CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 dicembre 2020, n. 27541
Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense – Contributo per gli assistiti che versino in stato di bisogno – Soglia di reddito utile – Disciplina affidata dalla legge all’autonomia regolamentare degli enti
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata l’11.4.2017, la Corte d’appello di Catania ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda dell’avv. G.S. volta a conseguire il contributo previsto per gli assistiti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense che versino in stato di bisogno;
che avverso tale pronuncia l’avv. G.S. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo quattro motivi di censura, successivamente illustrati con memorie; che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense ha resistito con controricorso;
che il Pubblico Ministero ha concluso per il rigetto del ricorso;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 20, l. n. 141/1992, e 3, comma 2, del Regolamento per il trattamento assistenziale degli avvocati in stato di bisogno, in relazione al successivo art. 21 e agli artt. 2727 ss. c.c., per avere la Corte di merito ritenuto che non fosse possibile un’interpretazione del Regolamento cit. che fosse “più corretta e aderente alla lettera e allo spirito della legge ed alla funzione assistenziale e solidaristica della stessa” (così il ricorso per cassazione, pag. 6), in modo da consentire l’accesso alla prestazione anche a chi, come lui, “superando (anche di poco) la soglia stabilita, in uno solo dei due anni previsti dal regolamento, ciò nonostante versi in stato di bisogno” (ibid., pag. 11); che, con il secondo e il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 3-4 prel. c.c., 76 Cost., 5, l. n. 2248/1865, all. E, e 20, l. n. 141/1992, nonché omesso esame circa un fatto decisivo, per avere la Corte territoriale ritenuto che la Cassa non avesse ecceduto i limiti della potestà regolamentare attribuitale ex lege attribuendo rilievo, ai fini dell’individuazione della soglia di reddito utile a integrare lo stato di bisogno, al reddito lordo, e non avere conseguentemente disapplicato il regolamento cit., valutando autonomamente se i fatti addotti in causa fossero realmente tali da giustificare o meno la richiesta di accesso alla prestazione assistenziale; che, con il quarto motivo, il ricorrente si duole di violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. per avere la Corte di merito rigettato la sua domanda senza dar conto delle ragioni in fatto e in diritto della decisione;
che i primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in ragione dell’intima connessione delle censure svolte;
che i motivi sono infondati nella parte in cui lamentano violazioni di legge, essendosi chiarito che, in conseguenza dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 509/1994, recante attuazione della delega conferita dall’art. 1, comma 32, l. n. 537/1993, in materia di trasformazione in persone giuridiche private di enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza (tra i quali la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense), e della connessa delegificazione della disciplina relativa sia al rapporto contributivo, che tali enti intrattengono con i loro iscritti, sia al rapporto previdenziale, che concerne le prestazioni che essi sono tenuti a corrispondere ai beneficiari, la determinazione della relativa disciplina è stata affidata dalla legge all’autonomia regolamentare degli enti, i quali, nel rispetto dei vincoli costituzionali ed entro i limiti delle loro attribuzioni, possono dettare disposizioni anche in deroga a disposizioni di legge precedenti (così, in particolare, Cass. n. 24202 del 2009 e, più recentemente, Cass. n. 5287 del 2018);
che i motivi sono invece inammissibili nella parte in cui censurano ex art. 360 n. 3 c.p.c. l’interpretazione che la Corte di merito ha dato del regolamento recante la disciplina della prestazione assistenziale invocata, trattandosi di normativa che non ha valore regolamentare in senso proprio (cioè ex art. 1, n. 2, prel. c.c.), bensì natura squisitamente negoziale, indipendentemente dalla successiva approvazione con decreto ministeriale, e rispetto alla quale il sindacato di legittimità è confinato all’evenienza che venga dedotta una qualche violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale di cui agli artt. 1362 ss. c.c.(così, da ult., Cass. n. 31000/2019);
che palesemente infondato è il quarto motivo, essendosi chiarito che il vizio di cui all’art. 132 n. 4 c.p.c. ricorre soltanto allorché la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso che risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile (così, da ult., Cass. n. 22598 del 2018, sulla scorta di Cass. S.U. n. 8053 del 2014), ciò che all’evidenza non potrebbe dirsi nel caso di specie senza privare di ogni significato i primi tre motivi di censura, che quelle affermazioni e argomentazioni hanno (sia pur infondatamente e inammissibilmente) attaccato; che il ricorso, conclusivamente, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in € 2.200,00, di cui € 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13.
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