CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2021, n. 5615
Tributi – Accertamento – Prestazioni infragruppo di prestito di personale – Detraibilità dell’IVA e deducibilità del costo
Rilevato che
– le società L.F. S.r.l. e M.F. S.r.l. impugnavano gli avvisi di accertamento ai fini IVA, IRAP e IRES (anno di imposta 2004) emessi dall’Agenzia delle Entrate nei loro confronti in relazione alla prestazione di prestito di personale dalla società controllante (L.F.) alla società controllata (M.F.);
– la C.T.P. di Lodi accoglieva parzialmente i ricorsi delle società, rilevando (per quanto qui rileva) che la controllante L.F. non aveva soltanto prestato il proprio personale alla controllata, ma aveva altresì reso a favore della M.F. ulteriori prestazioni, consistenti nell’utilizzo di strutture e apparecchiature della società;
– la C.T.R. della Lombardia, con la sentenza n. 103/8/12 del 27/9/2012, respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate, affermando che l’Amministrazione non aveva fornito la prova necessaria a dimostrare che le cessioni di beni e servizi dall’una all’altra società consistessero nel prestito (o distacco) di personale;
– avverso tale decisione l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;
– resiste con controricorso la L.F. S.r.l., mentre non ha svolto difese la M.F. S.r.l.
– il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ. chiedendo il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Col primo motivo l’Agenzia censura la sentenza impugnata (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 39 e 40 D.P.R. n. 600 del 1973, 3, 17 e 19 D.P.R. n. 633 del 1972, 17 e 20 Dir. n. 77/388/CEE, 8, comma 35, Legge n. 67 del 1988, 11, comma 2 e 25 D.Lgs. n. 446 del 1997, per avere la C.T.R. onerato l’Amministrazione dell’onere di provare l’illegittimità della detrazione dell’IVA operata dalla M.F. e della deduzione dei costi dalla base imponibile IRAP, mentre sarebbe spettata alla contribuente la dimostrazione dell’inerenza e strumentalità all’attività imprenditoriale delle prestazioni indicate nelle fatture (relative alle prestazioni infragruppo di prestito di personale) e delle componenti negative del reddito ai fini IRAP.
Il motivo è inammissibile, prima ancora che infondato.
Infatti, la censura si risolve in un’apodittica ed astratta affermazione di erroneità delle statuizioni del giudice d’appello con le cui argomentazioni la ricorrente non si confronta.
Infatti, il requisito di inerenza (al quale si riferiscono anche i “quesiti di diritto” formulati nell’atto) è estraneo alla fattispecie de qua, nella quale viene in rilievo, casomai, la disposizione dell’art. 8, comma 35, Legge n. 67 del 1988 («non sono da intendere rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo »), che è citata esclusivamente nella rubrica del motivo e che, dunque, non è oggetto delle argomentazioni dell’Agenzia.
Parimenti generica è la doglianza relativa alla violazione dell’art. 11 D.Lgs. n. 446 del 1997 (le cui previsioni sono astrattamente richiamate nel testo del motivo), condensata nel tautologico ultimo “quesito di diritto”, col quale si lamenta l’inosservanza delle regole sull’onere probatorio senza alcun riferimento al contenuto della decisione impugnata.
In proposito si osserva che «il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla Corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione.» (tra le altre, Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020, Rv. 658610-01).
Inoltre, ad abundantiam, si rileva che, nel formulare una censura di violazione della norma, la difesa erariale avrebbe dovuto considerare l’interpretazione dell’art. 8, comma 35, Legge n. 67 del 1988 fornita dalle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui il rimborso del costo del personale dipendente di una società, distaccato presso un’altra, è esente da IVA soltanto se la controprestazione del distaccatario consiste nel mero rimborso di una somma pari alle retribuzioni ed agli altri oneri previdenziali e contrattuali gravanti sul distaccante (Cass., Sez. U, Sentenza n. 23021 del 07/11/2011, Rv. 619288-01).
Poi, sulla questione del distacco di personale e della sua rilevanza ai fini IVA, è recentemente intervenuta la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza dell’11 marzo 2020, causa C-94/19, San Domenico Vetraria S.p.A. contro Agenzia delle Entrate), affermando che «L’articolo 2, punto 1, della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme, deve essere interpretato nel senso che esso osta a una legislazione nazionale in base alla quale non sono ritenuti rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto i prestiti o i distacchi di personale di una controllante presso la sua controllata, a fronte dei quali è versato solo il rimborso del relativo costo, a patto che gli importi versati dalla controllata a favore della società controllante, da un lato, e tali prestiti o distacchi, dall’altro, si condizionino reciprocamente.».
Con specifico riguardo all’IRAP, il motivo sarebbe stato comunque infondato, perché l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che fosse onere della società contribuente (la controllata M.F.) dimostrare che il corrispettivo per un servizio ricevuto – deducibile ai fini IRAP – non fosse costituito dal recupero di oneri sostenuti dalla controllante per il personale distaccato, costo indeducibile ai sensi dell’art. 11, comma 2, D.Lgs. 15/12/1997, n. 446 nella formulazione ratione temporis applicabile.
Il motivo è basato sulla circostanza che l’Amministrazione è tenuta a provare l’esistenza di un reddito imponibile, mentre compete al contribuente dimostrare la sussistenza di componenti negativi del reddito (così Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 16461 del 01/07/2013, Rv. 627100-01).
Tuttavia, proprio dal citato insegnamento si evince l’inconsistenza della doglianza: l’Agenzia delle Entrate sostiene di aver individuato e provato un reddito imponibile ai fini IRAP e, così, di poter ribaltare sulla società l’onere di provare la deducibilità dei costi; al contrario, i giudici di merito hanno negato il presupposto da cui muove l’Agenzia e hanno, infatti, ritenuto che difettasse la prova (da parte dell’Erario) dell’esistenza di un reddito imponibile, non costituendo dimostrazione di esso la riqualificazione, unilaterale e immotivata (laddove non si individui un errore nella qualificazione data dalla contribuente), di costi relativi a un servizio ricevuto (di per sé deducibili) come un mero rimborso per l’utilizzo di personale concesso “in prestito” (indeducibile).
2. Gli altri motivi contengono censure riguardanti la motivazione della sentenza impugnata.
Il secondo motivo è inammissibile, perché il preteso vizio è inquadrato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione anteriore alla modifica apportata dall’art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, norma che non può applicarsi per l’impugnazione di una sentenza d’appello pubblicata il 27/9/2012.
È inammissibile anche il terzo motivo, col quale si denuncia ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. (nell’attuale formulazione) l’omesso esame di un fatto decisivo e controverso oggetto di discussione tra le parti, rappresentato dalla circostanza che le spese relative all’avvenuto distacco di personale in favore della controllata erano costituite dal mero rimborso dei costi sostenuti dalla controllante.
Il fatto storico che, nella tesi della ricorrente, sarebbe pretermesso dalla motivazione della C.T.R. è stato, invece, esaminato dal giudice d’appello, il quale ha considerato la circostanza e ha ritenuto non provato che il corrispettivo versato alla controllante fosse dipeso da un distacco di personale.
Contrariamente a quanto si prospetta col motivo de quo, poi, non è consentito sottoporre al sindacato di questa Corte di legittimità una nuova valutazione (diversa da quella già compiuta nel merito) del materiale probatorio.
3. In conclusione, il ricorso è respinto.
Alla decisione fa seguito la condanna dell’Agenzia ricorrente alla rifusione, in favore della società controricorrente, delle spese di questo giudizio di cassazione, le quali sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.
4. Poiché la ricorrente è un’Amministrazione dello Stato esonerata dal versamento del contributo unificato, va escluso l’obbligo di versare l’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso principale, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della Legge n. 228 del 2012 (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550-01; Cass., Sez. 6-L, Ordinanza n. 1778 del 29/01/2016, Rv. 638714-01).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna l’Agenzia delle Entrate ricorrente a rifondere a L.F. S.r.l. le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie e accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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