CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 maggio 2018, n. 10452
Tributi – IRPEF ed addizionale regionale – Accertamento fiscale – Art. 38 d.P.R. 600 del 1973
Fatto e diritto
Costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal comma 1, lett. e), dell’art. 1 – bis del d.l. n. 168/2016, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 197/2016; dato atto che il collegio ha autorizzato, come da decreto del Primo Presidente in data 14 settembre 2016, la redazione della presente motivazione in forma semplificata, osserva quanto segue:
Con sentenza n. 850/36/2015, depositata il 10 marzo 2015, la CTR della Lombardia – in parziale accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della signora C.C., in riforma della sentenza di primo grado della CTP di Milano, che aveva integralmente accolto il ricorso della contribuente, annullando l’avviso di accertamento da quest’ultima impugnato, relativo ad IRPEF ed addizionale regionale per l’anno d’imposta 2008 – rideterminò in Euro 184.302,00 il reddito della contribuente per il suddetto anno d’imposta. Avverso la sentenza della CTR la signora C.C. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
L’Agenzia delle Entrate ha dichiarato di costituirsi al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti circa l’eccezione preliminare sulla violazione del diritto al contraddittorio ex art. 12 della Legge 212/2000, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.», lamentando che la decisione impugnata si è totalmente astenuta dall’esaminare un fatto decisivo per il giudizio, dedotto dalla contribuente sia nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, e reiterato con le controdeduzioni in appello. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia «Nullità della sentenza o del procedimento con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. ed agli artt. 156, secondo comma, c.p.c., e 132, primo comma, n. 4, c.p.c.(ovvero, in subordine, con riferimento al previgente art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.)», lamentando il difetto assoluto di motivazione del rigetto implicito da parte della decisione impugnata dell’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per violazione del diritto al contraddittorio, in relazione all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000.
Con il terzo motivo la contribuente denuncia «Violazione e falsa applicazione dell’art. 12, settimo comma, della l. n. 212/2000, circa la notifica degli avvisi di accertamento senza contraddittorio anticipato con il contribuente, con riferimento all’art. 360, primo comma, c.p.c.», assumendo l’erroneità in diritto della pronuncia impugnata, che, pronunciando sul merito dell’accertamento, avrebbe omesso di rilevare la violazione della succitata norma, da intendersi come espressione di un principio generale del diritto al contraddittorio anticipato allorché si sia in presenza di un atto tale da incidere sensibilmente sugli interessi del destinatario medesimo.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia «Violazione e falsa applicazione dell’art. 38 d.P.R. 600 del 1973 e dell’art. 24 della Costituzione circa l’onere della prova che grava sul contribuente in relazione all’accertamento sintetico del reddito, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.», nella parte in cui la decisione impugnata ha affermato che, qualora l’Ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la prova documentale contraria ammessa per il contribuente riguarda non la sola disponibilità di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ma anche l’entità di tali redditi e la durata del loro possesso, tali da costituire circostanze sintomatiche del fatto che la spesa contestata sia stata sostenuta con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta.
Infine, con il quinto ed ultimo motivo, oltre a reiterare la censura di violazione e falsa applicazione di cui all’art. 38 del d.P.R. n.600/1973, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., lamentando che la CTR si sarebbe astenuta dal motivare in ordine a quali documenti, prodotti dalla contribuente, non sarebbero risultati idonei a dimostrare la disponibilità della provvista necessaria.
Il primo motivo è inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. 7 aprile 2014, n. 8053), hanno chiarito che oggetto della censura in relazione alla nuova formulazione di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., relativamente all’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, deve intendersi come fatto storico, principale o secondario che, se debitamente esaminato, avrebbe determinato un esito diverso del giudizio.
Nel caso di specie è evidente come la ricorrente si dolga in realtà di un preteso errar in procedendo, lamentando piuttosto un vizio di omessa pronuncia sulla questione, introdotta come motivo d’impugnazione dell’avviso di accertamento in primo grado e reiterata in grado d’appello, di nullità dell’avviso di accertamento impugnato per mancato rispetto del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, che, in tali termini, viene in effetti a costimire oggetto del secondo motivo di ricorso come innanzi rubricato.
Al riguardo, premesso che neppure ricorre il vizio di omessa pronuncia allorché sulla questione debba intendersi intervenuta una pronuncia implicita di rigetto (cfr., tra le molte, Cass. sez. 5, ord. 6 dicembre 2017, n. 29191; Cass. sez. 1, 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. sez. 1, 11 settembre 2015, n. 17956; Cass. sez. 1, 8 marzo 2007, n. 5351), riguardo al profilo in relazione al quale la ricorrente, nell’ambito dello stesso secondo motivo di ricorso, lamenta un difetto assoluto di motivazione, va ricordato che la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice di merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame. In tal caso, come precisato dalle Sezioni Unite (Cass. 22 febbraio 2017, n. 2731), «la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomo filattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2 Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta [… ] sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti di fatto».
Nella fattispecie in esame la decisione assunta dalla CTR risulta, infatti, conforme a diritto, atteso che la censura di cui al terzo motivo di ricorso si rivela inammissibile (cfr. Cass. sez. unite 21 marzo 2017, n. 7155) alla stregua del principio di diritto affermato da Cass. sez. unite 9 dicembre 2015, n. 24823, e ribadito dalla successiva giurisprudenza conforme (tra le molte, si vedano Cass. sez. 6-5, ord. 31 maggio 2016, n. 11283; Cass. sez. 5, 3 febbraio 2017, n. 2875; Cass. sez. 6-5, ord. 20 aprile 2017, n. 10030; Cass. sez. 6-5, ord. 5 settembre 2017, n. 20779; Cass. sez. 6-5, ord. 11 settembre 2017, n. 21071), secondo cui un obbligo generale di contraddittorio, la cui violazione comporti la nullità dell’atto, sussiste unicamente riguardo ai tributi armonizzati e purché il contribuente enunci in concreto le ragioni che avrebbe inteso far valere al fine di valutare la natura non meramente pretestuosa dell’opposizione.
Nel caso di specie, è incontestato che si sia trattato di accertamento a tavolino relativamente ad IRPEF ed addizionale regionale all’IRPEF, volto alla rideterminazione con metodo sintetico del reddito complessivo netto per cui deve escludersi, in assenza di espressa disposizione, che la mancanza di previo contraddittorio finalizzato all’emissione dell’atto impositivo sia sanzionata a pena di nullità dell’atto, non trovando applicazione nella fattispecie la norma di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212/2000, che presuppone, anche nell’esegesi delle stesse Sezioni Unite, l’accesso, ispezione o verifica fiscale nei locali destinati all’esercizio dell’attività del contribuente.
Del pari è inammissibile il quarto motivo, avendo la sentenza impugnata giudicato in tema di riparto dell’onere probatorio in tema di accertamento sintetico del reddito in forza di spese per incrementi patrimoniali oggetto di contestazione da parte del Fisco in conformità all’indirizzo assolutamente prevalente espresso in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’art. 38, comma 6, del d.P.R. n. 600/1973, nella sua formulazione applicabile ratio ne temporis al presente giudizio, al fine di confutare il maggior reddito accertato sinteticamente dall’ufficio, richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi esenti ovvero soggetti a ritenuta alla fonte, dovendo altresì risultare la durata del loro possesso da idonea documentazione; all’uopo precisandosi che, pur non richiedendosi espressamente la prova che detti ulteriori redditi siano stati utilizzati per coprire le spese contestate, necessita tuttavia una prova documentale su circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto, o comunque potuto accadere (cfr., in tal senso, Cass. sez. 5, 26 novembre 2014, n. 25104; Cass. sez. 6-5, ord. 16 luglio 2015, n. 14885; Cass. sez. 6-5, ord. 10 novembre 2015, n. 22944; Cass. sez. 6-5, ord. 10 agosto 2016, n. 16192; Cass. sez. 5, 19 ottobre 2016, n. 21142; Cass. sez. 6-5, ord. 13 novembre 2017, n. 26713).
In proposito la decisione della CTR, in punto d’inidoneità della prova offerta dalla contribuente a superare l’accertamento presuntivo ex art. 38 del d.P.R. n. 600/1973 , ha espresso un compiuto accertamento di fatto che la contribuente ha inteso censurare con il quinto motivo, con il quale, oltre a reiterare la censura di violazione o falsa applicazione della succitata norma come articolata nel motivo precedente, la ricorrente si duole in realtà, in relazione al parametro di cui all’art. 360, comma , n. 5, c.p.c., di un’insufficienza motivazionale non più prospettabile secondo la nuova formulazione della disposizione normativa da ultimo richiamata (cfr. la già citata Cass. n. 8053/2014).
Il ricorso deve essere pertanto rigettato.
Nulla va statuito in ordine alle spese del giudizio di legittimità, non avendo l’Amministrazione finanziaria depositato controricorso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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