CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 aprile 2020, n. 7653
Tributi – IRPEF – Fondo pensione Previndai – Erogazione in forma di capitale dei trattamenti pensionistici complementari – Regime tributario – Prestazioni maturate post 1 gennaio 2001 – Riliquidazione dell’ufficio – Illeggittimità – Rimborso imposte versate
Rilevato che
1. l’Agenzia delle Entrate ricorre con un unico motivo avverso M.E.P.M., in qualità di erede di P.M., per la cassazione della sentenza n. 478/38/14 della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte, emessa in data 17/2/2014, depositata in data 28/3/2014 e notificata il 14/5/2014, che ha rigettato l’appello dell’Ufficio, in controversia avente ad oggetto l’istanza, presentata in data 31/10/2011, di riesame in autotutela dell’avviso bonario, precedentemente notificato al contribuente, e di rimborso dei versamenti effettuati a titolo di Irpef sulle somme percepite nell’anno di imposta 2007 per T.F.R. ed altre indennità;
2. con la sentenza impugnata, la C.T.R. del Piemonte (di seguito C.T.R.), per quanto di interesse, rilevata la tempestività dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, riteneva che fosse sussistente il diritto del contribuente al rimborso di quanto versato in conseguenza dell’attività di riliquidazione ai montanti delle prestazioni maturate post 1 gennaio 2001, relativamente alle somme percepite dal fondo pensione a titolo di erogazione in forma di capitale dei trattamenti pensionistici complementari, in quanto in contrasto con il disposto dell’art. 23, comma 5, periodo 3, d.lgs. n. 252/2005;
il giudice di appello riteneva, inoltre, che il Fondo Pensione Previndai avesse rispettato le norme di legge e le disposizioni emanate dall’Agenzia delle Entrate per quanto riguardava l’aliquota da applicarsi ai montanti successivi al 1 gennaio 2001 sulla base del totale delle prestazioni maturate e dell’intero periodo di contribuzione, come previsto dalle disposizioni vigenti all’epoca, e che la circolare n.70/E, che dettava nuovi criteri di calcolo, fosse applicabile solo a decorrere dal 1 gennaio 2007 e, comunque, non fosse idonea a giustificare la riliquidazione dell’Ufficio, in assenza di qualsiasi disposizione normativa;
3. a seguito del ricorso, M.E.P.M., in qualità di unico erede di P.M., resiste con controricorso;
4. il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 26 giugno 2019, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380 bis 1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31.08.2016, n.168, conv. in legge 25 ottobre 2016, n.197;
Considerato che
1.1. con l’unico motivo, la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 23, commi 1, 5 e 7, d.lgs. n. 252/2005, degli artt. 17, 19 e 20 d.P.R. n. 917/86, nonché dell’art. 37, commi 40 e 41, d.l. n. 223/2006, conv. dalla legge n. 248/06, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3, c.p.c.;
1.2. il motivo è infondato e deve essere rigettato;
1.3. è opportuno premettere che, nel caso di specie, il contribuente è da considerarsi “vecchio iscritto”, in quanto iscritto a forme di previdenza complementare prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 124/1993;
la prestazione erogata al contribuente nell’anno di imposta 2007 era pari al capitale accumulato durante il periodo di iscrizione al fondo dal 1/1/1993 al 1/5/2007 (data di estinzione del fondo);
secondo l’Agenzia ricorrente, la suddetta prestazione era da ripartire, in considerazione del montante maturato al 31/12/2000, in due periodi (dall’1/1/1993 al 31/12/2000 e dall’1/1/2001 alla data di cessazione del fondo, in quanto al montante maturato dall’1/1/2007 all’1/5/2007 si applicava il regime vigente ante riforma, non avendo il contribuente optato per il nuovo regime di cui all’art. 11 d.lgs. n. 252/2005);
invero l’art. 23, comma 5, d.lgs. n. 252/2005, vigente ratione temporis, prevedeva: “Per i soggetti che risultino iscritti a forme pensionistiche complementari alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo le disposizioni concernenti la deducibilità dei premi e contributi versati e il regime di tassazione delle prestazioni erogate si rendono applicabili a decorrere dal 1° gennaio 2008. Per i medesimi soggetti, relativamente alle prestazioni maturate fino a tale data, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti ad eccezione dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del TUIR. Per le prestazioni erogate anteriormente alla suddetta data per le quali gli uffici finanziari non hanno provveduto a tale data, all’iscrizione a ruolo per le maggiori imposte dovute ai sensi dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del predetto testo unico, non si dà luogo all’attività di riliquidazione prevista dal medesimo secondo periodo del comma 1 dell’articolo 20 del medesimo testo unico”;
il secondo periodo del comma 1 dell’articolo 20 T.u.ir. recitava: “Gli uffici finanziari provvedono a riliquidare l’imposta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto di percezione”;
in base alle disposizioni citate, per i “vecchi iscritti” al fondo di pensione complementare, che non abbiano optato per l’applicazione della nuova disciplina, relativamente alle prestazioni maturate fino all’1/1/2008, continuano ad applicarsi le disposizioni previgenti, ad eccezione dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del TUIR, sulla necessità che gli importi vengano riliquidati dall’Amministrazione finanziaria in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni precedenti a quello in cui è maturato il diritto di percezione;
tale riliquidazione non può aver luogo neanche per le prestazioni già erogate anteriormente alla suddetta data, per le quali gli uffici finanziari non hanno provveduto all’iscrizione a ruolo per le maggiori imposte dovute ai sensi dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo;
secondo la difesa erariale, il richiamo contenuto nella norma suddetta all’attività di riliquidazione prevista dal secondo periodo del comma 1 dell’articolo 20 T.u.ir., deve intendersi riferito alla modalità di calcolo adottabile e non come limite al potere di controllo dell’Amministrazione Finanziaria;
l’interpretazione, secondo cui l’art. 23 d.lgs. n. 252/2005 impedirebbe ogni controllo sulla liquidazione effettuata dal sostituto d’imposta per le prestazioni pensionistiche erogate sulla base della disciplina previgente, che prevedeva, invece, la liquidazione da parte dell’Amministrazione Finanziaria, sarebbe del tutto irrazionale e contraria ai criteri di imparzialità e buon andamento dell’attività di amministrazione pubblica;
inoltre, contrasterebbe con la previsione di cui all’art. 37 d.l. n. 223/2006, conv. dalla legge n. 248/06, che prevede, ai commi 40 e 41, i termini per la notifica della cartella di pagamento al contribuente, nonché dell’iscrizione a ruolo o di eventuali rimborsi dovuti;
secondo l’Agenzia ricorrente, quindi, l’abrogazione delle modalità di riliquidazione, previste dall’art. 20, comma 1, T.u.i.r., non solo non avrebbe limitato il potere di controllo dell’Amministrazione Finanziaria, ma avrebbe giustificato la rideterminazione, ex art. 36 bis d.P.R. n.600/1973, della maggiore imposta dovuta, in base al criterio di calcolo previsto dalla circolare 70/E del 18 dicembre 2007;
effettivamente, deve ritenersi che, sebbene l’attività di riliquidazione non sia più prevista normativamente, residui in capo all’Amministrazione Finanziaria il potere di procedere all’accertamento automatizzato ex art. 36 bis d.P.R. n.600/73, sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria, al fine di correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi, nonché negli altri casi specificamente previsti dalla norma;
tale evenienza non ricorre nel caso di specie, in cui l’attività di controllo dell’Ufficio non è finalizzata a correggere un errore materiale o di calcolo commesso dal contribuente nella determinazione dell’imponibile o dell’imposta dovuta, ma piuttosto tende alla riliquidazione dell’imposta, determinata con i criteri introdotti con la circolare n.70/E del 18 dicembre 2007, successivamente all’erogazione della prestazione previdenziale in forma capitale;
la circolare n. 70/E, al par. 5 – 5.3, prevedeva, per il caso di “vecchio iscritto” che non avesse esercitato l’opzione per il nuovo regime, due diversi regimi di tassazione, l’uno sull’importo della prestazione maturata fino al 2000 (per il quale si riteneva applicabile l’aliquota del TFR o, se la prestazione era corrisposta in dipendenza di contratti assicurativi, la ritenuta a titolo di imposta di cui all’articolo 6 della legge n. 482 del 1985 sulla parte relativa al rendimento e l’aliquota del TFR sulla rimanente parte) e l’altro sulla prestazione maturata a partire dal 1° gennaio 2001, per la quale si doveva assumere “ai fini della determinazione del reddito di riferimento, il rapporto tra l’importo di tale prestazione, al netto dei rendimenti già tassati e dei contributi non dedotti, ad essa proporzionalmente riferibili, e il numero degli anni di effettiva contribuzione al fondo, a decorrere dal 1° gennaio 2001”;
l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate sulle modalità di calcolo comporta un aumento del reddito di riferimento post 2001 e, quindi, dell’aliquota fiscale relativa al periodo in questione, dovuto al fatto che gli ultimi anni sono, di norma, più pesanti, a fronte di un periodo di contribuzione limitato;
nel caso in esame, costituisce circostanza pacifica tra le parti che, con l’avviso bonario notificato al contribuente, l’Ufficio, in applicazione dei nuovi criteri di cui alla circolare 70/E del 2007, ha considerato come periodo di contribuzione quello dall’1/1/2001 e non l’intero periodo dall’1/1/1993, ritenendo applicabile l’aliquota del 37,69%, e non quella del 34,08%, determinata dal Fondo Previdai sulla base della normativa e della prassi vigenti all’epoca;
sul punto, il giudice di appello ha ritenuto che il Fondo Pensione Previndai avesse rispettato le norme di legge e le disposizioni emanate dall’Agenzia delle Entrate per quanto riguardava l’aliquota da applicarsi ai montanti successivi al 1 gennaio 2001 sulla base del totale delle prestazioni maturate e dell’intero periodo di contribuzione, come previsto dalle disposizioni vigenti all’epoca dell’erogazione della prestazione, e che la circolare n.70/E, che dettava nuovi criteri di calcolo, fosse applicabile solo a decorrere dal 1 gennaio 2007 e, comunque, non fosse idonea a giustificare la riliquidazione dell’Ufficio, che prevedeva un’aliquota più gravosa, in assenza di qualsiasi disposizione normativa;
la C.T.R., partendo dal rilievo che il Fondo Previndai avesse correttamente determinato l’aliquota sulla base della normativa e della prassi all’epoca vigenti, ha escluso che l’Amministrazione, in assenza di una disposizione normativa in tal senso, potesse rettificare l’aliquota applicabile ai montanti dal gennaio 2001, in base alle indicazioni contenute nella circolare n.70/E, per altro successiva al momento dell’erogazione della prestazione in favore del contribuente;
la conclusione del giudice di appello risulta condivisibile, in quanto la circolare del 2007 finisce col prospettare, ex post, un nuovo criterio di determinazione dell’aliquota in assenza di norma primaria che faccia salvo il potere di riliquidazione dell’amministrazione;
invero, la modifica retroattiva delle modalità di tassazione, a suo tempo individuate dalla stessa Amministrazione finanziaria con apposite circolari (circolari n.29/E e n. 78/E del 6 agosto 2001), non può giustificarsi con l’abrogazione dell’istituto della riliquidazione, elemento da solo insufficiente all’applicazione di un’aliquota maggiore in assenza di una norma primaria che attribuisca all’Amministrazione Finanziaria il relativo potere;
né può ritenersi che sia consentito all’Amministrazione Finanziaria di rideterminare, in sede di controllo automatizzato, l’imposta dovuta, già correttamente applicata in base ai criteri vigenti, in forza dell’interpretazione contenuta in una circolare successiva all’erogazione della prestazione pensionistica e che prevedeva, di fatto, un’aliquota più elevata;
in conclusione, il ricorso va rigettato;
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza della parte ricorrente e si liquidano in dispositivo;
rilevato che risulta soccombente l’Agenzia delle Entrate, ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 1.000,00, oltre il 15% per spese generali ed accessori di legge ed euro 200,00 per esborsi.
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