CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 novembre 2022, n. 32228
Pubblico impiego – Trasformazione in rapporto part-time ex art. 1, co. 58, L. 662/1996 – Poteri di modifica unilaterale dei rapporti di lavoro ex art. 16 L. 183/2010 – Esercizio – Legittimità
Ritenuto che
1. la Corte d’Appello di Bologna, riformando la sentenza del Tribunale di Piacenza, ha rigettato la domanda con la quale M.E.G. e R.T., dipendenti a tempo indeterminato della Azienda Unità Sanitaria Locale di Piacenza (di seguito, ASL) avevano chiesto accertarsi l’illegittimità delle condotte tenute dal datore di lavoro pubblico in occasione dell’applicazione della disciplina di transito dalla vecchia alla nuova regolamentazione del part-time (art. 16 L. 183/2010) e, conseguentemente il consolidamento del regime di part-time a loro originariamente concesso ai sensi dell’art. 58 L. 662/1996 (ndr: art. 1, co. 58, L. 662/1996);
2. avverso tale sentenza le lavoratrici hanno proposto ricorso per cassazione con un unico motivo, articolato in più censure, cui la ASL ha opposto difese con controricorso;
3. la proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;
4. le ricorrenti hanno depositato memoria;
Considerato che
1. il motivo di ricorso per cassazione è formalmente unico ma sostanzialmente suddivisibile in due parti di cui la prima riguardante il merito e la seconda le spese legali;
2. la prima parte di tale motivo, cui si riferisce anche la rubrica, contiene la denuncia di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 16 della L. 183/2010, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. e in essa si sostiene che non sia stata legittima – e quindi sia nulla – la proroga di quattro anni dei part-time preesistenti disposta dalla ASL nel termine fissato dalla L. 183/2010, ma in vista di decisioni future, in quanto la normativa imponeva una decisione immediata, mentre quelle assunte erano indicazioni meramente programmatiche e comunque non vi era stato un idoneo esercizio degli eccezionali poteri datoriali consentiti dalla norma;
3. l’oggetto del contendere concerne le vicende di trasformazione del part-time “storici”, ovverosia istituiti sulla base della disciplina adi cui all’art. 58 L. 662/1996 (ndr: art. 1, co. 58, L. 662/1996), in ragione del sopravvenuto disposto dell’art. 16 L. 183/2010;
4. quest’ultima norma ha previsto che entro un certo termine (23.5.2011) la P.A. datrice di lavoro dovesse deliberare, secondo buona fede, sul mantenimento o meno di quei rapporti part-time “storici”, con potere unilaterale, in ipotesi anche di farli cessare;
5. nel caso di specie, secondo la scansione degli eventi quale ricostruita dalla Corte territoriale e pacifica tra le parti, è accaduto che la ASL, nel termine, abbia formato una nota con cui essa, prospettando la modifica di alcuni dei part-time esistenti, aveva disposto comunque la proroga di tutti i part-time per 48 mesi dal 1.1.2012 ed aveva comunicato che per tutti sarebbe stato previsto un termine di durata, come per i contratti stipulati dopo il 2008, in definitiva rimettendo all’esito di quei 48 mesi la decisione sulla conferma e sottoponendo anche un addendum individuale con cui i lavoratori avrebbero dovuto accettare tale proroga, dovendosi avere altrimenti per revocati i part-time di chi non avesse aderito aderiva e ciò con decorrenza dalla data che sarebbe stata indicata;
6. le odierne ricorrenti non hanno mai aderito a quella proposta ed è stato quindi comunicato loro che il relativo part-time sarebbe cessato alla data del 1.1.2012;
7. esse hanno quindi adito il Tribunale di Piacenza in via cautelare, il quale, pur ritenendo che non fosse legittima la cessazione al 1.1.2012, perché ritorsiva rispetto alla mancata firma dell’accordo individuale, affermava che era invece legittima e sufficiente pur in mancanza di firma di quell’addendum, la scelta della ASL di prorogare tutti i part-time per 48 mesi, decisione rispetto alla quale la ASL si è adeguata prorogando in sostanza anche i rapporti delle ricorrenti;
8. in vista dello scadere del termine finale, la ASL, oltre a prorogare di un altro anno (31.12.2016) tutti i part-time, ha predisposto una graduatoria – in ragione del regolamento nel frattempo formato per la disciplina del part-time presso l’ente e nel quale era prevista la durata biennale di tutti i contratti a tempo parziale in essere – per accedere alla quale era necessario presentare apposita domanda, che le ricorrenti non hanno inteso proporre, comunicando di ritenere di non avere alcun obbligo di richiedere la proroga del loro part-time e ciò evidentemente sul presupposto che l’assetto orario dei loro rapporti si fosse definitivamente consolidato, per non avere la ASL correttamente adempiuto agli obblighi di legge di quella fase transitoria;
9. allo scadere della proroga comune a tutti i part-time, la ASL ha disposto la trasformazione a full-time del rapporto delle ricorrenti;
10. queste ultime hanno quindi agito in giudizio per far accertare il consolidamento definitivo del part-time, per effetto dell’illegittimità delle scelte e dei comportamenti datoriali in quanto difformi dagli schemi legali;
11. la Corte territoriale, nel respingere la domanda delle lavoratrici, ha ritenuto che la ASL avesse agito senza alcuna opacità, non solo nei riguardi delle ricorrenti, ma di tutto il personale, facendo proprie le indicazioni del Tribunale di Piacenza in sede cautelare ed adottando con gradualità un regolamento destinato a disciplinare in futuro, sulla base dei dettagli della normativa, il part-time aziendale;
12. le ricorrenti, con il motivo in esame, prendono le mosse dalla natura eccezionale dei poteri di modifica unilaterale dei rapporti di lavoro attribuita dall’art. 16 L. 183/2010 alle P.A., rilevando come una serie di primi atti generali assunti dalla ASL avessero avuto un contenuto meramente programmatico ed inidoneo all’esercizio di quel potere;
13. quanto alla delibera del 20.5.2011, assunta nel termine di legge ma pubblicata successivamente, le ricorrenti sostengono che essa aveva sostanzialmente prorogato il termine per le decisioni datoriali sul part-time, in violazione del termine legale ed aveva altresì finito per sottoporre tutti i part-time ad un regime di durata temporanea, parificando quelli anteriori alla nuova disciplina anteriore al 2008 a quelli soggetti al nuovo regime;
14. le ricorrenti aggiungono ancora come le decisioni cautelari del Tribunale di Piacenza – di cui veniva peraltro contestata la fondatezza nella parte in cui esse ritenevano che in generale il comportamento della Asl fosse conforme a buona fede – nulla potessero aggiungere a quanto da valutarsi in causa;
15. il motivo di ricorso è infondato ma è necessario procedere preliminarmente all’inquadramento normativo della vicenda;
16. in proposito, si osserva che l’art. 1, co. 58, L. 662/1996 prevedeva la trasformazione “automatica” in part-time, su domanda dell’interessato, salvo il caso che il dipendente intendesse svolgere attività di lavoro autonomo o subordinato in conflitto di interessi con la P.A. e salva la possibilità per quest’ultima, a date condizioni di stampo lato sensu organizzativo, di sospendere la trasformazione, ma solo per il periodo di sei mesi;
17. l’art. 73 del d. l. 112/2008 conv. con mod. in L. 133/2008 rese discrezionale la concessione del part-time, consentendo alla P.A. di denegare la trasformazione, sempre al ricorrere delle date condizioni organizzative;
18. l’art. 16 della L. 183/2010 ha quindi stabilito che «in sede di prima applicazione delle disposizioni introdotte dall’articolo 73 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, possono sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati prima della data di entrata in vigore del citato decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008»;
19. come ricordato anche dalla Corte territoriale, tale potere unilaterale è stato ritenuto legittimo sotto il profilo della legittimità costituzionale (Corte Costituzionale 19 luglio 2013, n. 224) sul presupposto che il potere datoriale resta comunque delimitato dall’osservanza dell’obbligo di buona fede e dalla necessità che le decisioni risultino sorrette da serie ragioni organizzative e gestionali ed anche sotto il profilo della legittimità eurounitaria, essendosi ritenuto ( Corte di Giustizia 15 ottobre 2014, Mascellani) che «l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura nell’allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, ed in particolare la sua clausola 5, punto 2, deve essere interpretato nel senso che esso non osta, in circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, a una normativa nazionale in base alla quale il datore di lavoro può disporre la trasformazione di un contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato» e ciò sul presupposto che, mentre l’«obiettivo di eliminazione delle discriminazioni tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno perseguito dall’accordo quadro, la clausola 4 del medesimo osta a che, per quanto attiene alle condizioni di impiego, i lavoratori a tempo parziale siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai lavoratori a tempo pieno comparabili per il solo motivo che lavorano a tempo parziale, se il trattamento differente non sia giustificato da ragioni obiettive» ed è altresì illegittimo «che l’opposizione di un lavoratore a una simile trasformazione del proprio contratto di lavoro possa costituire l’unico motivo del suo licenziamento, in assenza di altre ragioni obiettive», non può invece dirsi che «una situazione in cui un contratto di lavoro a tempo parziale è trasformato in un contratto di lavoro a tempo pieno senza l’accordo del lavoratore interessato e una situazione in cui un lavoratore vede il suo contratto di lavoro a tempo pieno trasformato in un contratto di lavoro a tempo parziale contro la sua volontà non possono essere considerate situazioni comparabili, dato che la riduzione del tempo di lavoro non comporta le stesse conseguenze del suo aumento, in particolare a livello di remunerazione del lavoratore, che rappresenta la contropartita della prestazione di lavoro», sicché la trasformazione unilaterale può essere consentita quando l’operato della P.A. sia finalizzato a «contribuire all’organizzazione flessibile dell’orario di lavoro in modo da tener conto delle esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori»;
20. in tale quadro, non si può ritenere che quanto attuato dalla ASL risulti violativo dell’art. 16, né in generale, né sotto il profilo della buona fede;
21. in generale, il contenuto delle delibere del febbraio-maggio 2011 manifestava l’intento della ASL di sottoporre tutti i part-time esistenti ad un termine di durata, in modo da consentire, mano a mano, alla scadenza, di valutare la persistenza delle ragioni personali e delle esigenze aziendali, il tutto con la proroga al 31.12.2015, poi divenuto 31.12.2016, del termine di durata dei predetti part-time;
22. ciò costituisce appieno una nuova valutazione dei contratti part-time ed una loro modifica unilaterale quale consentita dalla normativa transitoria qui in esame, sub specie di rimodulazione a tempo determinato di tutti i part-time e dunque non si può dire che il termine non fosse stato rispettato;
23. quanto alla buona fede, la lunga durata della proroga, poi ulteriormente protratta per un ulteriore periodo (dal maggio 2011 al 31.12.2015 e quindi al 31.12.2016) è indice di un chiaro intento di consentire ai lavoratori un adattamento al nuovo regime;
24. quanto al piano organizzativo e discrezionale della scelta, la connessione di essa con la predisposizione di un regolamento e di graduatorie finalizzate ad una conduzione trasparente e paritaria delle decisioni datoriali costituisce ulteriore elemento, in coerenza con i principi di correttezza, di ordinata gestione del personale;
25. non può poi non osservarsi come sia improponibile ritenere lesiva dei diritti dei lavoratori una decisione che, pur potendo in astratto anche immediatamente far cessare i part-time attraverso una subitanea loro rimodulazione, li ha invece sottoposti ad una proroga molto lunga, per i fini appena evidenziati ed al fine di coordinare l’interesse dei dipendenti con quello datoriale;
26. vi sarebbe – non va sottaciuto – la pretesa ASL di ottenere dai singoli la sottoscrizione di un addendum ai contratti individuali di accettazione dell’assetto transitorio così regolato, giustamente stigmatizzata in sede cautelare dal Tribunale di Piacenza, ma come già si osservò in quella sede si trattava di condizione non necessaria, essendo sufficienti al risultato perseguito i poteri datoriali e, sostanzialmente, la delibera assunta, sicché, tenuto anche conto che la ASL pacificamente si adeguò a tale indicazione giudiziale mantenendo poi il part-time per le ricorrenti fino al 31.12.2016, anche da questo punto di vista nulla si può alla fine obiettare;
27. è soltanto accennata dalle ricorrenti la questione sul rispetto formale dei tempi (termine ultimo del 23.5.2011) di adozione delle decisioni ai sensi dell’art. 16 cit., in quanto si assume che la nota del 19.5.2011 sarebbe pervenuta alla Ghisolfi solo il 28.5.2011 e che la decisione finale del 20.5.2011 sarebbe stata pubblicata solo il 25.7.2011;
28. tuttavia, tenuto conto che medio tempore i part-time proseguivano tutti, è evidente che per il rispetto del termine deve aversi riguardo al momento della deliberazione di quanto alle predette note e decisioni e non a quello della loro successiva comunicazione o esternazione;
29. la seconda parte del motivo di ricorso riguarda infine le spese di giudizio ed in essa le ricorrenti lamentano il fatto che la Corte d’Appello abbia disposto la compensazione sui due gradi, mentre, tenuto conto che l’azione era stata intentata anche a fronte del rifiuto del datore di lavoro di consegnare la documentazione riguardante il loro contratto, esse avrebbero dovuto essere tenuti indenni dalle spese di primo grado;
30. il profilo di censura è errato ed infondato;
31. la Corte territoriale ha compensato le spese dei due gradi e quindi le lavoratrici, nonostante la soccombenza, sono rimasti indenni dall’obbligo di rifondere le spese alla controparte;
32. se peraltro il senso del motivo è quello per cui alle lavoratrici avrebbero dovuto essere corrisposte dalla ASL le spese di primo grado, nonostante la soccombenza, l’assunto è infondato, perché in contrasto con l’art. 91, co.1, c.p.c. e con il principio consolidato secondo cui esse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa (v. per il principio, costantemente affermato in coerenza con il disposto della norma, tra le molte, C. 26912/2020; C. 24502/2017);
33. il ricorso va dunque complessivamente disatteso e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza;
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di lege. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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