CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 aprile 2020, n. 7665
Tributi – IRPEF – Cessione ramo d’azienda – Avviamento – Plusvalenza – Accertamento basato sul maggior valore definito dall’acquirente ai fini dell’imposta di registro – Illegittimità
Rilevato che
La sig.ra R.P. cedette alla sorella A.P., già coadiuvante nella stessa impresa, un ramo della propria impresa familiare, avente ad oggetto esercizio di articoli da regalo e cartoleria, per il corrispettivo dichiarato, nel rogito notarile del 24.11.2003, di Euro 70.000,00.
All’acquirente, con riferimento all’imposta di registro, fu quindi notificato avviso di rettifica e liquidazione, che rideterminò il valore dell’avviamento sull’azienda globalmente considerata, includente anche l’esercizio della rivendita di generi di monopolio che la sig.ra R.P. esercitò fino al 30.11.2003, data di scadenza della concessione novennale.
L’acquirente ritenne di definire l’accertamento con adesione, restando in tale sede, ai fini dell’imposta di registro, il valore dell’avviamento determinato in Euro 294.547,00.
L’Agenzia delle Entrate, assumendo in via presuntiva detto valore come prezzo del corrispettivo effettivamente incassato dalla venditrice, notificò quindi alla sig.ra R.P. avviso di accertamento ai fini IRPEF in relazione a plusvalenza da cessione d’azienda non dichiarata.
Avverso l’atto impositivo la sig.ra R.P. (di seguito contribuente) propose impugnazione dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Genova, che accolse il ricorso. Sull’appello proposto dall’Ufficio avverso la sentenza di primo grado ad esso sfavorevole, la Commissione tributaria regionale (CTR) della Liguria respinse l’appello.
Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, cui la contribuente resiste con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 36 del d. Igs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., non essendo dato comprendere, dal tenore della sentenza impugnata, che si è limitata a motivare il rigetto dell’appello in virtù della considerazione che l’accertamento deve essere ritenuto illegittimo in quanto mancante di motivazione, se abbia inteso riferirsi all’avviso di accertamento opposto ovvero all’accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro come definito tra il fisco e l’acquirente del ramo d’impresa familiare.
2. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e 7 del d. Igs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., assumendo che la sentenza impugnata, nella parte in cui ha affermato che «l’accertamento deve essere ritenuto illegittimo in quanto mancante di motivazione», è incorsa nel vizio di ultra o extrapetizione, essendo incentrati i motivi addotti a sostegno dell’originario ricorso della contribuente dinanzi alla CTP volti alla contestazione, sotto diversi profili, nel merito della pretesa impositiva, non avendo invece la contribuente formulato alcuna doglianza in relazione al profilo dell’insufficienza motivazionale dell’atto impositivo.
3. Con il terzo motivo l’Amministrazione finanziaria ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 2 del d.lgs. n. 218/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., poiché, qualora la sentenza impugnata abbia inteso riferirsi alla carenza di motivazione dell’atto di accertamento con adesione, nessuna norma prevede siffatta invalidità, che è comunque sicuramente da escludere, essendo per espressa disposizione del succitato art. 2 l’atto di accertamento con adesione non impugnabile.
4. Con il quarto motivo, ancora, per l’ipotesi che invece la nullità per difetto di motivazione rilevata dalla CTR sia stata riferita all’accertamento notificato all’odierna ricorrente, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., avendo l’accertamento in questione esposto compiutamente i presupposti di fatto e le ragioni di diritto a fondamento della pretesa impositiva.
5. Con il quinto motivo, infine, l’Amministrazione ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 2727 – 2729 cod. civ., in combinato disposto, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., lamentando l’erroneità della decisione impugnata nella parte in cui ha disatteso la presunzione, derivante dall’accertamento con adesione ai fini dell’imposta di registro, nei confronti dell’acquirente, in punto di prova del maggior corrispettivo della cessione effettivamente incassato dall’alienante, in difetto di elementi offerti dalla venditrice tali da superare l’anzidetta presunzione.
6. Il primo motivo risulterebbe fondato, dovendo effettivamente rilevarsi come l’argomentazione esposta nella sentenza impugnata sia del tutto incomprensibile, al punto da non rendere intellegibile il controllo sulla ratio decidendi destinata a sorreggere il convincimento espresso (cfr., tra le molte, Cass. SU, 3 novembre 2016, n. 22232; Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053).
6.1. Peraltro, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (cfr. Cass. sez. lav. ord. 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. SU 2 febbraio 2017, n. 2731), «Il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c.».
6.2. Ciò è quanto va ravvisato nella fattispecie in esame in cui, alla stregua della normativa sopravvenuta in pendenza di giudizio, la doglianza dell’Amministrazione volta a sostenere la legittimità della pretesa impositiva, in questa sede oggetto del quinto motivo di ricorso come sopra riportato avverso la sentenza resa dalla CTR, risulta destituita di fondamento.
6.3. Va, infatti, osservato, che l’art. 5, comma 3, del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147, ha stabilito che «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli articoli 5, 5 bis, 6 e 7 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l’esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347».
6.4. Come già statuito in tema da questa Corte (cfr. Cass. sez. 5, 19 aprile 2019, n. 11054; Cass. sez. 6-5, ord. 7 settembre 2018, n. 21768; Cass. sez. 5, ord. 18 aprile 2018, n. 9513; Cass. sez. 6-5, ord. 7 dicembre 2016, n. 25241; Cass. sez. 6-5, ord. 29 novembre 2016, n. 24367; Cass. sez. 6-5, ord. 18 luglio 2016, n. 14664; Cass. sez. 5, 30 marzo 2016, n. 6135), detta norma, avendo natura di norma d’interpretazione autentica, ex art. 1, comma 2, della legge n. 212/2000, è applicabile retroattivamente ai giudizi pendenti.
6.5. Ciò fa sì che l’accertamento della plusvalenza ai fini IRPEF non possa legittimamente presumersi in forza del solo valore accertato o definito ai fini dell’imposta di registro, peraltro con riferimento ad accertamento con adesione riferito alla sola parte acquirente, come invece accaduto con l’impugnata pronuncia.
7. Il ricorso va pertanto rigettato, previa correzione in diritto dell’impugnata sentenza, ex art. 384 cod. proc. civ., nei termini sopra esposti nei sub – paragrafi 2-4 del paragrafo 6) della presente decisione, restando assorbiti gli ulteriori motivi.
8. Essendo l’esito del giudizio determinato in forza dello ius superveniens innanzi richiamato, possono essere compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
9. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1- quater del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio.
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