibili ovvero l’accertamento di quei fatti che in base alla precedente disciplina non erano indispensabili, ma che costituiscono il presupposto per l’applicazione della nuova regola giuridica” (cfr. in tal senso già Cass. n. 5224 del 1998, cit.);
– Orbene, nel caso di specie all’obbligo motivazionale sopra riassunto, la CTR siciliana si è totalmente sottratta, non essendo in alcun modo argomentato, a differenza di quanto ritiene la contribuente in memoria, il se e per quali ragioni sarebbe applicabile al caso di specie il regolamento de minimis, i cui presupposti nei termini indicati dovranno essere attentamente vagliati dal giudice del merito in sede di rinvio (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016, Rv. 641526 – 01; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830);
Conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata viene cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame in relazione ai profili accolti, e per il regolamento delle spese di lite.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR Siciliana, sez. staccata di Catania, in diversa composizione, in relazione ai profili accolti e per il regolamento delle spese di lite.
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