CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 febbraio 2022, n. 3169
Trattamento pensionistico – Perseguitato razziale – Maggiorazione – Accertamento
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 9903 del 2014, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la sentenza di primo grado che aveva accertato il diritto di F. B. ad ottenere la ricostituzione della pensione cat. VO 12162923, della quale fruiva dal primo settembre 1989, anticipandone la decorrenza sin dal 5 gennaio 1986 ed aveva condannato l’INPS al pagamento in favore del ricorrente, V. B. n.q. di erede per la quota del 50% di F.B., rapp.to dal procuratore speciale R. L., al pagamento del 50% della differenza sui ratei della prestazione già maturati, con accessori dalla data di decorrenza della pensione;
la Corte territoriale ha pure rigettato l’appello incidentale proposto da V.B. al fine di ottenere attraverso c.t.0 l’accertamento dell’entità dei maggiori ratei dovuti dall’INPS;
la Corte d’appello ha premesso in fatto:
– che la pensione del B. aveva avuto decorrenza dal primo settembre 1989; – che con deliberazione della Presidenza del Consiglio dei ministri del 6 giugno 2002 era stato riconosciuto il diritto del B. alle maggiorazioni previste dalla l. n. 96 del 1955, quale perseguitato razziale, per il periodo 5 gennaio 1940- 25 aprile 1945;
– che con nota del 28 settembre 2005 l’INPS aveva riconosciuto il beneficio suddetto ma solo dal 1989 e non dalla maturazione di tutti i requisiti richiesti ai fini della pensione, ossia dal 5 gennaio 1986;
– che con il ricorso introduttivo del giudizio, V. B. quale erede di F. B., aveva chiesto accertare il diritto del proprio dante causa ad ottenere la pensione sin dal 5 gennaio 1986 con conseguente ricostituzione del trattamento e con condanna dell’Istituto a corrispondere i ratei corrispondenti nella misura del 50%, pari alla propria quota di eredità;
la Corte d’appello, confermando la motivazione del Tribunale, ha ritenuto fondata la domanda di anticipazione della decorrenza della pensione in virtù del rinvio alle procedure previste dall’art. 8 legge n. 36 del 1974, disposto dall’art. 5 l. n. 96 del 1955, che riconosceva l’utilità della contribuzione accreditata in forza della legge ai fini di una decorrenza più favorevole, posto che il requisito anagrafico era stato raggiunto sin dal 5 gennaio 1986; inoltre, il disposto dell’art. 7 l. n. 261/1967 ammetteva che le domande per ottenere tali benefici, compresi gli accessori, potessero essere proposte senza limiti di tempo;
la Corte territoriale ha quindi respinto la tesi dell’INPS, che negava la equiparazione tra i perseguitati politici antifascisti e razziali di cui alla l. n. 96 del 1955 ed i perseguitati per motivi politici e religiosi o sindacali di cui alla l. n. 36 del 1974 e limitava i benefici di quest’ultima legge ai soli perseguitati politici e razziali che avevano perso il lavoro tra il 1948 ed il 1965, in quanto entrambe le leggi avevano regolato fatti verificatisi nel passato, meritevoli di tutela postuma ed avevano fittiziamente posto in essere rapporti giuridici collocandoli nel tempo già decorso;
avverso tale sentenza ricorre l’INPS con un motivo;
resiste V. B. n.q. con controricorso e successiva memoria;
Considerato che
l’unico motivo proposto, riferito all’art. 360, primo comma n.3) c.p.c., è relativo alla violazione degli artt. 3 l. n. 297 del 1982 e 5 l. n. 96 del 1955, in ragione del fatto che la sentenza impugnata, riconoscendo la contribuzione figurativa nell’arco temporale 1940-1945, avrebbe inciso erroneamente sulla retribuzione convenzionale sulla base della quale erano stati calcolati i contributi figurativi (ai sensi dell’art. 5 l. n. 96 del 1955) determinando il ricalcolo del trattamento sulla base di una speciale retribuzione pensionabile, definita < retribuzione attuale all’epoca del pensionamento>, anche se il periodo di contribuzione figurativa non rientrava nelle ultime 260 settimane antecedenti la decorrenza della pensione;
il motivo è inammissibile perché deduce la violazione degli artt. 3, l. n. 297 del 1982, e 5, l. n. 96 del 1955, senza specificare quale sarebbe l’erronea affermazione in diritto contenuta nella sentenza impugnata; anzi, il motivo neppure si confronta con il contenuto della sentenza che non è riferito, neanche indirettamente, alla questione della retribuzione pensionabile, giacché dal testo della decisione impugnata, sopra riportato in sintesi, si evince che l’oggetto della causa devoluto in appello era limitato alla vicenda dell’ anticipazione della decorrenza già riconosciuta della pensione, consequenziale al riconoscimento della contribuzione figurativa prevista dall’art. 5 della l. n. 96 del 1955;
la sentenza impugnata non ha esaminato ex professo la questione della incidenza dei benefici di cui alla legge n. 96 del 1995 ai fini del ricalcolo della pensione mediante una nuova e diversa retribuzione pensionabile;
il capo della originaria domanda che tendeva alla rideterminazione del rateo pensionistico venne rigettato in primo grado e la questione, riproposta da V. B., nella qualità di erede di F. B., con appello incidentale, è stata rigettata anche dalla Corte d’appello che ha disatteso la pretesa di procedere mediante c.t.u. contabile ad una attività meramente esplorativa in carenza di idonee allegazioni in fatto da porre a base della verifica contabile;
il riferimento del motivo alla espressione <retribuzione attuale all’epoca del pensionamento>, dunque non coglie alcun punto della motivazione con il quale è stata riconosciuta fondata una pretesa azionata in giudizio;
secondo la giurisprudenza di questa Corte di legittimità (Cass. civ. Sez. I Sent., 18/02/2011, n. 4036; Cass. civ. Sez. V Sent., 03/08/2007, n. 17125), la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione, restando estranea al giudizio di cassazione qualsiasi doglianza che riguardi pronunzie diverse da quelle impugnate;
il ricorso è, quindi, inammissibile;
le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
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