CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 ottobre 2018, n. 23878
Licenziamento disciplinare – Tardività della contestazione – Violazioni di procedure di commercializzazioni – Proporzionalità della sanzione
Rilevato
1. che con sentenza n. 436/2016 la Corte di appello di Milano, pronunziando sul reclamo proposto ai sensi dell’art. 1, comma 58, Legge 28/06/2012 n. 92, da T.I. s.p.a. ha confermato la declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare intimato a M.T. in data 4.4.2012 e la conseguente condanna della società datrice di lavoro alla riammissione in servizio del lavoratore, al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni globali di fatto maturate fino alla reintegrazione ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali;
1.1. che, in particolare, la Corte territoriale, disattesa la eccezione di tardività della contestazione, ha accertato, anche sulla base del riferimento a numerose pronunzie che avevano coinvolto, per fatti sostanzialmente analoghi, altri dipendenti T.I. s.p.a. della medesima Area Nord Ovest – Settore vendite -, che i fatti contestati al T., consistenti in violazioni di procedure di commercializzazioni relative ad una serie di contratti stipulati per la fornitura di locazione di beni mobili, prodotti informatici, fornitura ed installazione di hardware, fornitura di beni e servizi di leasing, si iscrivevano nell’ambito di una prassi generalizzata, adottata da anni, sostenuta e sollecitata dai vertici dell’area Nord Ovest, i quali non perdevano occasione per sollecitare la conclusione del maggior numero di contratti sulla base di modalità operative spregiudicate ed irrispettose delle disposizioni aziendali;
1.2. che alla luce di tale specifico contesto doveva essere valutata, ai fini del giudizio di proporzionalità, la condotta del T. il quale aveva ammesso la sua partecipazione alle attività oggetto di contestazione; in questa prospettiva la sanzione espulsiva la quale poneva sullo stesso piano la condotta del Direttore dell’Area vendite, quella dell’Area manager e quella del singolo venditore, anello più debole dell’intera catena gerarchica, appariva non proporzionata non potendo, peraltro, neppure ravvisarsi un’ipotesi di giustificato motivo soggettivo in considerazione della prassi utilizzata dalla forza vendita nel suo complesso, delle concrete modalità di svolgimento dei fatti, della limitatezza degli episodi addebitati, della correttezza professionale dimostrata dal dipendente che fin dall’inizio aveva riferito esattamente come si erano svolti i fatti ;
1.3. che in ordine all’aliunde perceptum il periodo in considerazione era solo quello tra la data del licenziamento – aprile 2012 – e quella dell’emissione dell’ordinanza della fase sommaria poi confermata in sede di opposizione – luglio 2013, periodo già preso in esame dal giudice di primo grado;
2. che per la cassazione della decisione ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo T.I. s.p.a. ;
2.1. che la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso e ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi;
2.2. che il PG ha depositato requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale;
2.3. che parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc., civ.;
Considerato
1. che con l’unico motivo di ricorso principale parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cod. civ. e dell’art. 3 Legge 15/07/1966 n. 604, censurando, in sintesi, la sentenza impugnata per avere ritenuto il difetto di proporzionalità della sanzione espulsiva. Assume, in particolare, la incongruenza della decisione laddove, da un lato afferma e riconosce espressamente che i contratti conclusi dal T. erano in contrasto con le policy aziendali interne e, dall’altro, giustifica la condotta tenuta dal medesimo sulla base della considerazione che lo stesso avrebbe agito seguendo direttive dei superiori gerarchici;
2. che con il primo motivo di ricorso incidentale condizionato il ricorrente incidentale deduce omesso esame di fatto decisivo costituito dalla circostanza che i massimi vertici della società, non coinvolti nel sistema di operazioni illecite, avevano piena conoscenza del sistema di operazioni irregolari poste in essere dalla Struttura Vendita Area Nord Ovest;
3. che con il secondo motivo, svolto in subordine, deduce violazione dell’art. 7 Legge 20/05/ 1970 n. 300, censurando la sentenza impugnata per avere escluso il difetto di immediatezza della contestazione;
4. che l’unico primo motivo di ricorso principale è infondato dovendosi dare continuità alla condivisibile giurisprudenza di questa Corte, espressasi in relazione a vicenda analoga relativa al medesimo contenzioso, nel senso della correttezza della valutazione di proporzionalità operata dalla Corte milanese (Cass. 16/04/2015 n. 7782);
4.1. che, come è noto, la giusta causa di licenziamento deve rivestire il carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e, in particolare, dell’elemento fiduciario, dovendo il giudice valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati commessi e all’intensità del profilo intenzionale, dall’altro, la proporzionalità fra tali fatti e la sanzione inflitta, per stabilire se la lesione dell’elemento fiduciario, su cui si basa la collaborazione del prestatore di lavoro, sia tale, in concreto, da giustificare la massima sanzione disciplinare; quale evento “che non consente la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”, la giusta causa di licenziamento integra una clausola generale, che richiede di essere concretizzata dall’interprete tramite valorizzazione dei fattori esterni relativi alla coscienza generale e dei principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, mentre l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo si pone sul diverso piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici (Cass. 26/04/2012 n. 6498; Cass. 02/03/2011 n. 5095);
4.2. che il motivo in esame, inteso a censurare, sotto il profilo della violazione di norma di diritto, il riferimento alla consapevolezza dei superiori delle prassi irregolari quale elemento destinato ad attenuare, sotto il profilo soggettivo, il disvalore dei fatti ascritti, non evidenzia alcun parametro in contrasto con i principi ed i criteri desumibili dall’ordinamento generale e dalla nozione di cui all’art. 2119 cod. civ.; l’accertamento di fatto alla base della sentenza impugnata è stato fondato sulla estrema diffusività della irregolare pratica commerciale sulle pressioni effettuate in via gerarchica sui venditori e nello specifico sul T., sulla diffusa consapevolezza nell’ambito aziendale ed in capo ai massimi vertici della società di tali prassi irregolari finalizzata all’incremento del fatturato; in tale contesto, fermo il disvalore in sé del fatto addebitato, appare difficilmente configurabile la lesione dell’elemento fiduciario e la stessa ipotizzabilità del grave inadempimento soggettivo da parte del dipendente per essersi questo attenuto a specifiche direttive e pressioni dei superiori in un sistema lavorativo talmente pervaso da tali pratiche irregolari da rendere difficilmente immaginabile per il lavoratore, anche in considerazione del ruolo rivestito, la possibilità di rifiutare di adeguarvisi; è ancora da osservare, sempre sotto il profilo dell’elemento soggettivo, che il giudice di merito ha ritenuto di valorizzare la correttezza professionale dimostrata dal dipendente che fin dall’inizio aveva riferito esattamente come si erano svolti i fatti;
4.3. che la valutazione di proporzionalità risulta quindi coerente sia con la clausola generale evincibile dall’art. 2119 cod. civ. sia con l’art. 3 Legge n. 604/1966 cit.;
5. che il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame dei motivi di ricorso incidentale condizionato;
6. che le spese del presente giudizio sono regolate secondo soccombenza;
7. che la circostanza che il ricorso principale sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Con distrazione in favore degli Avv.ti E.P., B.C., S.B..
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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