CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2018, n. 17227

Tributi – Imposte sui redditi – Redditi di impresa – Operazioni oggettivamente inesistenti – Mancanza di adeguata documentazione – Indeducibilità

Rilevato

che la Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c. delibera di procedere con motivazione semplificata;

che la M. Group H. s.r.l. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia, che aveva accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Foggia. Quest’ultima, a sua volta, aveva accolto il ricorso della società avverso un avviso di accertamento riguardante IRES ed IRAP, per l’anno 2007;

Considerato

che il ricorso è affidato a due motivi;

che, con il primo, la società deduce omesso esame circa un fatto decisivo, ex art. 360 n. 5 c.p.c.: la CTR avrebbe omesso di tenere in considerazione l’effettiva esecuzione delle prestazioni rese da terzi;

che, col secondo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 109 comma 1° DPR n. 917/1986, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.: la sentenza impugnata avrebbe omesso di valutare e riconoscere la deducibilità di costi certi ed inerenti;

che l’intimata si è costituita con controricorso; che il primo motivo è inammissibile;

che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. (Sez. U., n. 8053 del 07/04/2014); che, come ammesso dalla stessa ricorrente, la CTR ha dettagliatamente trattato il profilo delle prestazioni rese da terzi, ancorché sia giunta a conclusioni diverse da quelle auspicate dalla società;

che il secondo motivo, ai limiti dell’inammissibilità per il suo contenuto generico, è comunque infondato, posto che in tema d’imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito d’impresa, l’inerenza all’attività d’impresa delle singole spese e dei costi affrontati, indispensabile per ottenerne la deduzione ex art. 75 (ora 109) del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, va definita come una relazione tra due concetti – la spesa (o il costo) e l’impresa – sicché il costo (o la spesa) assume rilevanza ai fini della qualificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con un’attività potenzialmente idonea a produrre utili (Sez. 5, n. 20049 del 11/08/2017; Sez. 5, n. 4041 del 27/02/2015); che la CTR ha correttamente giustificato il provvedimento impugnato, con la mancanza di adeguata documentazione in capo alla ricorrente, trattandosi di operazioni oggettivamente inesistenti;

che il ricorso va dunque respinto;

che al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo; che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore dell’Agenzia delle Entrate, in euro 3.500, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma l°bis, dello stesso articolo 13.