CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 aprile 2020, n. 7652
Tributi – IRAP – Promotore finanziario monomandatario – Rimborso – Assenza di autonoma organizzazione – Valutazione del giudice di merito – Necessità
Rilevato che
1. M.F. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 1294/29/14 della Commissione Tributaria Regionale della Campania, emessa in data 28/1/2014, depositata in data 10/2/2014 e non notificata, che, in controversia avente ad oggetto l’impugnativa del silenzio rifiuto sull’istanza, presentata il 28/11/2008, di rimborso dei versamenti Irap per gli anni dal 2004 al 2008, rigettava l’appello del contribuente, confermando la sentenza di primo grado, sfavorevole allo stesso;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R., rilevava che, dalla documentazione agli atti, si evinceva che in talune annualità il contribuente aveva sostenuto costi elevati (euro 144.431,00 nel 2005, euro 93.620,00 nel 2006, euro 155.145,00 nel 2007, la gran parte imputati alla voce generica “altri componenti negativi”) ed che in altre aveva sostenuto costi per lavoro dipendente superiori a 20.000,00 euro annui;
inoltre, il giudice di appello evidenziava come, a fronte delle contestazioni dell’Agenzia delle Entrate sull’elevata entità dei costi connessi all’attività, il contribuente si era limitato ad addurre l’ingente volume di affari, mentre, avendo richiesto il rimborso, avrebbe dovuto dimostrare l’assenza di un’autonoma organizzazione;
3. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso;
4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 26 giugno 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
5. in data 17/6/2019 il ricorrente ha depositato memoria oltre i termini di cui all’art. 380 bis n. 1 c.p.c.;
Considerato che
1.1. con il primo motivo, il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 d.lgs. n. 446/97, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.;
in particolare, il ricorrente deduce che la C.T.R. erroneamente avrebbe considerato la sussistenza di costi elevati e, per alcune annualità, di personale dipendente, come prova di un’autonoma organizzazione, atteso che la natura dell’attività esercitata (promotore finanziario, con mandato conferito da una sola banca presso la quale esercita la propria attività) avrebbe escluso la possibilità di sottoposizione ad Irap;
con il secondo motivo, il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., deducendo la valutazione, da parte del giudice di appello, di un elemento irrilevante ai fini della corretta applicazione della normativa in oggetto;
1.2. il primo motivo è fondato e va accolto, con conseguente assorbimento del secondo;
1.3. come chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte “in tema di IRAP, l’esercizio dell’attività di promotore finanziario di cui all’art. 31, comma 2, del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, è escluso dall’applicazione dell’imposta soltanto qualora si tratti di attività non autonomamente organizzata. Il requisito dell’autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce onere del contribuente, che chieda il rimborso dell’imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell’assenza delle predette condizioni” (Cass. S.U. n. 12111/09; conf. Cass. n. 8120/2012);
il giudice aveva, quindi, il compito di verificare se in concreto il contribuente avesse fornito la dimostrazione dell’assenza di autonoma organizzazione;
nel caso di specie, il giudice di appello ha ritenuto che il contribuente non avesse fornito tale dimostrazione, poiché era emersa la prova della sussistenza dell’autonoma organizzazione, deducibile dall’elevata entità dei ricavi e dei costi connessi all’attività;
deve, però rilevarsi che ” il valore assoluto dei compensi (Cass., sez. 6 5, n. 22705 del 2016) e dei costi, ed il loro reciproco rapporto percentuale, non costituiscono elementi utili per desumere il presupposto impositivo dell’autonoma organizzazione di un professionista, atteso che, da un lato, i compensi elevati possono essere sintomo del mero valore ponderale specifico dell’attività esercitata, e, dall’altro, le spese consistenti possono derivare da costi strettamente afferenti all’aspetto personale (es. studio professionale, veicolo strumentale, etc.), rappresentando, così, un mero elemento passivo dell’attività professionale, non funzionale allo sviluppo della produttività e non correlato all’implementazione dell’aspetto organizzativo (Cass., VI-5, n. 23557 del 2016)” (così Cass. ord. n.12929/2019, in motivazione);
per quanto fin qui esposto, il primo motivo di ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla C.T.R. della Campania, in diversa composizione, affinché valuti se il contribuente abbia fornito la prova dell’assenza di autonoma organizzazione alla luce dei principi sopra enunciati, provvedendo anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla c.t.r. della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
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