CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2018, n. 17285
Tributi – Accertamento – Riscossione – Contenzioso tributario – Procedimento – Ricorso per cassazione – Motivi – Vizio denunciabile – Art. 360, n. 5), c.p.c., nel testo vigente prima o dopo le modifiche introdotte dall’art. 54 del D.L. n. 83/2012
Fatti e ragioni della decisione
L’Agenzia delle entrate propone ricorso, affidato a quattro motivi, per la cassazione della sentenza della C.T.R. Sicilia indicata in epigrafe che, rigettando l’appello proposto dall’Ufficio, ha confermato la sentenza resa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo con la quale era stato annullato l’avviso di accertamento emesso nei confronti della F. s.r.l. per recupero a tassazione di Iva, Irap ed Irpeg per l’anno 2003.
La società intimata ha resistito depositando controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria che non offre elementi rilevanti rispetto alla causa.
Il procedimento può essere definito con motivazione semplificata.
Con il primo motivo, l’Agenzia prospetta la nullità della sentenza impugnata per omessa pronunzia in relazione all’art. 112 c.p.c. La C.T.R. non avrebbe risposto ad alcuna delle censure sollevate con l’atto di appello.
Il motivo è inammissibile.
Giova premettere che secondo la giurisprudenza di questa Corte, al fine di poter utilmente dedurre in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, (…) nel ricorso per cassazione, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi (Cass. n. 6361/2007). Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 04/07/2014, Cass. n. 978 del 17/01/2007, Cass. n. 6052 del 10/05/2001).
Orbene, nel caso in esame l’Ufficio si è limitato ad affermare che la C.T.R. “non risponde ad alcuna delle censure mosse”, ancorché il giudice di appello avesse indicato le ragioni poste a fondamento del rigetto dell’impugnazione. Ne consegue che la mancata indicazione delle censure che la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare rende il motivo inammissibile.
Con il secondo motivo la ricorrente prospetta la nullità della sentenza per motivazione apparente, ex art. 132 c.p.c. La C.T.R. si sarebbe limitata ad un rinvio per relationem alla sentenza pronunciata dalla C.T.P. di Palermo.
Il motivo è infondato.
Ed invero, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. Un., n. 5612 del 1998) “adempie all’obbligo di motivazione il giudice del gravame che si richiami per relationem alla sentenza impugnata di cui condivida le ragioni logico – giuridiche, purchè dia conto di aver valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le censure proposte”. Ne consegue che non può ritenersi nulla la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari) “sempre che in tal modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara, univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata” (Cass., Sez. Un., n. 642 del 16/01/2015).
Tale nullità può dirsi sussistere solo ove “la laconicità della motivazione non consenta di appurare che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello” (Cass. n. 22022 del 21/09/2017).
A tal fine rileva quanto precisato da questa Corte a Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 7074 del 20/03/2017) per cui “inerisce allo svolgimento dell’attività di censura della motivazione per relationem enunciata dal giudice d’appello (…) una necessaria puntuale indicazione della motivazione della sentenza di primo grado, che ha portato a quell’affermazione e nel contempo della critica che le era stata rivolta con i motivi di appello, che è necessario individuare per evidenziare che, in realtà, il giudice ha eluso i suoi doveri motivazionali”.
Fatte le superiori premesse in diritto, la dedotta nullità della sentenza è manifestamente infondata, poichè la parte appellante avrebbe dovuto formulare una dettagliata contestazione dei contenuti motivatori esposti dal giudice di primo grado.
Ne consegue che la pronunzia impugnata è immune dal prospettato vizio, avendo, per converso, esposto le ragioni poste a fondamento del rigetto dell’impugnazione.
Con il terzo motivo l’Agenzia prospetta, inoltre, l’omesso esame del processo verbale di contestazione e delle fatture ivi indicate, da cui è scaturito il recupero a tassazione.
Va rilevato che, benché la rubrica rechi la denuncia del vizio di “omesso esame circa un fatto decisivo” secondo la nuova formulazione del n. 5) dell’art. 360 c.p.c., tuttavia, come si evince chiaramente dall’esposizione del motivo (contenuta a pag. 6 del ricorso), parte ricorrente deduce il duplice vizio di omesso esame e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia. Orbene, entrambi i profili di censura sono inammissibili.
Quanto al primo, questa Corte a Sezioni Unite (sentt. 8053 e 8054/2014), ha precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., a seguito delle modifiche introdotte nel 2012 dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento “un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, poiché, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia”.
Ne consegue che, in tema di ricorso per cassazione, nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., “il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 19987 del 10/08/2017).
Orbene, il ricorrente ha omesso di indicare in modo specifico il fatto che la CTR avrebbe tralasciato di esaminare e che, secondo una valutazione prognostica ex ante, avrebbe potuto determinare un esito diverso della lite, risultando quindi decisivo.
Anche il secondo profilo di censura è inammissibile.
Ed invero, le già ricordate pronunzie della Sezioni Unite di questa Corte (sent. n. 8053 e 8054 del 07/04/2014) hanno precisato che “l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di “sufficienza”, nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”.
Orbene, l’Ufficio, disattendendo i principi elaborati da questa Corte, ha prospettato una censura basata sul vizo di contraddittoria motivazione espunto dall’art. 360, n. 5, c.p.c. nemmeno ravvisandosi nella pronunzia impugnata gli estremi della motivazione apparente.
L’Agenzia si duole, infine, con il quarto motivo, dell’omesso esame di un fatto decisivo per non aver la C.T.R. esaminato l’omessa contabilizzazione di provvigioni attive, riportata alla pagina n. 10 del PVC, la quale evidenzierebbe lo svolgimento, da parte della società, di un’attività di commissionaria di prodotti ortofrutticoli su provvigione.
La censura è inammissibile.
Nel caso in cui il ricorso abbia ad oggetto una sentenza pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del decreto, ossia pubblicata dal giorno 11 settembre 2012, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3 la riformulazione dell’art. 360 cod.proc.civ., n. 5 onera il ricorrente di un preciso adempimento. Ed invero, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’art. 348 ter cod. proc. civ., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528/2014, Cass. n. 26774/2016).
Sicché il mancato adempimento di cui all’art. 360, c.1, n.5 c.p.c. correlato all’art. 348 ter non può che determinare l’inammissibilità della censura, avendo i giudici di prime e di seconde cure esaminato la questione relativa alla doppia attività di commercio e di commissionario di prodotti ortofrutticoli – cfr pag.3 e 4 della sentenza impugnata formulando le medesime conclusioni.
A fronte di tali considerazioni, inammissibili il primo, terzo e quarto motivo, infondato il secondo, il ricorso va rigettato. Le spese sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Visti gli artt. 375 e 380 bis c.p.c.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 6.000,00 per compensi in favore della società controricorrente.
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