CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2021, n. 5617
Tributi – IVA – Accertamento – Riduzione del credito e preteso pagamento della stessa somma – Doppia imposizione
Rilevato che
– sulla scorta di p.v.c. del 18/12/2012 e previa instaurazione del contraddittorio, l’Agenzia delle Entrate notificava alla E. S.p.A. (oggi in fallimento) un avviso di accertamento ai fini IRES e IVA (anno d’imposta 2011) per Euro 1.893.072,00: la società, quale fornitrice di esportatori abituali, aveva ceduto materiale informatico senza l’applicazione di IVA sulla base di dichiarazioni di intenti ex art. 8, comma 1, lett. c), D.P.R. n. 633 del 1972; tuttavia, secondo l’Amministrazione, i cessionari dei beni erano società “cartiere” e, dunque, le dichiarazioni di intenti ideologicamente dovevano considerarsi false e le fatture emesse senza l’applicazione dell’IVA soggettivamente inesistenti;
– la C.T.P. di Roma respingeva il ricorso della società, col quale la stessa impugnava soltanto l’accertamento ai fini IVA, sostenendone l’illegittimità per violazione di regole procedurali e, comunque, l’infondatezza in carenza dei presupposti di fatto e normativi richiesti;
– la C.T.R. del Lazio – con la sentenza n. 5595/38/16 del 28/9/2016 – respingeva l’appello della società;
– avverso la suddetta decisione la E. propone ricorso per cassazione affidato a dieci motivi;
– l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che
1. Col primo motivo la ricorrente società deduce la nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello relativo all’illegittimità dell’accertamento parziale ai fini IVA, condotto in virtù di una norma abrogata – segnatamente, dell’art. 54, comma 4, D.P.R. n. 633 del 1972, menzionato nell’avviso dell’Agenzia e in assenza dei presupposti di legge.
Si osserva che, effettivamente, la sentenza impugnata manca di una specifica pronuncia sul motivo d’appello proposto dalla E..
Tuttavia, «La mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame.
In tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111, comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un error in procedendo, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 2731 del 02/02/2017, Rv. 642269-01).
Ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., dunque, la questione, di diritto, può essere esaminata e decisa nel merito da questa Corte.
La ricorrente lamenta che l’accertamento parziale non è previsto dall’art. 54, comma 4, D.P.R. n. 633 del 1972 – disposizione menzionata nell’atto impositivo e abrogata dall’art. 2, comma 12, D.L. 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla Legge 2 dicembre 2005, n. 248 – e che, comunque, lo stesso non poteva essere condotto sulla base di un p.v.c.
Le predette doglianze sono manifestamente infondate.
In primis, l’art. 54 prevede espressamente, al comma 5, la possibilità di procedere ad un accertamento parziale e un errore materiale nell’indicazione del presupposto normativo non vale di per sé a inficiare la validità dell’atto impositivo quando esso sia motivato in modo congruo, sufficiente ed intellegibile; con riguardo a questi ultimi requisiti, le stesse difese della parte dimostrano che persino l’erroneità del riferimento normativo è stata ben compresa dalla E.
In secondo luogo, il p.v.c. dell’Ufficio ben può fondare un accertamento parziale, sia perché questo «è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, [e] non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 e 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 28681 del 07/11/2019, Rv. 655548-01), sia perché l’accertamento parziale «può essere legittimamente adottato anche su iniziativa propria dell’ufficio titolare del potere di accertamento generale, essendo irrilevante che la segnalazione provenga da un soggetto estraneo all’amministrazione o da fonti ad essa interne» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 6243 del 05/03/2020, in motivazione; in precedenza anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 27323 del 23/12/2014, Rv. 633725- 01).
2. Col secondo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello relativo all’illegittimità dell’accertamento nella parte in cui non si limita a disconoscere il credito IVA, ma espone anche una pretesa creditoria comprensiva del credito ridotto; in particolare, deduce la ricorrente che l’Agenzia ha, da un lato, ridotto il credito IVA vantato dalla E. (da Euro 1.983.793,00 a Euro 90.721,00) e, dall’altro, ha preteso il pagamento della differenza (Euro 1.893.072) a titolo di credito erariale, oltre a sanzioni per Euro 2.366.340.
Il motivo è fondato.
La doglianza della ricorrente, non esaminata dal giudice d’appello, riguarda la denunciata doppia imposizione dell’Ufficio che ha decurtato il credito IVA della E. – Euro 1.983.793,00 – dell’importo di Euro 1.893.072,00 riducendolo a 90.721,00 e ha altresì preteso il pagamento dello stesso importo di Euro 1.893.072,00.
Così operando, però, il debito IVA della società – Euro 1.893.072,00 – risulterebbe duplicato, una volta incidendo sulla compensazione dell’imposta, l’altra attraverso una autonoma pretesa fiscale.
3. Col terzo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello relativo alla violazione del principio del contraddittorio ai sensi della Legge n. 212 del 2000, in quanto l’Agenzia aveva omesso di dare una motivazione “rafforzata” dell’accertamento a seguito della memoria presentata dalla contribuente.
La lacunosa motivazione della sentenza impugnata può essere integrata ex art. 384 cod. proc. civ. (conformemente a quanto statuito dalla già citata Cass., Sez. U, Sentenza n. 2731 del 02/02/2017, Rv. 642269-01).
Il motivo è infondato.
Infatti, «è valido l’avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall’altro lato, l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell’atto impositivo.» (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 8378 del 31/03/2017, Rv. 643641-01; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3583 del 24/02/2016, Rv. 639031-01), dato che all’obbligo dell’Amministrazione Finanziaria di “valutare” le osservazioni presentate dal contribuente ai sensi della disposizione citata non si aggiunge l’ulteriore obbligo di dar conto della compiuta valutazione nell’atto.
Inoltre, come risulta dalla trascrizione dell’avviso nel ricorso (pag. 6), l’Agenzia delle Entrate ha dato atto di aver esaminato e sottoposto ad «attenta e ponderata valutazione critica» sia la memoria del 25/2/2013, sia i documenti acquisiti (come da verbale del 20/3/2013).
4. Col quarto motivo si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione degli artt. 115, 116, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 54 e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992 per avere la C.T.R. – sul capo afferente la pretesa violazione degli artt. 10 e 12 della Legge n. 212 del 2000 – reso una motivazione apparente attraverso un generico richiamo per relationem.
Col quinto motivo si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione degli artt. 115, 116, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 54 e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992 per avere la C.T.R. – con riguardo alla contestata fondatezza della pretesa fiscale e alla carenza probatoria di questa – reso una motivazione apparente, essendosi limitata a ricopiare le difese erariali.
Col nono motivo si deduce la nullità della sentenza (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione degli artt. 115, 116, 132 cod. proc. civ., 118 disp. att. cod. proc. civ., 54 e 61 D.Lgs. n. 546 del 1992 per avere la C.T.R. – sul capo afferente la illegittimità delle sanzioni applicate – reso una motivazione apparente attraverso un generico richiamo per relationem.
I motivi, tra loro connessi e unitariamente considerati, sono fondati.
Contrariamente agli assunti della ricorrente, la pronuncia impugnata non presenta una motivazione apparente, dato che dalla stessa si rinviene l’esame delle statuizioni di primo grado e del materiale probatorio, nonché, seppur succintamente, le ragioni in base alle quali il giudice d’appello, senza eludere i propri doveri di sindacato del primo provvedimento, ha confermato la sentenza di primo grado, alla cui motivazione, peraltro, si fa rinvio per relationem.
Quanto alla riproduzione nella sentenza del contenuto delle difese dell’Agenzia delle Entrate, si osserva che «Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei contenuti, né delle modalità espositive» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 642 del 16/01/2015, Rv. 634091-01; Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9334 del 08/05/2015, Rv. 635474-01; Cass., Sez. 6-2, Ordinanza n. 22562 del 07/11/2016, Rv. 641641-01).
5. Col sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 54, comma 3, D.P.R. n. 633 del 1972, per avere la C.T.R., pur in mancanza di presunzioni prive dei requisiti normativi, attribuito fede privilegiata al processo verbale di constatazione e alle conclusioni in esso riportate e per aver confermato l’atto impositivo, nonostante la mancanza di elementi idonei a provare l’accordo fraudolento.
Il motivo è inammissibile.
Secondo la giurisprudenza, «il processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza o dagli altri organi di controllo fiscale, è assistito da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., quanto ai fatti in esso descritti: per contestare tali fatti è pertanto necessaria la proposizione della querela di falso» (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 15191 del 03/07/2014, Rv. 631468-01).
La ricorrente non coglie la ratio decidendi della sentenza della C.T.R. che, richiamata l’efficacia probatoria del processo verbale di constatazione ex art. 2700 cod. civ., non ha affatto esteso tale valore probatorio alla conclusione relativa alla consapevolezza (o colpevole ignoranza) della E. circa la mancanza della qualità di “esportatore abituale” di numerosi clienti. Infatti, è alle circostanze fattuali (riguardanti il luogo di consegna delle merci cedute, l’omesso assolvimento di obblighi dichiarativi e di versamento delle imposte, il mancato reperimento presso le sedi legali dichiarate, l’assenza di magazzini per lo stoccaggio delle merci, l’estraneità al settore commerciale della E., ecc.) riportate nel p.v.c. che è stata attribuita fede privilegiata; in base a tali elementi probatori è risultato provato che i destinatari delle merci della E. non fossero, nonostante la dichiarazione di intento, esportatori abituali.
Il motivo è inammissibile anche nella parte in cui sottopone al vaglio della Corte di legittimità il materiale probatorio che, a dire della ricorrente, avrebbe escluso la consapevolezza, in capo al fornitore, della falsità delle dichiarazioni di intento.
6. Col settimo motivo si deduce vizio di motivazione (ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, costituito dalla documentazione fornita dalla società, utile e sufficiente a dimostrare la propria diligenza nel valutare le caratteristiche dei clienti, considerati esportatori abituali.
Il motivo è inammissibile.
Secondo consolidata giurisprudenza, non può, difatti, ricondursi al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. il preteso omesso esame del materiale probatorio (per giunta individuato con generico rinvio ai documenti prodotti nei gradi di merito) al fine di contrastare la conclusione – riguardo alla consapevolezza della E. della falsità delle dichiarazioni – a cui è pervenuta la C.T.R.
7. Con l’ottavo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata (ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la C.T.R. omesso di pronunciarsi sul motivo d’appello relativo alla sostenuta illegittimità delle sanzioni applicate, in ragione a) della incongruenza di una pretesa ulteriore rispetto all’azzeramento del credito IVA, b) della carenza dell’elemento soggettivo e c) dell’inapplicabilità delle sanzioni ex artt. 19 e 21 D.Lgs. n. 74 del 2000, stanti la pendenza di procedimento penale (avviato sulla scorta della segnalazione della stessa Agenzia) e il principio di specialità a questo afferente.
La lacunosa motivazione della sentenza impugnata può essere integrata ex art. 384 cod. proc. civ. (conformemente a quanto statuito dalla già citata Cass., Sez. U, Sentenza n. 2731 del 02/02/2017, Rv. 642269-01).
Il motivo è infondato.
Con riguardo all’applicazione delle sanzioni nonostante l’azzeramento del credito IVA in misura corrispondente all’imposta dovuta, si osserva che «in tema di sanzioni tributarie, ove il contribuente abbia effettuato la compensazione del credito di imposta in costanza di silenzio-assenso dell’Amministrazione, che lo abbia tuttavia in seguito annullato perché formatosi in difetto dei requisiti di legge, è legittima l’applicazione della sanzione di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 471 del 1997, perché l’errata utilizzazione della compensazione in sede di liquidazione periodica comporta il mancato versamento di parte del tributo alle scadenze previste.» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 30220 del 22/11/2018, Rv. 651557-01).
Pertanto, pur non essendo legittima la duplicazione del credito erariale (censurata col secondo motivo, accolto), la E. ha indebitamente detratto VIVA – non versandola alla scadenza – relativa alle cessioni a soggetti che non potevano essere considerati esportatori abituali, di talché sussistono i presupposti per irrogare la sanzione.
In riferimento alla dedotta mancanza dell’elemento soggettivo, si ribadisce che «In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, ai fini dell’affermazione della responsabilità del contribuente per aver chiesto un rimborso IVA in misura eccedente il dovuto, per difformità dalla dichiarazione, non è richiesto l’accertamento di un intento fraudolento, in quanto l’art. 5, quinto comma, del d.lgs. n. 471 del 1997 configura l’illecito tributario senza richiedere il dolo specifico, e l’art. 5, primo comma del d.lgs. n. 472 del 1997, applicando alla materia fiscale il principio di cui all’art. 3 della legge n. 689 del 1981, ritiene sufficiente, ai fini della punibilità, l’elemento psicologico della colpa, peraltro presunta a carico di colui che abbia consapevolmente e volontariamente posto in essere l’atto vietato.» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 4171 del 20/02/2009, Rv. 606925-01).
Infine, con riguardo alla “specialità” della sanzione penale (ex artt. 19 e 21 D.Lgs. n. 74 del 2000) e alla sua pretesa idoneità ad impedire l’irrogazione delle sanzioni de quibus, si osserva che la ricorrente dà una lettura non corretta delle disposizioni normative. Il citato art. 21 D.Lgs. n. 74 del 2000 stabilisce che «L’ufficio competente irroga comunque le sanzioni amministrative relative alle violazioni tributarie fatte oggetto di notizia di reato. Tali sanzioni non sono eseguibili nei confronti dei soggetti diversi da quelli indicali dall’articolo 19, comma 2, salvo che il procedimento penale sia definito con provvedimento di archiviazione o sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. In quest’ultimo caso, i termini per la riscossione decorrono dalla data in cui il provvedimento di archiviazione o la sentenza sono comunicati all’ufficio competente; alla comunicazione provvede la cancelleria del giudice che li ha emessi …».
Come già rilevato da questa stessa Sezione, «La disposizione … stabilisce, in termini univoci, che la sanzione tributaria deve, in ogni caso, essere irrogata anche se il medesimo fatto sia di rilievo penale e costituisca oggetto di notizia di reato. Il principio di specialità, infatti, in coerenza con la direttiva enunciata dall’art. 9, lett. i), della legge delega n. 205 del 1999 («prevedere l’applicazione della sola disposizione speciale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa»), va riferito, in evidenza, alla materiale applicazione della sanzione, senza incidere sulle fasi, anteriori, dell’accertamento, della contestazione e dell’irrogazione, che procedono in autonomia e, anzi, devono necessariamente essere realizzate.» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 21694 del 08/10/2020, in motivazione).
8. In accoglimento del secondo motivo, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di questo giudizio.
Resta assorbito dal rinvio al giudice di merito il decimo motivo, col quale la ricorrente ha invocato l’applicazione, retroattiva in favor rei, dello ius superveniens costituito dall’art. 15 D.Lgs. n. 158 del 2015, con riguardo alle sanzioni comminate dall’Ufficio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo e dichiara assorbito il decimo motivo;
respinge gli altri motivi;
cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Lazio, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.
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