CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2021, n. 30996
Tributi – Accertamento – Raddoppio dei termini – Riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale – Mancata presentazione di denuncia penale – Irrilevanza. – Allegazione della notitia criminis inviata alla Procura della Repubblica soltanto in sede di appello – Legittimità
Rilevato che
L’Agenzia delle Entrate notificò al sig. G.T. due avvisi di accertamento, con i quali erano rettificati, ai fini IRPEF e relative addizionali, i redditi dallo stesso dichiarati per gli anni d’imposta 2004 e 2005.
Detti atti impositivi traevano origine dagli avvisi di accertamento emessi, per le stesse annualità d’imposta, nei confronti della E. S.r.l. in liquidazione, della quale il T. era socio detenendone la quota del 99% del capitale sociale.
Il contribuente impugnò gli avvisi di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale (CTP) di Milano, che accolse il ricorso, rilevando l’impossibilita di esaminare la denuncia inviata alla competente Procura della Repubblica – in relazione alla cui mancanza il contribuente aveva eccepito l’inoperatività della disciplina concernente il c.d. raddoppio dei termini, derivandone quindi la decadenza dell’Amministrazione dall’esercizio della potestà impositiva – e che l’ulteriore mancata allegazione degli avvisi di accertamento a carico della società inficiava la legittimità dell’accertamento nei confronti del socio di maggioranza.
Avverso la sentenza della CTP di Milano l’Agenzia delle entrate propose appello dinanzi alla Commissione tributarla regionale (CTR) della Lombardia che, con sentenza n. 6921/2014, depositata il 17 dicembre 2014, non notificata, respinse l’appello, ritenendo inutilizzabili ai fini della decisione, perché prodotta soltanto in grado di appello, la notizia di reato trasmessa alla Procura della Repubblica di Monza e copia degli accertamenti emessi nei confronti della società per i medesimi anni d’imposta.
Avverso detta sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Il contribuente è rimasto intimato.
Considerato che
1. Con il primo motivo la ricorrente Agenzia delle entrate denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 43 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., contestando in primo luogo l’erroneità in diritto della decisione, nella parte in cui ha confermato la pronuncia della CTP, laddove ha ritenuto la necessità dell’effettiva presentazione della denuncia, atteso che, come chiarito dalla Corte costituzionale con la sentenza 25 luglio 2011, n. 247, il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dall’effettiva presentazione della denuncia o dall’inizio dell’azione penale.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 58 del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. nella parte in cui la sentenza impugnata, pur dando atto della trasmissione della notizia di reato alla competente Procura della Repubblica in ordine ai fatti penalmente rilevanti emersi nell’ambito dell’accertamento nei confronti della società, quale risultante dalla documentazione prodotta in grado d’appello da parte dell’Amministrazione finanziaria, ha ritenuto che non fosse utilizzabile ai fini della decisione, non potendo trovare, secondo la CTR, applicazione l’art. 58, secondo comma, del d. lgs. n. 546/1992, trattandosi nella fattispecie non di documenti “nuovi”, in quanto già formati all’epoca del giudizio di primo grado.
3. Con il terzo motivo, infine, la ricorrente Amministrazione finanziaria denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 42 del d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata, confermando la decisione resa dalla CTP di Milano, ha ritenuto illegittimi gli atti impositivi per mancata allegazione dei prodromici avvisi di accertamento emessi a carico della società.
4. Il primo motivo è fondato.
4.1. Trattandosi di accertamenti già notificati, relativi a periodi d’imposta anteriori a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, su cui non incidono le modifiche introdotte dall’art. 1, commi da 130 a 132, della l. n. 208/2015 (cfr., tra le altre, Cass. sez. 6-5, ord. 19 dicembre 2019, n. 33793), la sentenza impugnata si scontra con il principio di diritto più volte affermato da questa Corte (cfr, ex multis, Cass. sez. 5, ord. 2 luglio 2020, n. 13481; Cass. sez. 6-5, ord. 29 giugno 2019, n. 17856; Cass. sez. 6-5, ord. 30 maggio 2016, n. 11171), che va ulteriormente ribadito in questa sede, secondo cui, in tema di accertamento tributario, «il raddoppio dei termini previsto dagli artt. 43, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal d.lgs. n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito dalla Corte cost. nella sentenza n. 247 del 2011, sicché, ove il contribuente denunci il superamento dei termini di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria, deve contestare la carenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, non potendo mettere in discussione la sussistenza del reato, il cui accertamento è precluso al giudice tributario».
4.2. Né è ostativa all’applicazione della disciplina in tema di raddoppio dei termini la circostanza che l’accertamento sia riferito ad annualità anteriori alla modifica, apportata all’allora art. 43, terzo comma, del d.P.R. n. 600/1973, dall’art. 37, comma 24, del d.l.n. 223/2006, convertito, con modificazioni, nella l. n. 248/2006.
4.2.1. Si è infatti osservato, dovendo prestarsi al principio ulteriore adesione, che « [i]n tema di accertamento tributario, i termini previsti dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 per l’IRPEF e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 per UVA, come modificati dall’art. 37, comma 24, del d.l. n. 223 del 2006, conv. con modif. dalla l. 248 del 2006, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano sorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche con riferimento alle annualità d’imposta anteriori a quella pendente al momento dell’entrata in vigore (4 luglio 2006) del predetto decreto, tanto derivando non dalla natura retroattiva della novella, ma, secondo la lettura di tali disposizioni data dalla sentenza della Corte costituzionale n. 247 del 2011, dalla circostanza che, stabilendo il prolungamento dei termini non ancora scaduti alla data dell’entrata in vigore del detto decreto, essa incide necessariamente (protraendoli) sui termini di accertamento delle violazioni che si assumono commesse prima di tale data, nel rispetto del principio cristallizzato dall’art. 11, comma 1, disp. prel. al c.c.» (cfr. Cass. sez. 5, ord. 30 ottobre 2018, n. 27629).
5. Ugualmente è fondato il secondo motivo.
5.1. Seppur, come si è detto nel contesto dell’esame del motivo precedente, non fosse necessaria l’allegazione della notitia criminis inviata alla Procura della Repubblica, essa risulta essere stata prodotta in grado di appello dall’Amministrazione finanziaria, ma la sentenza impugnata ha ritenuto che di essa non potesse tenersi conto ai fini della decisione, in quanto tardivamente prodotta, trattandosi di documento preesistente al primo grado di giudizio.
5.2. In tal modo la pronuncia impugnata si è posta in contrasto con il consolidato principio di diritto espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui «[i]n materia di produzione documentale in grado di appello nel processo tributario, alla luce del principio di specialità espresso dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992 – in forza del quale, nel rapporto fra norma processuale civile ordinaria e norma processuale tributaria, prevale quest’ultima – non trova applicazione la preclusione di cui all’art. 345, comma 3, c.p.c. (nel testo introdotto dalla l. n. 69 del 2009), essendo la materia regolata dall’art. 58, comma 2, del citato d.lgs., che consente alle parti di produrre liberamente i documenti anche in sede di gravame, sebbene preesistenti al giudizio svoltosi in primo grado» (cfr, ex multis, Cass. sez. 5, 22 novembre 2017, n. 27774; Cass. sez. 5, 16 novembre 2011, n. 18907).
5.3. La Corte costituzionale, con sentenza 14 luglio 2017, n. 199, ha ritenuto la conformità alla Costituzione dell’art. 58, secondo comma, del d. lgs. n. 546/1992, nell’interpretazione costantemente affermatane da questa Corte.
6. Infine è fondato anche il terzo motivo.
6.1. Risulta incontroverso in fatto che gli avvisi di accertamento relativi alla società siano stati notificati al T., che ne aveva dunque conoscenza legale, donde pienamente legittima è la motivazione per relationem ai medesimi, pur in difetto di allegazione degli accertamenti relativi alla società a quelli riguardanti al ripresa ai fini IRPEF ed addizionali in ragione del maggior reddito da capitale in rettifica di quanto dichiarato.
6.2. D’altronde, viepiù in ragione del fatto che il T. è socio pressoché totalitario della società E. S.r.l., in liquidazione, in quanto titolare della quota del 99%, è utile ribadire che, in ogni caso, « [i]n materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzata nella forma della società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci è soddisfatto anche mediante rinvio “per relationem alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante dalla società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi».
7. Il ricorso dell’Agenzia delle entrate va dunque accolto in relazione a ciascun motivo e la sentenza impugnata va per l’effetto cassata, con rinvio per nuovo esame alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, che, nell’uniformarsi ai principi di diritto sopra trascritti, provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, cui demanda anche di provvedere sulle spese del presente giudizio di legittimità.
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