CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2022, n. 6822
Tributi – Accertamento – Costi per servizi pubblicitari – Operazioni ritenute inesistenti – Elementi indiziari – Onere di prova contraria
Premesso che
1. la srl I., denunciando violazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., 115 e 116 c.p.c, 39 del d.P.R. 600/73, 19, 21 e 54 d.P.R. 633/72, in relazione all’art. 360, primo comma, n.3 cod. proc. civ., ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con cui la CTR della Lombardia – in causa su avviso di accertamento notificato ad essa ricorrente dall’Agenzia delle Entrate, ai fini Ires, Irap ed Iva dell’anno 2011 in relazione a costi recuperati a tassazione in quanto relativi ad operazioni ritenute inesistenti fatturate dalla P. srl per servizi pubblicitari in favore di clienti di essa ricorrente ha avallato l’operato dell’ufficio rilevando che quest’ultimo aveva offerto elementi indiziari “forti a riprova dell’inesistenza delle operazioni fatturate dalla P. srl evidenziando che sebbene tra quest’ultima e la I. era stato concluso un accordo per servizi pubblicitari da eseguire durante alcuni eventi fieristici prestabiliti quali ad esempio la Fiera di Milano, dalla documentazione rinvenuta, contabile ed extracontabile, non emergeva l’evidenza di tali prestazioni, né contratti o contatti con le strutture fieristiche o con i loro clienti né l’assunzione di collaboratori e/o personale occasionale in concomitanza con le mostre né conti di mastro riferiti alle rassegne” e, di contro, “la contribuente aveva cercato di dimostrare le prestazione assseritamente ricevute trincerandosi dietro la tracciabilità dei pagamenti che in verità rientra nello schema delle frodi carosello e in un book fotografico stereotipato, identico in tutto e per tutto a quello rinvenuto presso altri clienti della stessa società cartiera”;
2. l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso;
3. la ricorrente ha depositato memoria;
considerato che
2. in tema prova di operazioni che l’amministrazione ritenga inesistenti spetta in primo luogo all’amministrazione fornire elementi idonei a dimostrare l’esistenza degli elementi su cui è fondata la contestazione e, una volta che l’amministrazione abbia addotto elementi per assolvere il proprio onere, spetta poi al contribuente dimostrare, di contro, che l’operazione è stata effettivamente posta in essere. Questo è quanto impone l’art.2697 c.c. (v., in tema, Cass. nn. 21953/07, 9784/10, 9108/12, 15741/12, 23560/12; 27718/13, 20059/2014, 26486/14, 9363/15; nello stesso senso C. Giust. 6 luglio 2006, C-439/04; 21 febbraio 2006, C-255/02; 21 giugno 2012, C-80/11; 6 dicembre 2012, C-285/11; 31 novembre 2013, C-642/11). La prova presuntiva (art.2727 e 2729 c.c.) non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n.9108 del 06/06/2012).
Il contribuente può, a propria volta, avvalersi di ogni elemento utile. Nel caso di specie, la CTR ha valutato che l’amministrazione aveva offerto elementi gravi precisi e concordanti per dimostrare l’inesistenza delle operazioni de quibus. Ha poi ritenuto che la prova presuntiva così raggiunta non fosse stata superata dalla contribuente essendosi questa limitata a produrre documentazione da cui risultava la tracciabilità dei pagamenti eseguiti a favore della P. e un book fotografico stereotipato identico a quello rinvenuto presso altri clienti della stessa P..
Il ragionamento presuntivo è censurabile in base all’art.360, n.3, c.p.c. competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 c.c., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo è stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. n.29635 del 16/11/2018).
Spetta alla Corte, in particolare, verificare se gli elementi di cui vi sia prova in giudizio, siano tali da giustificare, secondo un ragionamento conformato ad una legge scientifica o ad una massima di comune esperienza, la conclusione per cui il fatto ignoto esiste o non esiste.
La giurisprudenza di legittimità ha reiteratamente affermato che non è elemento utile a dimostrare la tesi del contribuente la fattura in quanto quest’ultima è di solito utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n.26453 del 19/10/2018) né, per lo stesso motivo, offrono elementi utili le scritture contabili, pur se tenute in modo formalmente regolare, o i mezzi di pagamento adoperati (Cass. 15 maggio 2019, n. 12918; Cass. n.17619 del 05/07/2018).
E’ stato altresì evidenziato, quanto alla non conducenza della regolarità formale delle scritture e delle evidenze contabili dei pagamenti, che l’una e le altre sono “facilmente falsificabili” (Cass., Sez. 5-, 16/06/2020, n. 11624, in motivazione; conformi Cass., sent. n. 19352 del 2018; n. 29002 del 2017; Cass. n. 428 del 2015; Cass. n. 17977 del 2013; Cass. nn. 28572 del 2017; 5406 del 2016, 28683 del 2015, 428 del 2015, 12802 del 2011, 15228 del 2001).
Il ragionamento della CTR segue le regole in tema dì presunzioni e così, in ultimo, la regola sul riparto dell’onere della prova come sopra precisate, sia sul versante dell’ufficio avendo evidenziato elementi -segnatamente l’assenza di evidenza di contratti o anche solo contatti con clienti della I. a cui i servizi pubblicitari della P. avrebbero dovuto essere destinati, l’assenza di collaboratori e personale occasionale assunto in concomitanza con gli eventi a cui detti servizi avrebbero dovuto afferire- in base ai quali, per massima di comune esperienza, è dato ritenere che le operazioni de quibus fossero inesistenti sia sul versante della contribuente avendo evidenziato che gli elementi forniti da quest’ultima -segnatamente la documentazione da cui risultava la tracciabilità dei pagamenti eseguiti e il materiale fotografico (in quanto) identico a quello rinvenuto presso altri clienti della stessa P.- erano inidonei a far ritenere che le operazioni de quibus fossero davvero state effettuate.
Ciò posto la sentenza impugnabile si sottrae alla censura di violazione di legge e il motivo deve essere rigettato.
Merita aggiungere che dal corpo del motivo stesso emerge poi il tentativo di ottenere da questa Corte una nuova valutazione di documentazione – il contratto tra la ricorrente e la P.; i documenti relativi ai pagamenti eseguiti da essa ricorrente a favore della P.; alcune fotografie asseritamente attestanti le prestazioni fornite dalla P. già valutata dal giudice di appello. La nuova valutazione è inammissibile in questa sede di legittimità.
Va infine rimarcato che non giova alla ricorrente il richiamo, fatto nella memoria del 1 febbraio 2022, all’ordinanza 31012/2021, in causa tra Agenzia delle Entrate e la D. Disinfestazioni appalti e servizi SRL su avvisi di accertamento per maggior IRES, IRAP ed IVA anni 2011 e 2012, la CTR, su operazioni pubblicitarie, fatturate alla società D. dalla s.r.l. “P.”, consistite nella distribuzione di volantini e gadgets in diverse fiere nazionali e ritenute dall’ufficio inesistenti. In tale ordinanza, di conferma della legittimità della sentenza impugnata dall’Agenzia, viene evidenziato che, in quel caso, “la CTR … ha valorizzato la sussistenza di indizi, idonei a far ritenere che l’attività di sponsorizzazione, svolta dalla s.r.l. P.” in favore della società intimata, abbia avuto effettivamente avuto luogo”;
2. le spese seguono la soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la contribuente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 1100,00, oltre spese prenotate a debito;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo, se dovuto.
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