CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 luglio 2019, n. 17701
Accertamento – Riscossione – Reddito imponibile – Provvigioni passive – Contratto di collaborazione
Rilevato che
Con avviso di accertamento notificato alla società D.S. s.p.a., per l’anno d’imposta 2004, l’Agenzia delle Entrate riprendeva a tassazione maggior reddito imponibile per costi non inerenti per un importo di euro 224.052,47, relativi a «provvigioni passive» derivanti da un contratto di collaborazione stipulato dalla contribuente con la società portoghese G.C. e S. LDA, costi non di competenza per un importo di euro 7.743,03, relativi a «spese per trasporti e viaggi», «consulenza per sicurezza lavoro», «affitto sede Milano» e « consulenze legali e professionali », nonché «spese non documentate» per un importo di euro 25.200,00 relative a «consulenze tecniche» e « consulenze legali e professionali ».
La Commissione tributaria provinciale di Vicenza accoglieva in parte il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l’avviso di accertamento, ritenendo, tra l’altro, detraibile, in applicazione del principio di neutralità dell’I.V.A. intracomunitaria, l’I.V.A. relativa alle provvigioni.
Interposti separati appelli dalla contribuente e dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale, previa riunione, accoglieva parzialmente il primo, annullando il recupero relativo alle provvigioni passive per euro 3.999,95, per spese per ristoranti ed hotel per euro 3.543,52, per consulenze legali e professionali per euro 2.500,00, per consulenze legali professionali per euro 3.450,00; accoglieva, altresì, in parte l’appello dell’Ufficio, dichiarando legittimo il recupero del costo relativo alle provvigioni passive per euro 212.650,00 e non dovuta, in quanto non detraibile, l’I.V.A. relativa, confermando per il resto la sentenza impugnata.
Avverso la suddetta decisione propone ricorso per cassazione la D.S. s.p.a., affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.
L’Agenzia delle Entrate propone ricorso incidentale, con due motivi, cui resiste la società contribuente mediante controricorso.
La contribuente e l’Agenzia delle Entrate hanno depositato memorie ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ.
Considerato che
1. Preliminarmente, va disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione del ricorso iscritto al n. 13015/13 R.G. a quello iscritto al n. 11709/13 R.G., di iscrizione più risalente, trattandosi di impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza di appello.
2. Procedendo all’esame del ricorso principale n. 11709/2013 R.G. proposto dalla società contribuente, con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, nonché omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, la contribuente, nell’evidenziare che la Commissione regionale non ha contestato che i costi derivanti dal contratto stipulato con la società portoghese non fossero direttamente connessi all’attività imprenditoriale, ma ne ha censurato la incertezza e determinabilità, ai sensi dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986, sostiene che la decisione impugnata ha fatto malgoverno di tale disposizione normativa, considerato che l’Agenzia delle Entrate non aveva dedotto la falsità delle fatture contabilizzate e che la documentazione prodotta provava il pagamento delle provvigioni secondo gli accordi assunti con il contratto di collaborazione commerciale concluso con la G.C. e S. LDA.
Dopo avere chiarito le modalità con le quali è sorto ed è stato gestito il rapporto di collaborazione commerciale con la società portoghese, che aveva avuto inizio nel 1999 con la stipula del contratto con il quale erano state definite le principali condizioni, addebita ai giudici di merito non solo di essere incorsi nel vizio di violazione di legge, ma anche di essere incorsi nel vizio di motivazione, per non avere tenuto conto che la società portoghese era stata incaricata di pubblicizzare il marchio della D.S. s.p.a presso le aziende estere del settore, per cui il compenso forfettizzato era stato calcolato sul fatturato estero e dunque sulle vendite che erano frutto diretto dell’attività promozionale svolta dalla G.C. e S. LDA.
3. L’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, facendo espresso riferimento al processo verbale di constatazione redatto in sede di verifica fiscale, richiamato nell’avviso di accertamento, a supporto della fondatezza del recupero a tassazione in esame, ha fatto presente che:
a) la società portoghese G.C.S. LDA, alla quale la contribuente aveva corrisposto provvigioni, era domiciliata sull’isola di Madeira, regolata da una legislazione fiscale speciale che prevedeva un regime di esenzioni totali, fino al 2011, ed I.V.A. ridotta;
b) la compagine sociale della G.C.S. LDA era costituita da altre due società, entrambe con sede nelle Isole Vergini Britanniche, inserite nei paesi cd. “black list”;
c) il contratto di collaborazione esibito era stato stipulato in data 4 gennaio 1999, ma la D.S. s.p.a. a quella data non esisteva poiché era stata costituita nel 2001;
d) la contribuente aveva fornito, al fine di giustificare l’inerenza della spesa all’attività aziendale, solo un prospetto in cui erano indicati i clienti esteri di maggiore rilievo e l’anno di acquisizione degli stessi e, per l’anno in contestazione (anno 2004), non aveva esibito altra documentazione idonea a dimostrare l’effettiva attività svolta dalla società portoghese in suo favore;
e) nel 2004 risultavano liquidate provvigioni pari al 4 per cento del fatturato estero, calcolate anche su clientela acquisita anteriormente all’instaurazione del rapporto con la GCS LDA.
4. Le censure formulate dalla contribuente con il primo mezzo sono infondate con riferimento al vizio di violazione di legge e inammissibili con riguardo al vizio di motivazione.
4.1. I giudici di appello hanno confermato il recupero a tassazione dell’importo di euro 212.650,00 relativo alle provvigioni che la contribuente assume di avere corrisposto alla società portoghese G.C. e S. LDA, condividendo il rilievo, operato dall’Ufficio, secondo cui manca documentazione idonea a dimostrare la certezza e determinabilità del costo.
4.2. La Commissione regionale, in particolare, ha così motivato: «Pur ammettendo che il servizio di marketing, ricerche di mercato, assistenza commerciale, partecipazione a fiere, fornito dalla società G.C. e S. venisse retribuito, a termini di contratto, con una percentuale forfettaria del fatturato della zona di competenza o, in un secondo momento, con una somma forfettaria mensile oltre a premi e incentivi determinati volta per volta, e che quindi non si trattasse nel caso di provvigioni in senso proprio, risulta comunque anomalo, anche a giudizio di questo Collegio, che la società contribuente, in relazione ad un contratto che ha comportato un notevole impegno finanziario, non sia stata in grado di documentare le attività rese dalla società di servizi a fronte del compenso versato, apparendo poco verosimile che una società di servizi riceva il 4% dell’intero fatturato estero della società cliente senza rendere disponibile a quest’ultima un elenco dei clienti segnalati o seguiti nell’anno, o comunque un qualche resoconto, più o meno puntuale e analitico, delle attività svolte a beneficio del cliente. Il costo in questione, in assenza di adeguata documentazione che ne dia giustificazione, non può quindi essere riconosciuto…».
4.3. Sebbene non abbiano disconosciuto l’esistenza del contratto concluso dalla contribuente con la società portoghese, i giudici regionali hanno ritenuto che la documentazione prodotta – ossia il contratto, le fatture, l’elenco clienti esteri – non fosse idonea a provare l’attività in concreto svolta dalla società di servizi e, di conseguenza, l’ammontare dei costi effettivamente sostenuti dalla contribuente per l’attività promozionale.
4.4. A fronte di tale accertamento in fatto, non è ravvisabile la dedotta violazione di legge, avendo i giudici di merito fatto corretta applicazione del principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, spetta al contribuente l’onere della prova dell’esistenza, dell’inerenza e, ove contestata dall’Amministrazione finanziaria, della coerenza economica dei costi deducibili» e, a tal fine, non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa (Cass. n. 13300 del 26/05/2017; n. 21184 del 8/10/2014).
4.5. Va, altresì, rilevato, che la doglianza fatta valere dalla ricorrente, oltre a prospettare il vizio di violazione di legge, investe in realtà anche la motivazione ed il valore probatorio attribuito agli elementi posti a base della decisione ed è volta a sollecitare un riesame delle risultanze probatorie già valutate dai giudici di merito e, quindi, ad ottenere una diversa ricostruzione dei fatti di causa, non consentita in sede di legittimità.
4.6. Tuttavia, non è ammissibile la censura di omesso esame di fatto decisivo, perché, anche prescindendo dalla genericità delle deduzioni difensive svolte, la doglianza non concerne l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive, non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. Sez. U, 7/4/2014, n. 8053).
5. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, degli artt. 46 e 47 del d.l. n. 331 del 30/8/1993, convertito in I. n. 427 del 29/10/1993, nonchè violazione e falsa applicazione del principio di neutralità fiscale direttiva CEE 2006/112 ed omessa e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, per avere la C.T.R. dichiarato l’indetraibilità dell’I.V.A. con riferimento all’operazione per la quale non è stato riconosciuto il costo per provvigioni passive pagate alla società G.C. e S. LDA.
Premettendo che la registrazione delle fatture emesse dalla società portoghese e relative alle provvigioni passive ad essa spettanti soggiace alla disciplina prevista dagli artt. 46, comma 1, e 47, comma 1, del d.l. 30/8/1993, n. 331, convertito dalla legge 29/10/1993, n. 427, la contribuente sottolinea che, nella specie, non si verte in ipotesi di I.V.A. illegittimamente detratta e che la deducibilità o meno dei costi per le cd. provvigioni, che rilevano unicamente ai fini del reddito d’impresa, non interferisce in alcun modo sul regime dell’I.V.A. e sul principio di neutralità dell’I.V.A.
5.1. Il motivo è infondato.
5.2. In primo luogo, la ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, che, con riguardo alla ripresa dell’I.V.A. indebitamente detratta, poggia sulla riscontrata mancanza della documentazione giustificativa dei costi per provvigioni e sul conseguente mancato riconoscimento della spesa.
5.3. In secondo luogo, va ribadito che il diritto alla detrazione è connesso alla effettività dell’operazione (requisito sostanziale) e non può essere subordinato ad adempimenti ed obblighi meramente formali. Infatti, la detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 non si ricollega alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’I.V.A. sia effettivivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda ad operazioni effettivamente poste in essere ed ad essa soggette, in coerenza con quanto prescritto dagli artt. 17 e 20 della sesta Direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia (sentenza 13 dicembre 1989, C- 342/87).
Sul punto la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza C-590/13 (I. laboratories Italia s.r.l. c/o Agenzia delle Entrate), emessa in tema di operazioni di acquisto intracomunitario soggette alla inversione contabile (cd. reverse charge), ha affrontato in modo generale il tema dei requisiti del diritto alla detrazione I.V.A. ed ha distinto tra requisiti sostanziali e requisiti formali, ribadendo che il principio di neutralità dell’I.V.A. esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi ( p. 38) e che può condurre ad una diversa soluzione solo la circostanza che la violazione di tali requisiti formali consegua l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali ( p. 39).
Conseguentemente, ciò che rende possibile la detrazione non è la realtà documentale della fattura, quanto l’effettività dell’operazione e il suo corretto assoggettamento all’imposta esattamente dovuta. Infatti, mentre l’imposta a debito è comunque dovuta, come previsto dall’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, in forza del quale se l’I.V.A. è indicata in fattura essa deve comunque essere versata all’Erario, per l’I.V.A. a credito valgono i limiti e le regole indicati nell’art. 19 del d.P.R n. 633/1972, che stabilisce che l’imposta è detraibile se relativa ad operazione effettivamente svolta ed inerente all’attività d’impresa.
5.4. Nella specie, la prova della effettività delle prestazioni non può trarsi dalle sole fatture emesse, numerate ed integrate, secondo le regole fissate dal citato art. 46 del d.l. n. 331 del 1993, ed annotate, nei termini stabiliti dal successivo art. 47, e, poichè la C.T.R. ha escluso che la società contribuente abbia dimostrato l’esistenza e l’ammontare dei costi per provvigioni, risulta evidente che, correttamente, i giudici di secondo grado hanno negato la detraibilità dell’I.V.A.
Infatti, seppure nel caso di I.V.A. intracomunitaria vige il principio di neutralità, nella fattispecie in esame tale principio non può essere invocato, poiché la indetraibilità dell’imposta trova giustificazione nella riscontrata mancanza di prova documentale della effettività dei costi.
6. Passando all’esame del ricorso incidentale proposto dalla difesa erariale, con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 109 del t.u.i.r. e dell’art. 1742 cod. civ., nella parte in cui la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l’appello della società relativo alle voci di spesa concernenti le provvigioni corrisposte al P., le spese per ristoranti ed hotel, le consulenze legali e professioniali, le consulenze per la sicurezza sul lavoro e la sede di Milano.
In particolare, con riferimento alle provvigioni passive per euro 3.999,95, la Agenzia delle Entrate evidenzia che il P. era legato alla contribuente da un contratto di agenzia stipulato nell’aprile 2004, con il quale erano state analiticamente determinate sia le provvigioni sia le competenze fisse mensili e che dai prospetti di calcolo delle provvigioni esibiti dalla società era emerso che, nei mesi di febbraio, marzo ed aprile 2004, erano stati liquidati in favore dell’agente provvigioni superiori a quelle maturate, in assenza di qualsiasi giustificazione e, per tale motivo, dette spese erano state recuperate; lamenta, quindi, che la sentenza impugnata ha violato l’art. 109 del t.u.i.r., tenuto conto che le provvigioni corrisposte nel mese di aprile risultavano superiori a quelle previste in contratto e che per i mesi di febbraio e marzo mancava il contratto che, a norma dell’art. 1742 cod. civ., doveva essere provato per iscritto.
Relativamente alla voce «spese per ristoranti e hotel» per euro 3.543,52, evidenzia che il recupero si giustificava in considerazione del fatto che esse non erano in alcun modo riferibili all’attività della società, dato che il documento giustificativo di spesa non consentiva di determinare l’inerenza del costo all’attività d’azienda; quanto, poi, alla voce «consulenze legali e professionali» per euro 2.500,00, precisa che la fattura del 2004 faceva riferimento a prestazioni avvenute nell’anno d’imposta 2003, per cui, accogliendo il rilievo, i giudici di secondo grado avevano violato il principio di competenza che regola l’imputazione dei componenti negativi al reddito d’impresa.
7. La censura è fondata.
7.1. Risultando pacifico che il contratto di agenzia è stato stipulato solo in data 13 aprile 2004, la Commissione regionale è incorsa nella violazione dell’art. 109 del t.u.i.r., in quanto, in assenza di qualsiasi prova, non offerta dalla contribuente sulla quale il relativo onere incombeva, e a fronte delle specifiche contestazioni mosse dall’Ufficio, ha ritenuto deducibile il costo sul presupposto che apparisse «verosimile», come sostenuto dalla società contribuente, che il P. avesse lavorato, prima della formale stipula del contratto, quale procacciatore d’affari o comunque sulla base di un accordo verbale, fatturando le relative prestazioni, per poi continuare l’attività in qualità di agente.
Infatti, la mancanza di qualsiasi documentazione giustificativa, dalla quale poter desumere l’ammontare delle provvigioni effettivamente corrisposte, impedisce la detrazione del costo, perché non risultano soddisfatti i requisiti di «certezza» e «oggettiva determinabilità» richiesti dal richiamato art. 109 del t.u.i.r.
7.2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riguardo alle «spese per ristoranti e hotel», dovendosi ritenere che la Commissione regionale, in difetto di qualsiasi documento giustificativo della spesa e di prova della inerenza del costo all’attività d’impresa, non abbia fatto corretta applicazione dell’art.109 t.u.i.r., laddove si è limitata ad affermare che risulta credibile, «secondo la prassi del commercio, che la relativa spesa, effettuata valendosi delle carte di credito aziendale, sia stata legata da ragioni di accoglienza ed ospitalità di clienti, e quindi attinente all’attività aziendale».
7.3. Quanto, inoltre, al recupero a tassazione dell’importo di euro 2.500,00 relativo a «consulenze legali e professionali», derivante dalla fattura emessa per prestazioni eseguite nell’anno 2003, va ribadito che, ai sensi dell’art. 109 del t.u.i.r., «i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate» e questa Corte ha più volte affermato che «in tema di imposte sui redditi, i costi relativi a prestazioni di servizio sono, a norma dell’art. 109, comma 2, del d.P.R. n. 917/1986, di competenza dell’esercizio in cui le prestazioni medesime sono ultimate, senza che abbia rilievo alcuno il momento in cui viene emessa la relativa fattura o effettuato il pagamento » (Cass. n. 3947 del 2011; n. 9096 del 2012; n. 27296 del 23/12/2014).
La C.T.R., motivando: «condivisibile è infatti il rilievo secondo il quale la spesa, relativa a prestazione effettuata nel 2003, va però correttamente riferita all’esercizio nel quale, con l’emissione della fattura, l’ammontare della spesa stessa è divenuto certo e determinabile», non si è attenuta alla suddetta disposizione normativa e non ha fatto corretta applicazione dei principi richiamati.
8. Con il secondo motivo del ricorso incidentale, l’Agenzia delle Entrate censura la decisione impugnata per omessa motivazione o, comunque, per omesso esame circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., nella parte in cui la C.T.R. ha annullato i rilievi concernenti le voci «consulenza per sicurezza lavoro» per euro 1.747,60 e «affitto sede di Milano» per euro 2.754,43.
Si duole, relativamente alla prima voce, del fatto che trattasi di costo per servizio che va dal 10 agosto 2004 al 31 luglio 2005, con la conseguenza che il periodo compreso tra il 1° gennaio 2005 ed il 31 luglio 2005 non è di competenza dell’esercizio 2004, e, quanto alla seconda voce, che i giudici di appello hanno acriticamente aderito alla tesi della contribuente che sostiene esservi un errore di datazione del contratto che non si riferirebbe al periodo 10 novembre 2004 – 31 maggio 2005, bensì al periodo 10 novembre 2004 – 31 gennaio 2005.
8.1. La Commissione regionale sul punto ha così motivato: «Quanto alla prima delle due voci in questione, la Commissione provinciale ha ritenuto il costo, pur relativo a spese previste per l’anno successivo, regolarmente documentato nella relativa scheda contabile dell’anno 2004 ed ha accolto il ricorso della società contribuente. Tale conclusione va condivisa, risultando in fatto documentalmente infondato il rilievo di mancanza di competenza sollevato dall’atto di imposizione impugnato.
Quanto alla voce relativa al canone di locazione, ugualmente condivisibile è la conclusione della sentenza appellata, che ha ritenuto provata, dalle fatture allegate dalla società, la circostanza che il canone si riferisse a periodi trimestrali e che solo per errore materiale nella fattura 19/04 venisse indicato come relativo a sei mensilità anziché a tre».
8.2. La motivazione appare esaustiva e le argomentazioni svolte dall’Ufficio non concernono l’omesso esame di un fatto storico, da intendersi principale o secondario, bensì la valutazione di deduzioni difensive, non inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. Sez. U, 7/4/2014, n. 8053).
9. In conclusione, il ricorso principale proposto dalla D.S. s.p.a va rigettato, e, in accoglimento del primo motivo del ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle Entrate, rigettato il secondo motivo, la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, per il riesame in ordine al motivo accolto, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
riunito al presente il ricorso iscritto al n. 13015/13 R.G., rigetta il ricorso principale iscritto al n. 11709/2013 R.G. proposto dalla contribuente; quanto al ricorso incidentale iscritto al n. 13015/13 R.G., accoglie il primo motivo e rigetta il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale del Veneto, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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