CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 maggio 2019, n. 11572
Tributi – Accertamento – Redditometro – Evidente sperequazione fra il reddito dichiarato e le spese riscontrate
Ritenuto che
G.R. propone ricorso per la cassazione della sentenza della CTR della Campania, meglio indicata in epigrafe, che in controversia su impugnazione di avviso di accertamento per maggiore IRPEF – ex art. 38 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e del d.m. 10 settembre 1992 (c.d. redditometro) – basato su evidente sperequazione fra il reddito dichiarato e le spese riscontrate, ha rigettato l’appello del contribuente.
La CTR, per quanto ancora rileva, ha ritenuto non assolto l’onere probatorio incombente sul contribuente di dimostrare che il reddito presuntivamente accertato o non esisteva o esisteva in misura inferiore.
L’Agenzia si costituisce con controricorso.
Considerato che
1. Con l’unico motivo del ricorso, si deducono onnicomprensivamente errores in judicando e in procedendo, violazione e falsa applicazione delle norme di diritto, ex art. 38 d.P.R. 600/73 e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto discussione tra le parti, e nullità della sentenza, per avere la CTR omesso di motivare in ordine alla valutazione delle prove fornite a dimostrazione del reddito “sinteticamente” accertato.
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. Pur tenendo conto dell’esigenza di un’interpretazione restrittiva delle cause d’inammissibilità nel processo tributario, le cui relative previsioni devono essere circoscritte ai soli casi nei quali il rigore sanzionatorio è giustificato – esigenza in relazione alla quale è stato affermato il principio secondo cui “è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ.” – è stato tuttavia rilevato che deve comunque evidenziarsi “specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto” (Cass. n. 8915 del 11/04/2018, n. 9793/13).
2.2. Nel caso di specie le diverse censure, carenti di autonomia espositiva e formulate in maniera incompleta, non permettono di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato, negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass. 9100/2015). Il ricorrente, condensando e sovrapponendo con un unico motivo di ricorso tre diversi profili di doglianza ontologicamente distinti, limitandosi ad un generico e confuso rinvio alla violazione di legge, all’error in procedendo, all’omesso esame di un fatto decisivo, in un percorso argomentativo poco chiaro, senza evidenziare a quale dei tre profili sollevati si ricollegano le censure della decisione impugnata in merito all’omessa valutazione delle prove, non consente una diretta percezione della censura in ordine ai vizi denunciati (cfr. Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; v. anche Cass. Sez.V, 28 novembre 2014, n. 25332; Cass. n. 12514/2013. Sul dovere di chiarezza espositiva degli atti processuali, ex art. 366 c.p.c., cfr. SS.UU. n. 964 del 17/01/2017).
3. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma comma 1 bis, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese €. 3.500,00, oltre spese prenotate a debito. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 bis, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
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