CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2018, n. 17247
Contratto di formazione e lavoro – Benefici contributivi – Diritto alla fruizione – Aiuti de minimis – Riconoscimento – Prova
Rilevato che
la Corte d’appello di Perugia (sentenza del 15.6.2012), in riforma della sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Terni, ha accolto l’impugnazione della società T.S.T. s.r.l. e, per l’effetto, ha dichiarato che l’appellante nulla doveva all’Inps di quanto preteso con l’opposta cartella di pagamento, dopo aver ritenuto fondato il gravame in merito al rilievo che il primo giudice aveva omesso di pronunziarsi in ordine all’invocata applicazione della cosiddetta clausola de minimis, in base alla quale era da ritenere legittimo, come nella fattispecie, un aiuto statale di importo limitato, non superiore a 100.000 euro in tre anni, a piccole e medie imprese; atteso che per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps con due motivi, cui resiste la società T.S.T. s.r.l. con controricorso, illustrato da memoria;
Considerato che
Col primo motivo, dedotto per violazione e falsa applicazione dell’art. 414, n. 5 in relazione agli artt. 434, 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 2 d.P.R. 28.12.2000 n. 445, l’Inps contesta la decisione della Corte d’appello di Perugia di ritenere sufficiente la dichiarazione sostitutiva di certificazione ai fini del riconoscimento, in capo alla società, del diritto di vedersi applicata la regola comunitaria del de minimis e, conseguentemente, di poter fruire dei benefici contributivi sui contratti di formazione e lavoro stipulati nel periodo novembre 1995 – maggio 2001, ancorché la Commissione europea avesse acclarato che gli stessi erano da considerare aiuti di Stato e, pertanto, da recuperare;
rilevato che col secondo motivo l’Inps denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 87 e 88 del Trattato CE, del regolamento CE n. 994/98, dell’art. 2 del Regolamento CE del 12.1.2001 n. 69, della decisione della Commissione dell’11 maggio 1999, della decisione della Corte di Giustizia del 7 marzo 2002, C-310/99, dell’art. 2697 cod. civ., dell’art. 16 del d.l. 14.5.1994, convertito con modificazioni dalla legge 19.7.1994 n. 451, dell’art. 15 della legge 24.6.1997 n. 196, nonché il vizio di motivazione, assumendo che la controparte non aveva fornito la prova dei fatti costitutivi del diritto a fruire della regola del de minimis, essendosi limitata ad allegare il diritto alla fruizione del predetto beneficio e a depositare dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà;
posto che la controricorrente si difende facendo rilevare che la decisione impugnata non si era basata esclusivamente su una certificazione di atto notorio prodotta dalla T.S.T. s.r.l. (certificazione che comunque era stata richiesta specificamente dal CTU) ma anche sulla base di un’approfondita perizia d’ufficio; ritenuto che i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati, in quanto, come questa Corte ha già avuto occasione di precisare (Cass. sez. lav., Ordinanza n. 14574 del 12.6.2017), <<In tema di sgravi contributivi fruiti per assunzioni con contratti di formazione lavoro, la regola “de minimis” costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa al divieto degli aiuti di Stato, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale la disciplina restrittiva contenuta nel trattato CE è inapplicabile; ne consegue che le specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità di tale regola costituiscono elementi costitutivi del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo, che, come tale, deve essere provato dal soggetto che lo invoca, il quale è tenuto a dimostrare, non solo, che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore a tale soglia, ma anche l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria “de minimis” su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato, sotto qualunque forma>>; osservato, altresì, che questa Corte, in plurime occasioni (vd. Cass. n. 11228/2011; 6671/2012; 6780/2013; 13687, 13793, 13794 e 25269/2016), ha affermato che la regola del de minimis costituisce un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, stabilendo una soglia di aiuto al di sotto della quale la disciplina restrittiva degli aiuti di Stato contenuta nel Trattato CE deve considerarsi inapplicabile, e ha chiarito non soltanto che la sussistenza delle specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità della regola del de minimis costituisce elemento costitutivo del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo, che come tale deve essere provato dal soggetto che lo invoca (Cass. n. 6756 del 2012), ma soprattutto che per la sussistenza di tali condizioni non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dalla decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria del de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato sotto qualsiasi forma e fermo restando che, in caso di superamento della soglia, riacquista vigore in pieno la disciplina del divieto che involge l’intera somma, la quale deve essere recuperata per l’intero e non solo per la parte che eccede la soglia di tolleranza, a prescindere dalla circostanza che l’aiuto sia stato erogato in epoca precedente al Regolamento (CE) n. 69/2001;
verificato che la Corte territoriale ha ritenuto di poter dare applicazione alla regola in questione sulla sola base della perizia che aveva concluso che la somma di € 150.422,47 dovuta all’Inps rientrava negli aiuti legittimamente percepibili dalla predetta società nell’arco di sei anni in base alla clausola de minimis, omettendo di condurre gli ulteriori accertamenti di cui sopra s’è detto, per cui risulta evidente lo scostamento dai principi di diritto ormai consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità;
rilevato, per quel che concerne la questione dell’autocertificazione alla quale hanno fatto riferimento entrambe le parti in causa, che la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà, così come l’autocertificazione in genere, ha attitudine certificativa e probatoria solamente nei rapporti con la pubblica amministrazione, essendo viceversa priva di efficacia in sede giurisdizionale nelle liti tra privati (v. in tal senso Cass. sez. 3 n. 18856 del 20.9.2004, Cass. sez. 5 n. 703 del 15.1.2007, Cass. sez. 3 n. 4556 del 26.2.2014); considerato, in definitiva, che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione dell’impugnata sentenza, e che, non sussistendo la necessità di ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito col rigetto dell’originaria opposizione alla cartella esattoriale;
atteso che l’alterno esito delle fasi del giudizio di merito induce a ritenere interamente compensate tra le parti le spese del doppio grado, mentre in virtù del principio della soccombenza quelle del presente giudizio seguono la soccombenza dell’intimata società e vanno poste a suo carico come da dispositivo;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’opposizione. Compensa le spese del doppio grado di giudizio. Condanna la T.S.T. s.r.l. al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di € 4200,00, di cui € 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
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