CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 settembre 2020, n. 18250
Lavoro – Differenze retributive e TFR – Programmatore informatico – Responsabilità per debiti eventualmente gravanti sulla società estinta
Rilevato che
Il Tribunale di Salerno con sentenza depositata il 9/6/2014, respingeva le domande proposte da A.S. nei confronti della s.a.s. L.C informatica di N.V. e c. nonché di G.G., volte a conseguire il pagamento della somma di euro 19.455,57 a titolo di differenze retributive e TFR spettanti in relazione alla attività di programmatore informatico espletate alle dipendenze della predetta società nel periodo 2/1/2004-3/3/2005.
Avverso tale decisione A.S. interponeva gravame innanzi alla Corte distrettuale che, con sentenza resa pubblica il 19/4/2016; lo dichiarava inammissibile.
A fondamento del decisum, la Corte distrettuale osservava che la società appellata era risultata cancellata dal registro delle imprese in data 17/3/2010, nelle more del giudizio di primo grado instaurato nell’anno 2008. Essendosi verificato un fenomeno estintivo della società, in base ai principi espressi in sede di legittimità dalla sentenza resa a Sezioni Unite n. 6070/2013, l’appellante avrebbe dovuto spiegare atto di gravame nei confronti degli “ex soci della s.a.s. o comunque dei soggetti responsabili per debiti eventualmente gravanti sulla società estinta”.
L’evocazione in giudizio della società ormai estinta ridondava in termini di inammissibilità del ricorso.
La cassazione di tale sentenza è domandata da A.S. sulla base di unico motivo.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
Il Procuratore Generale ha concluso, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., per il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. Con unico motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto.
Si criticano gli approdi ai quali è pervenuto il giudice del gravame in tema di effetti processuali conseguenti alla cancellazione della società dal registro delle imprese. Si prospetta la contrarietà ai principi costituzionali della ragionevolezza, del giusto processò e del diritto di difesa, propri della soluzione adottata dalla Corte distrettuale sul tema delibato; viene ritenuto oltremodo gravoso, per la parte interessata all’impugnazione, l’onere di procedere ad una “permanente consultazione del registro delle imprese al fine di consentirle la semplice gestione del processo”.
Si deduce quindi che l’applicazione della regola della immediata estinzione della società, per effetto di una volontaria cancellazione dal registro delle imprese, contrasta con l’orientamento giurisprudenziale (S.U. n. 19509/2010) secondo cui occorre operare “un attento bilanciamento tra esigenze del soggetto che intenda impugnare la decisione sfavorevole e quelle del soggetto protagonista di una vicenda modificatrice della capacità di stare in giudizio, dallo stesso voluta”.
2. Il motivo è fondato e va accolto per le ragioni di seguito esposte.
La questione oggetto di attuale delibazione, attinente agli effetti processuali connessi alla vicenda estintiva che può investire le società, è stata oggetto di ripetuti interventi da parte della giurisprudenza di legittimità, che nel suo sviluppo evolutivo ha tracciato, come da più parti osservato, “una storia infinita”, dipanatasi attraverso modalità di “pendolarismo giurisprudenziale”.
In tale contesto, per richiamare le soluzioni più recentemente delineatesi, vanno considerati i noti arresti giurisprudenziali del 2010 e del 2013 (Cass. S.U. 22/2/2010 n.4060 e Cass. S.U. 12/3/2013 n.6070), con i quali è stato innanzitutto fugalo ogni dubbio sul fatto che, sia pure con riferimento al nuovo art.2495 c.c. (introdotto dalla riforma del diritto societario del 2003, in sostituzione dell’art.2456), l’iscrizione della cancellazione nel registro delle imprese comporta l’estinzione della società, superandosi così l’orientamento, pluridecennale e assolutamente prevalente, formato in relazione alla vecchia disciplina, secondo il quale la cancellazione non determinava l’estinzione della società ove e sino a che non fossero esauriti tutti i rapporti giuridici ad essa facenti capo.
La cancellazione, infatti determina li “venir meno” dell’ente, indipendentemente dall’esistenza di crediti insoddisfatti o di rapporti ancora non definiti, la relativa disposizione avendo portata innovativa e non interpretativa della disciplina previgente.
3. Va poi in via ulteriore rimarcato che i principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2010 e nel 2013 riguardano non soltanto le società di capitali, ma anche le società di persone.
Alla pubblicità del regime che presiede alla cancellazione dal registro delle imprese, di natura dichiarativa, secondo gli approdi ai quali è pervenuta la più avvertita dottrina, è comunque connessa una presunzione, opponibile ai creditori sociali, del venir meno della capacità giuridica (cfr. Cass., sez. un., 12/3/2013, n. 6070, Cass. 13/11/2009, n.24037), della soggettività e della legittimazione della società. La soluzione trova giustificazione nella necessità di trattare in maniera omogenea situazioni sostanzialmente identiche e nell’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme che regolano le società di persone (Corte Cost. 21 luglio 2000, n. 319), da leggere in parallelo ai nuovi effetti costitutivi della cancellazione di quelle di capitali (v. Cass, S.U. n.4060/2010).
A fronte del nuovo dettato normativo di cui all’art. 2495 c.c., il “diritto vivente” è, dunque, concorde nel ritenere che la cancellazione comporta l’estinzione della società e ha effetto costitutivo, valendo, quindi, anche nel caso in cui la società estinta abbia assunto le forme della società di persone, il binomio cancellazione-estinzione.
Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, infatti, già con la sentenza n. 4060/2010, avevano affermato il principio per cui “in tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazioni, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 1° gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore” (conf. Cass. n. 9032/2010; Cass. n. 20878/2010; Cass. n. 26196/2016, in motiv., Cass. 9/10/2017 n.23563).
4. Muovendo da tali presupposti, lo studio del fenomeno estintivo delle società ha coinvolto, poi, essenzialmente, il tema dell’individuazione della giusta parte, quale corollario del giusto processo, nonché la definizione dei poteri e della legittimazione del difensore della parte stessa, intesi come ineludibili passaggi per addivenire all’approdo di una auspicata stabilizzazione del processo.
In tale linea evolutiva un ruolo indubbiamente fondante assume la pronunzia n. 6070/2011 resa dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, con la quale si è stabilito il principio per cui, in caso di estinzione della società in conseguenza della sua cancellazione dal registro delle imprese, si determina un “meccanismo di tipo successorio”, in virtù del quale:
a) sul piano sostanziale, l’obbligazione della società non si estingue, poiché ciò sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali, mentre i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo;
b) sul piano processuale, qualora l’estinzione intervenga nella pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina (salva la sola eccezione della fictio juris contemplata dall’art. 10 l.fall.) un evento interruttivo, disciplinato dagli artt.299 e ss. c.p.c., con eventuale prosecuzione o riassunzione da parte o nei confronti dei soci, successori della società, ai sensi dell’art. 110 c.p.c.; se, però, l’evento non è stato fatto constare nei modi di legge o si sia verificato quando farlo constare in tali modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza, pronunciata nei riguardi della società, deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci, atteso che la stabilizzazione processuale di un soggetto estinto non può eccedere grado di giudizio nel quale l’evento estintivo è occorso (conf. Cass. n. 20/9/2013 n.21517, Cass. 19/3/2014 n.6468; Cass. 13/5/2015 n. 9828).
Questo è, dunque, l’orientamento giurisprudenziale che la Corte di merito ha mostrato di conoscere e condividere; esso risulta ispirato alla esigenza di valorizzazione della giusta parte, che a seguito del verificarsi dell’evento menomativo, non sarebbe più quella originaria e che andrebbe tutelata nella sua diversa identità e nell’inestensibilità della disciplina dell’art. 300 cod. proc. civ. alle fasi processuali per le quali non è esplicitamente prevista.
5. Non può, peraltro, tralasciarsi di considerare che le Sezioni Unite, recependo le istanze formulate da molta parte della dottrina, sono in seguito, ritornate su tema (vedi Cass. S.U. 4/7/2014 n.15295), assumendo lo sforzo e formulando l’auspicio di offrire alla materia una soluzione che avesse un effetto stabilizzante per il processo; e, per stabilizzare il processo, hanno ritenuto che occorresse stabilizzare la parte smessa, così ritornando alla teoria dell’ultrattività del mandato.
In particolare, concordando con la maggiore elaborazione giurisprudenziale della tesi in argomento, sviluppata dalle tre sentenze rese dalle Sezioni Unite il 21 febbraio 1984, n. 1228, 1229 e 1230, si è rilevato che, a norma dell’art. 300 cod. proc. civ., essendo indispensabile la comunicazione formale dell’evento da effettuarsi dal procuratore della parte deceduta o che ha perduto la capacità di stare in giudizio, e non avendo perciò rilevanza la conoscenza che dell’evento le altre parti abbiano aliunde, l’effetto ìnterruttivo del processo è prodotto da una fattispecie complessa e diluita dal verificarsi dell’evento e dalla dichiarazione in udienza o dalla notificazione fattane dal procuratore alle altre parti; dichiarazione o notificazione del procuratore che, consistendo nell’esteriorizzazione di una determinazione volitiva, al fine di produrre l’effetto interruttivo dei processo, si configura come negozio processuale del procuratore legittimato dal potere rappresentativo conferito con la procura ad litem.
Finché non vi sia la comunicazione formale del procuratore della parte divenuta incapace, proseguendo l’iter processuale nello stato anteriore, come se la parte fosse ancora in vita o continuasse ad essere capace, si verifica, appunto, il fenomeno dell’ultrattività della procura ad litem, nonostante il verificarsi dell’evento che, per la norma dell’art. 1722, n. 4, cod. civ. avrebbe dovuto procurarne l’estinzione.
Le sezioni Unite hanno chiaramente accolto il richiamato auspicio affermando che «Qualora, durante la pendenza del giudizio, sopraggiunga la morte della parte costituita ed il suo procuratore ometta di dichiarare o notificare l’evento nei modi e nei tempi di cui all’art.300 c.p.c., la posizione giuridica del soggetto rappresentato (rispetto alle altre parti e al giudice) resta stabilizzata nella fase attiva del rapporto processuale e nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del rapporto a seguito della proposizione del giudizio di gravame, sicché è ammissibile l’atto di impugnazione notificato, presso il difensore, alla parte deceduta o divenuta incapace, pur se il notificante abbia avuto aliunde conoscenza dell’evento>>.
Tale linea interpretativa è stata condivisa da questa Corte in ulteriori pronunce espressamente riferite anche al fenomeno societario (vedi Cass. 9/10/2017 n. 23563 secondo cui la cancellazione di una società di persone dal registro delle imprese costituita in giudizio a mezzo di procuratore che tale evento non abbia dichiarato in udienza o notificato alle altre parti nei modi e nei tempi di cui all’art. 300 c.p.c., comporta, giusta la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, che detto procuratore continua a rappresentare la parte come se l’evento interruttivo non si fosse verificato, con conseguente ammissibilità della notificazione dell’impugnazione presso di lui, ex art.330, comma 1, c.p.c., senza che rilevi la conoscenza “aliunde” dell’avvenuta cancellazione da parte del notificante;
Cass. 23/11/2018 n. 30341 secondo cui la cancellazione della società dal registro delle imprese dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo la cui rilevanza processuale è peraltro subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, dalla dichiarazione in udienza ovvero dalla notificazione dell’evento alle altre parti).
Nell’ottica descritta, non può sottacersi che il giudice del gravame, preso atto dell’autorevole arresto delle Sezioni Unite n.6070/2013 (sulla cui scia si sono collocate, pervero anche ulteriori pronunce di questa Corte – vedi Cass. 19/12/2016 n. 26196, Cass. 9/10/2018 n. 24853), non si sia confrontato con i successivi citati approdi della Corte di legittimità che qui si condividono, per la portata indubbiamente stabilizzatrice della posizione giuridica della società rispetto alle altre parti ed al giudice nell’ambito della dinamica processuale ai quali sono ispirati, ed ai quali, per tali motivi, si intende dare continuità.
Al lume delle sinora esposte considerazioni, il ricorso merita di essere accolto.
La sentenza impugnata, alla stregua del disposto dell’art.384, primo comma, c.p.c., deve essere cassata con rinvio alla Corte distrettuale designata in dispositivi – cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità – che si atterrà al principio di diritto da enunciarsi nei seguenti termini; la cancellazione, anche della società di persone, dal registro delle imprese, dà luogo a un fenomeno estintivo che priva la stessa della capacità di stare in giudizio, costituendo un evento interruttivo a cui rilevanza processuale è subordinata, ove la parte sia costituita a mezzo di procuratore, stante la regola dell’ultrattività del mandato alla lite, alla dichiarazione in udienza ovvero alla notificazione dell’evento alle altre parti.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Salerno in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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