CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2020, n. 24208

Verbale di accertamento – Contributi omessi – Lavoratori inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi – Risultanze istruttorie confermative della totale autonomia – Specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito

Rilevato che

Con sentenza n.17/11 il Tribunale di Lecco respingeva il ricorso della M.L. s.r.l. nei confronti dell’INPS avente ad oggetto opposizione a verbale di accertamento a seguito del quale l’Istituto addebitava i contributi omessi per quattro lavoratori inquadrati come collaboratori coordinati e continuativi e riqualificati dagli ispettori INPS come lavoratori subordinati.

Contro la sentenza la società ha proposto appello, lamentando che la ritenuta subordinazione era contraddetta dalle risultanze istruttorie confermative della totale autonomia dei lavoratori, valutando erroneamente l’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese in sede ispettiva, sfornite di alcun valore anche di presunzione semplice.

Evidenziava che l’Istituto non aveva provato gli elementi imprescindibili per qualificare il rapporto come subordinato e cioè la continuità della prestazione e la soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro.

Con sentenza depositata il 12.11.14, la Corte d’appello di Milano respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la società, affidato a due motivi, cui resiste l’Inps con controricorso, poi illustrato con memoria. La Procura Generale ha fatto pervenire conclusioni scritte.

Considerato che

1- Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2698, 2699, 2700 e 2729 c.c.; nonché dell’art. 115 c.p.c.

Lamenta che la sentenza impugnata respinse ingiustamente la censura inerente la valenza probatoria delle dichiarazioni rese in sede ispettiva dai Sigg.ri F., R., B., C., B., P., B., M. e C. della società), i cui verbali riproduce interamente in copie inserite nel presente ricorso. Si duole in sostanza che i giudici di merito attribuirono maggior (e dirimente) rilievo alle dichiarazioni rese dinanzi agli ispettori verbalizzanti rispetto a quelle rese in giudizio.

Il motivo è inammissibile prima che infondato.

Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, espresso nell’art. 366, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., impone infatti al ricorrente la specifica indicazione dei fatti e dei mezzi di prova asseritamente trascurati dal giudice di merito, nonché la descrizione del contenuto essenziale dei documenti probatori, eventualmente con la trascrizione dei passi salienti. Il requisito dell’autosufficienza non può peraltro ritenersi soddisfatto nel caso in cui il ricorrente inserisca nel proprio atto di impugnazione la riproduzione fotografica di uno o più documenti (nella specie diverse decine), affidando alla Corte la selezione delle parti rilevanti e così una individuazione e valutazione dei fatti, preclusa al giudice di legittimità (Cass. 7 febbraio 2012 n.1716).

D’altro canto la società ricorrente finisce per contestare apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito che ha attribuito maggior rilievo alle circostanze di fatto ritenute più attendibili e logiche (quanto ad esempio alla concreta organizzazione aziendale), contestazione che non è più consentita in base al novellato n. 5 dell’art. 360, co.1, c.p.c.

La sentenza impugnata ha inoltre evidenziato l’illegittimità dei contratti di collaborazione autonoma di parte dei lavoratori per essere stabilmente inseriti nell’organizzazione aziendale, nonché dei contratti di lavoro a progetto per carenza di specificità di quest’ultimo. Deve infine considerarsi (cfr. di recente Cass.n.13798/17, Cass. n. 21455/17) che in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione (che può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto) posta dal giudice a fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione), sicché quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il sindacato ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione: Cass. sez.un. 7 aprile 2014, n. 8053), coinvolge un fatto ancora oggetto di contestazione tra le parti (ipotesi ricorrente nel caso in esame). Ne consegue che mentre la sussunzione del fatto incontroverso nell’ipotesi normativa è soggetta al controllo di legittimità, l’accertamento del fatto controverso e la sua valutazione (rimessi all’apprezzamento del giudice di merito: cfr. Cass. n. 8293/12, Cass. n. 144/08, Cass. n. 21965/07, Cass. n. 24349/06; Cass. n. 1788/11, Cass. n. 7948/11) ineriscono ad un vizio motivo, pur qualificata la censura come violazione di norme di diritto, vizio limitato al generale controllo motivazionale (quanto alle sentenze impugnate depositate prima dell’11.9.12) e successivamente all’omesso esame di un fatto storico decisivo, in base al novellato art. 360, comma 1, n. 5. c.p.c.

Va infine considerato che la valutazione complessiva delle risultanze di causa ben consente al giudice di attribuire maggior rilievo alle circostanze riferite dagli interessati ai verbalizzanti, nell’immediatezza dei fatti, piuttosto che alle circostanze da essi riferite in sede di deposizione in giudizio, cfr. Cass. n.17555/02, e che in sostanza i verbali di contravvenzione forniscono elementi di valutazione liberamente apprezzabili dal giudice, il quale può peraltro anche considerarli prova sufficiente delle relative circostanze, sia nell’ipotesi di assoluta carenza di elementi probatori contrari – considerata la sussistenza in capo al datore di lavoro, obbligato ai versamenti contributivi, del relativo onere probatorio -, sia qualora il giudice di merito, nel valutare nel suo complesso il materiale probatorio a sua disposizione, pervenga, con adeguata motivazione, al convincimento della effettiva sussistenza degli illeciti denunciati (cfr. Cass. n. 11900/03, Cass. n. 3527/01, Cass. n.9384/95).

2- Con secondo motivo la ricorrente denuncia ancora la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art.132 c.p.c.

Lamenta in sostanza che la motivazione della sentenza impugnata risultava totalmente carente (pag. 22 ricorso) quanto al recepimento del contenuto delle dichiarazioni rese in sede ispettiva piuttosto che quelle rese in sede di giudizio.

Il motivo, sostanzialmente connesso al primo e di cui non può che seguire la medesima sorte, è infondato, anche per le ragioni esposte in precedenza (illegittimità dei contratti di collaborazione autonoma di parte dei lavoratori per essere stabilmente inseriti nell’organizzazione aziendale, nonché dei contratti di lavoro a progetto per carenza di specificità di quest’ultimo) motivazione che consente di comprendere l’iter logico giuridico seguito dalla Corte territoriale

Deve poi considerarsi che il nuovo testo del n. 5) dell’art. 360 cod.proc. civ. introduce nell’ordinamento un nuovo e diverso vizio specifico (non essendo più consentita la censura di insufficiente o contraddittoria motivazione, cfr. Cass. sez.un. n. 14477/15) che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. sez.un. 22.9.2014 n. 19881, Cass. ord. 29.10.2018 n. 27415).

3- Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in €. 200,00 per esborsi, €. 7.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificalo, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.