CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2020, n. 5676
Licenziamento disciplinare senza preavviso – Ruolo apicale – Ammanchi di somme di denaro pubblico
Rilevato
che con sentenza in data 3 aprile 2018 la Corte d’appello di Milano respinge l’appello di M.D.L. – ex DSGA (Direttore dei Servizi Generali e Amministrativi) presso l’Istituto Comprensivo Statale “C.P.” di Cassolnovo – avverso la sentenza n.62/2015 del Tribunale di Pavia, di rigetto del ricorso del D.L. volto ad ottenere: 1) l’annullamento del licenziamento senza preavviso irrogatogli il 14 febbraio 2012, con le consequenziali pronunce; 2) l’annullamento della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre mesi, irrogatagli il 28 novembre 2011, con le consequenziali pronunce;
che la Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che:
a) i fatti posti a base del licenziamento sono di estrema gravità anche in considerazione del ruolo apicale del personale amministrativo ricoperto dal D.L. e consistono in ammanchi di somme di denaro pubblico e distrazione delle stesse in favore proprio e di suoi parenti;
b) pure i comportamenti che hanno determinato l’irrogazione della precedente sanzione disciplinare sono molto gravi anche solo se si considera l’omessa vigilanza sull’uso improprio del protocollo e l’illegittima gestione delle graduatorie per l’individuazione del personale destinatario di assunzioni a tempo determinato;
c) pertanto, la sentenza appellata deve essere confermata;
che avverso tale sentenza M.D.L. propone ricorso affidato a due motivi, gli Enti intimati non svolgono attività difensiva in questa sede.
Considerato
che il ricorso è articolato in due motivi;
che con il primo motivo – con riferimento all’irrogazione del licenziamento disciplinare senza preavviso – si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 2106 cod. civ. e all’art. 95, comma 1, lettera c), del CCNL Scuola 29 novembre 2007, sostenendosi che le condotte poste a base del licenziamento, consistenti nella presunta emissione di mandati di pagamento privi di fatture giustificative, rientrano a pieno titolo nell’alveo funzionale proprio del Dirigente Scolastico cui sono attribuibili, mentre nella specie sono state contestate solo al D.L. (come DSGA) e non ai Dirigenti Scolastici cofirmatari dei mandati di pagamento illegittimi;
che, pertanto, si sarebbe verificata una illegittima disparità di trattamento che la Corte d’appello non ha neppure preso in considerazione, mentre avrebbe dovuto essere considerata rilevante ai fini della valutazione della proporzionalità della sanzione oltre che allo specifico fine dell’irrogazione di sanzioni disciplinari espulsive o conservative anche ai “concorrenti nel fatto illecito”;
che con il secondo motivo – in riferimento alla sanzione conservativa della sospensione dal servizio e dalla retribuzione per tre mesi- si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 in relazione alle definizioni dei profili di Area del personale ATA contenuti nella Tabella A, allegata al CCNL Scuola 2006-2007 (Area D e Area B);
che si sottolinea che la responsabilità di coordinamento che la contrattazione collettiva attribuisce al DSGA è cosa diversa dalla diretta responsabilità per la commissione di irregolarità;
che il D.L. non aveva il compito di gestire il protocollo e le procedure informatiche connesse alla formazione delle graduatorie, in quanto aveva il compito di vigilare sul buon andamento dell’attività amministrativa dell’Istituto e di segnalare al Dirigente Scolastico eventuali anomalie e malfunzionamenti, come è accaduto nella specie, anche se la Corte territoriale ha ignorato la relativa documentazione;
che l’esame dei motivi – da effettuare in modo congiunto, data la loro intima connessione – porta alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso, per le ragioni di seguito esposte;
che, al di là del formale richiamo alla violazione di norme di diritto e di CCNL contenuto nell’intestazione di entrambi i motivi, nella sostanza tutte le censure proposte si risolvono – inammissibilmente – nella denuncia di errata valutazione da parte del Giudice del merito del materiale probatorio acquisito ai fini della ricostruzione dei fatti e dell’affermazione della congruità delle sanzioni irrogate al ricorrente;
che a ciò va aggiunto che in base all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. – nel testo successivo alla modifica ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis – la ricostruzione del fatto operata dai Giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia meramente apparente, oppure sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. SU 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. SU 20 ottobre 2015, n. 21216; Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 5 luglio 2016, n. 13641; Cass. 7 ottobre 2016, n. 20207). Evenienze che qui non si verificano; che, inoltre, non risulta neppure essere stato osservato – con riguardo agli atti e ai documenti richiamati nei ricorsi – il principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente, qualora proponga delle censure attinenti all’esame o alla valutazione di documenti o atti processuali, è tenuto a trascriverne nel ricorso il contenuto essenziale e nel contempo a fornire alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali (di recente: Cass. SU 23 settembre 2019, n. 23552 e n. 23553);
che in sintesi, il ricorso è inammissibile;
che nulla va disposto per le spese del presente giudizio di cassazione, data l’assenza di attività difensiva in questa sede da parte delle Amministrazioni intimate;
che si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, ove dovuto.
P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del presente giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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