CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 maggio 2018, n. 10403
Tributi – Accertamento – Ricavi non dichiarati – Procedimento – Contenzioso tributario
Rilevato
– che l’Agenzia delle entrate, sulla scorta delle risultanze del p.v.c. redatto dalla G.d.F. a seguito di verifica fiscale generale condotta nei confronti della A. P. s.r.l., emetteva avviso di accertamento ai fini IVA, IRES ed IRAP relativamente all’anno di imposta 2008;
– che la predetta società proponeva ricorso avverso il predetto atto impositivo contestando soltanto una delle tre riprese a tassazione effettuate dall’amministrazione finanziaria e precisamente quella relativa ai ricavi non dichiarati con riferimento al quantitativo di denaturante in giacenza, utilizzato per la colorazione del gas per uso agricolo, che era risultato maggiore di quello riportato sul registro di carico e scarico del prodotto;
– che con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale delle Campania accoglieva l’appello proposto dall’Ufficio avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, rigettando l’eccezione sollevata dalla società contribuente di inammissibilità dell’impugnazione dell’Agenzia delle entrate per difetto di specificità dei motivi, e ritenendo legittima la pretesa fiscale fondata sulla rilevata «eccedenza fisica rispetto ai dati in contabilità del denaturante impiegato per la vendita del carburante ad uso agricolo» (sentenza, pag. 3);
– che avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replica l’intimata con controricorso;
– che sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio, all’esito del quale la ricorrente ha depositato memorie;
– che il Collegio ha deliberato la redazione dell’ordinanza con motivazione semplificata;
Considerato
– che con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 53 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che l’Ufficio non aveva contestato in maniera specifica nel ricorso d’appello le ragioni addotte dal giudice di prime cure per sostenere l’inattendibilità del procedimento di misurazione fisica delle giacenze di prodotto denaturante, cosicché aveva errato la CTR a ritenere ammissibile l’impugnazione;
– che il motivo è palesemente infondato, ponendosi in contrasto con il principio, più volte ribadito da questa Corte e richiamato dalla stessa CTR nella sentenza impugnata, secondo cui «nel processo tributario, ove l’Amministrazione finanziaria si limiti a ribadire e riproporre in appello le stesse ragioni e argomentazioni poste a sostegno della legittimità del proprio operato, come già dedotto in primo grado, in quanto considerate dalla stessa idonee a sostenere la legittimità dell’avviso di accertamento annullato, è da ritenersi assolto l’onere d’impugnazione specifica previsto dall’art. 53 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo il quale il ricorso in appello deve contenere “i motivi specifici dell’impugnazione ” e non già “nuovi motivi”, atteso il carattere devolutivo pieno dell’appello, che è un mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito» (Cass. n. 3064 del 2012; conf. Cass. n. 1200 del 2016, n. 25553 del 2017, di questa Sottosezione, e tutta la giurisprudenza ivi richiamata);
– che, secondo la tesi sostenuta dalla ricorrente, l’aspecificità dei motivi di appello dovrebbe desumersi dalla circostanza che nello stesso l’Agenzia delle entrate non avrebbe contestato «il procedimento logico e le circostanze fattuali sulla cui base il Giudice penale ha dedotto l’inattendibilità della misurazione del prodotto denaturante eseguito dall’Agenzia delle dogane» (ricorso, pag. 17) e che i giudici di prime cure hanno condiviso; ma la riproposizione, da parte dell’amministrazione finanziaria, delle argomentazioni svolte sul punto nell’avviso di accertamento costituisce esplicita e specifica contestazione di quella statuizione;
– che con il secondo mezzo di cassazione la ricorrente deduce, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame, da parte dei giudici di appello «delle conclusioni delle perizie espletate in sede penale […], specie in relazione alla assenza di “differenza tra la pesatura fisica e le rilevazioni contabili”, come dimostrato dagli elementi fattuali, plurimi e convergenti, contenuti nella perizia e richiamata nella sentenza penale di assoluzione» (ricorso, pag. 20) del legale rappresentante della società contribuente;
– che il motivo è infondato e, per certi versi, anche inammissibile;
– che, sotto il primo profilo, osserva il Collegio che la CTR dedica alla questione dell’attendibilità o meno della pesatura fisica del denaturante e alla spiegazione delle ragioni per le quali non erano condivisibili le conclusioni cui era pervenuto il giudice penale, ovviamente sulla base delle risultanze delle perizie esperite in quella sede, una parte rilevante della sentenza impugnata, e segnatamente 14 righe della terza pagina, affermando che «Nella sede penale la pesatura fisica effettuata dalla Agenda delle dogane non è stata ritenuta attendibile in quanto effettuata con il bilico per la pesatura degli autoarticolati, con portata da 400 kg ad 80n tonnellate e tolleranza di kg. 20. Si rileva tuttavia al riguardo che dalla pesatura risultò un risultato superiore alla portata minima (il fusto contenete il denaturante era del peso di 600 kg circa); non si condivide, invece, l’assunto del giudice penale secondo cui il margine di sensibilità di 20 kg sarebbe adeguato soltanto in caso di pesature medie rispetto alla portata del bilico e non anche in prossimità del minimo operativo, in quanto tale considerazione contrasta con il dato operativo indicato dal fornitore dello strumento di peso. Peraltro la differenza di denaturante risultante dalla operazione è di tale rilievo da escludere la sua riconducibilità ad un effetto di precisione del bilico»;
– che il motivo è, come detto, anche inammissibile in quanto diretto ad ottenere una rivalutazione delle risultanze processuali, ovvero delle perizie espletate in sede penale e non condivise dalla CTR, tanto desumendosi dal rinvio operato dalla ricorrente agli «elementi fattuali, plurimi e convergenti, contenuti nella perizia e richiamata nella sentenza penale di assoluzione» che, a detta della stessa ricorrente, i giudici di appello avrebbero omesso di valutare;
– che palesemente infondato è anche il terzo motivo di ricorso con cui la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza per omessa motivazione, lamentando che la CTR non aveva spiegato la ragione per la quale da una maggiore giacenza di prodotto denaturante derivassero maggiori ricavi, invece rinvenibile in quel «ragionamento presuntivo» fatto dall’amministrazione finanziaria e ritenuto dalla CTR «coerente ed attendibile» (sentenza pag. 4), secondo cui «il denaturante in eccesso viene impiegato per la colorazione del gasolio destinato ad uso agricolo, sottoposto ad accisa ed IVA agevolata» (sentenza pag. 3), con una determinata proporzione (grammi 33.3 per ogni 100 kg di gasolio), cosicché il mancato utilizzo del quantitativo di denaturante in eccesso rispetto ai dati contabili, lasciava fondatamente presumere che il corrispondente quantitativo di gasolio fosse stato ceduto ad uso diverso da quello agricolo, «sottoposta ad accisa ed IVA agevolata» (sentenza, pag. 3), ovvero per autotrazione;
– che, pertanto, nel caso di specie non ricorre quell’impercettibilità del fondamento decisorio che rende solo apparente la motivazione grafica (Cass. n. 3276 del 2018, che richiama Cass. Sez. U. n. 22232 del 2016) essendo chiare, univoche ed esaustive (arg. da Cass., Sez. U., n. 14814 del 2008 e n. 642 del 2015), ancorché non condivise dalla ricorrente, le ragioni della decisione che sulla questione prospettata hanno assunto i giudici di appello, in maniera logicamente congruente all’operato apprezzamento delle risultanze di causa;
– che, alla stregua delle su esposte argomentazioni, non incise da quelle sviluppate dalla ricorrente nelle memorie ex art. 380 bis c.p.c., consegue il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente, rimasta soccombente, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis, dello stesso articolo 13.
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