CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 maggio 2019, n. 11538
Rapporto di lavoro – Consegna dell’auto aziendale – Fringe benefit di natura retributiva – Revoca senza preavviso – Regolamento aziendale
Premesso
che con sentenza n. 1144/2014, depositata il 9 settembre 2014, la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la decisione di primo grado, con la quale il Tribunale di Cosenza aveva respinto la domanda proposta da F.M. nei confronti di E.R.G. S.p.A., volta a ottenere la condanna della società alla riconsegna dell’auto aziendale, che il ricorrente assumeva essergli stata concessa “ad uso promiscuo”, quale fringe benefit di natura retributiva, come da comunicazione in data 21/11/2003, e di cui successivamente, con lettera del 30/11/2005, era stato privato;
– che la Corte di appello ha rilevato a sostegno della propria decisione che l’assegnazione dell’auto era avvenuta secondo le modalità stabilite dal Regolamento aziendale, secondo ciò che era dato desumere dalla comunicazione in data 21/11/2003, sottoscritta dal lavoratore per accettazione, e che, pertanto, alla stregua dell’art. 1 del predetto Regolamento, essa era da intendersi disposta ad esclusivo interesse dell’azienda, così da poter essere revocata dalla datrice di lavoro in qualsiasi momento e senza preavviso, senza diritto per il dipendente ad alcun indennizzo o compenso sostitutivo e con addebito in busta paga, al 30 giugno e al 31 dicembre di ogni anno, del costo relativo all’uso personale dell’autoveicolo;
– che la Corte ha poi osservato che l’uso così regolamentato dell’autovettura aziendale, in quanto rispondente all’interesse della datrice di lavoro e oneroso per il dipendente, non era tale da integrare un compenso in natura che potesse trovare la sua causa nel sinallagma contrattuale; né d’altra parte poteva ritenersi che l’uso fosse stato concesso senza oneri per il dipendente sulla base della circostanza che, a partire dal 2005, nelle buste paghe non risultava effettuata la trattenuta relativa all’autovettura, trattandosi di dato da solo insufficiente a dimostrare, in maniera univoca e certa, la comune volontà delle parti di mutare il titolo del godimento come originariamente pattuito in conformità del citato regolamento aziendale;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore, con unico motivo, cui ha resistito con controricorso E.R.G. S.p.A. (nuova denominazione di E.R.G. S.p.A.);
– che entrambe le parti hanno depositato memoria;
– che il Procuratore Generale ha depositato le proprie conclusioni, con le quali ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso e, in via subordinata, il rigetto;
Rilevato
che con l’unico motivo proposto, deducendo la violazione o falsa applicazione dell’art. 51, commi 1, 3 e 4, D.P.R. n. 917/1986 (TUIR) e dell’art. 1418, co. 1°, cod. civ., il ricorrente censura la sentenza per avere erroneamente considerato le clausole regolamentari quale fonte integrativa della disciplina contrattuale del beneficio dedotto in giudizio, pur essendo insufficiente ed equivoco il loro richiamo nella comunicazione del 21/11/2003; e per avere inoltre, considerando valide e applicando dette clausole, violato la disposizione legislativa, vincolante ed incompatibile con l’interpretazione e l’efficacia attribuita alle clausole stesse, di cui all’art. 51 TUIR, che include nel reddito di lavoro dipendente tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti dal dipendente nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali;
osservato
che il ricorrente non censura specificamente quella parte della motivazione della sentenza impugnata in cui il giudice di appello ha escluso il ricorrere nella fattispecie concreta di un beneficio di natura retributiva, sulla base del riferimento – contenuto nella lettera in data 21/11/2003, sottoscritta per accettazione dal dipendente – alla normativa aziendale in materia e, in particolare, alle previsioni di cui all’art. 1 del Regolamento;
– che, infatti, il ricorrente, nel dedurre l’erroneità della valutazione della Corte di appello, secondo la quale (e clausole regolamentari costituiscono fonte integrativa della disciplina contrattuale del beneficio dedotto in giudizio, si è limitato a rilevare che tale conclusione non sarebbe giustificata “essendo insufficiente ed equivoco” il richiamo a tali clausole nella lettera del 21/11/2003, senza peraltro trascrivere o riprodurre né quest’ultima, né il testo del Regolamento aziendale;
– che, come più volte precisato nella giurisprudenza di questa Corte, “il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza – deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito, sicché il ricorrente ha l’onere di indicarne specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso è fondato mediante la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (cfr., fra le molte, Cass. n. 14784/2015);
– che, d’altra parte, a fronte dell’accertamento di fatto compiuto dalla Corte di merito, e non oggetto di specifica censura, circa l’onerosità dell’uso dell’autovettura aziendale per il dipendente (cfr. sentenza, pag. 3, 3°, 4° e 5° capoverso), resta inconferente il richiamo alle norme del T.U.I.R. e alla nullità, che ne deriverebbe, delle disposizioni regolamentari applicate nel caso concreto, non configurandosi nella specie alcun compenso connesso al sinallagma contrattuale;
ritenuto pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.