CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 settembre 2021, n. 23791
Patto di non concorrenza – Nullità – contenuto generico e indeterminato – Durata del divieto di concorrenza sleale – Termine
Rilevato che
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna ha rigettato l’appello proposto da Società P.G. s.n.c. di P.G. & C. nei confronti S.E. s.r.l., confermando pertanto la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Modena in data 1.7.2009 con la quale era stata condannata la Società P.G. s.n.c. di P.G. & C. al pagamento in favore di S.E. s.r.l. della somma di euro 30.000, oltre interessi dalla domanda, in relazione alla violazione del patto di concorrenza diretta ed indiretta contratto dal G. ne confronti di S. per il tempo di un anno dalla cessazione del rapporto di collaborazione intercorso tra le parti.
La corte del merito ha ritenuto che: a) in relazione al primo motivo di gravame – con il quale era stata dedotta la nullità del patto di non concorrenza oggetto del contratto tra G. e S. e di conseguenza la nullità del patto accessorio dal primo contratto anche per conto delle società terze (nullità determinata dal contenuto generico ed indeterminato del patto stesso) – le censure dovevano considerarsi infondate, posto che l’impegno contrattuale prevedeva invece in modo specifico l’obbligo di non svolgere attività concorrenziale per il periodo di 12 mesi da parte del G. ovvero tramite società partecipate o che avessero svolto attività su richiesta del G. in favore di S.; b) in relazione al secondo motivo di censura (relativo alla dedotta irrealizzabilità dell’impegno assunto con riferimento all’obbligo di terzi), occorreva evidenziare che, anche in questo caso, l’obbligazione era chiara e determinata nel suo contenuto, in quanto era indicato il tempo di validità dell’impegno così contrattualmente assunto ed era pienamente realizzabile, con la precisazione che, in relazione alla durata del divieto di concorrenza sleale (sia diretta che indiretta), doveva ritenersi pacifico che il termine annuale decorresse dal momento della cessazione del rapporto tra G. e S.; c) in relazione agli ulteriori motivi di gravame, ha ritenuto l’infondatezza degli stessi sulla base delle seguenti considerazioni: i) la società C.C. s.r.l. era stata incaricata dal G. di svolgere una parte dei lavori che in precedenza quest’ultimo aveva eseguito in nome e per conto della S.; li) già nel maggio 2002 (e dunque nell’arco temporale in cui era vigente l’obbligo contrattuale di non concorrenza), la C.C. s.r.l. aveva assunto all’interno di M.M. il ruolo prima svolto da S.; iii) doveva considerarsi fatto pacifico che la C. C. s.r.l. avesse svolto indirettamente attività per S. in nome e per conto della società di G.; iv) la validità dell’obbligazione assunta dall’appellante era non discutibile posto che la stessa era inquadrabile nella fattispecie astratta di all’art. 1381 cod. civ.; v) C. C. s.r.l. aveva dunque svolto, a far data dal maggio 2002, attività collaborativa in favore di M. M. e l’impegno di non concorrenza assunto dal G. decorreva dalla data di scadenza della collaborazione con S., che intervenne nel mese di dicembre del 2001; vi) la Società P.G. s.n.c. di P.G. & C. aveva dunque assunto l’obbligo di non concorrenza anche del terzo (C. C. s.r.l.) il quale non si era astenuto dalla detta attività di collaborazione e il G. era dunque obbligato ad indennizzare, ai sensi dell’art. 1381 cod. civ., S. E. s.r.l. per il danno subito dall’attività di concorrenza sleale ad opera del terzo; vii) con la promessa del fatto del terzo ex art. 1381 cod. civ., il promittente assume una prima obbligazione di facere, consistente nell’adoperarsi affinchè il terzo tenga il comportamento promesso, onde soddisfare l’interesse del prommissario, ed una seconda obbligazione di dare, e cioè di corrispondere l’indennizzo nel caso in cui, nonostante il promittente si sia adoperato, il terzo rifiuti di impegnarsi, con la conseguenza che nel primo caso il promissario avrà a disposizione gli ordinari rimedi contro l’inadempimento (compreso il risarcimento del danno), e che, nella seconda ipotesi, diverrà attuale l’obbligazione di dare in virtù della quale il promittente sarà tenuto a corrispondere solo l’indennizzo; viii) il G. non aveva dimostrato di essersi adoperato nei confronti del terzo per evitare l’attività di concorrenza sleale né la sua estraneità al fatto (da ritenersi incontestato) che il terzo (C. C. s.r.l.) avesse violato l’obbligo di non concorrenza; ix) il criterio di equità, già utilizzato dal primo giudice, era idoneo per la liquidazione del danno e conforme all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’indennizzo ex art. 1381 cod. civ. non può che liquidarsi secondo criteri equitativi in mancanza della concreta prova del danno, con conseguente conferma dell’entità dell’indennizzo già quantificato dal primo giudice.
2. La sentenza, pubblicata il 7.7.2016, è stata impugnata da Società P.G. s.n.c. di P.G. & C. con ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, cui S.E. s.r.l. ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ. Il ricorrente censura la sentenza impugnata per error in procedendo sul presupposto che essa abbia errato nel non dichiarare, ai sensi del sopra richiamato art. 345 del codice di rito, l’inammissibilità della domanda nuova asseritamente proposta da S. in grado di appello.
1.1 La doglianza è inammissibile perché è in primo luogo di difficile comprensione, posto che non è dato capire quale sia la domanda nuova – asseritamente inammissibile ex art. 345 cod. proc. civ. – che la parte appellata S. avrebbe proposto in sede di gravame avanti la Corte di appello, essendo invece incontestato (e incontestabile) che la S. si era limitata, in sede di costituzione nel giudizio di appello, a chiedere il rigetto dell’avverso gravame e la conferma della sentenza di primo grado ed emergendo per tabulas che l’appellata non aveva proposto altra domanda se non quella di rigetto dell’appello della società G.. Ne consegue che non esiste alcuna “nuova domanda fondata su una diversa causa petendi” della quale la corte di appello avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità.
2. Con il secondo mezzo si deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia su un motivo determinante del gravame e consistente nell’eccezione di extrapetizione della sentenza di primo grado per il capo di condanna impugnato. Evidenzia il ricorrente che la sentenza di primo grado avrebbe violato l’art. 112 cod. proc. civ., avendo accordato un equo indennizzo a fronte della diversa richiesta di risarcimento del danno formulata da S. nella domanda avanzata con l’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, con ciò comportando la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, così come rilevato nel quarto motivo di gravame sul quale tuttavia la corte di merito non si sarebbe pronunciata.
2.1 Il motivo è infondato.
2.1.1 E’ necessario in primis chiarire che il vizio di omessa pronuncia sulla eccezione processuale di extrapetizione non è in realtà configurabile (cfr., ex multis, Cass. 25154/2018; Cass. 1876/2018; Cass. 22083/2013).
Occorre tuttavia esaminare la questione – pur sollevata dalla società ricorrente – se comunque il Tribunale fosse incorso in extrapetizione, scrutinando tuttavia se la decisione della corte territoriale (che aveva la possibilità eventualmente di riformare o correggere la sentenza di primo grado) fosse o meno conforme alla domanda avanzata innanzi al tribunale dalla società attrice S..
2.1.2 Orbene, osserva la Corte che dallo stesso ricorso per cassazione risulta che la parte attrice avesse formulato una domanda di risarcimento per inadempimento della promessa di fatto del terzo (e non già di indennizzo connesso alla garanzia del fatto del terzo relativo alla obbligazione di dare). Risulta del pari non discutibile che la corte di appello abbia accolto proprio la domanda di risarcimento, non incorrendo pertanto nella denunciata extrapetizione.
2.1.3 Né può dirsi che sia incorso in extrapetizione il Tribunale, riconoscendo l’indennizzo anziché il risarcimento, posto che non risulta non solo aver riconosciuto un bene della vita diverso da quello richiesto e neppure essersi basato su fatti diversi da quelli allegati dalla attrice (cfr., da ult., Cass. 9002/2018, 8048/2019, 12014/2019).
2.1.4 A ciò deve essere aggiunto che, contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente nel motivo di doglianza qui in esame, la corte di appello ha sostanzialmente confermato l’impianto argomentativo del primo giudice, evidenziando, cioè, un inadempimento della Società P.G. s.n.c. all’obbligo di facere nell’adoperarsi affinchè il terzo (C.C. s.r.l.) tenesse il comportamento promesso ex art. 1381 cod. civ. (presupposto per il risarcimento del danno da inadempimento), così fornendo conferma alla condanna di pagamento della G. al richiesto risarcimento del danno sulla base del predetto inadempimento contrattuale, già accertato in primo grado.
3. Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione degli artt. 329 e 346 cod. proc. civ. per aver il giudice di appello motivato sulla base di un fatto (inadempimento-risarcimento) la cui esclusione doveva ritenersi coperta da giudicato interno, non essendo stato proposto sul punto appello incidentale.
3.1 Il motivo è infondato.
Osserva la Corte che, contrariamente a quanto affermato dalla parte ricorrente, la sentenza di primo grado – non ha affatto escluso l’inadempimento della G. snc alla propria obbligazione di facere, ma anzi l’ha espressamente dichiarato affermando che è stata proprio la G. snc ad incaricare la C. C. s.r.l. di porre in essere le attività concorrenziali, con la conseguenza che non è rintracciabile alcuna violazione dei parametri normativi sopra richiamati, essendosi limitata la corte di appello a confermare – come già sopra rilevato – la valutazione in ordine all’esistenza dell’inadempimento alla obbligazione di facere sopra descritta, condannando al risarcimento del danno per l’inadempimento all’obbligo del terzo ex art. 1381 cod. civ.
4. Il quarto mezzo denuncia nullità della sentenza per violazione degli artt. 111 Cost. e 132 cod. proc. civ., derivante dal radicale conflitto tra dispositivo e motivazione.
4.1 Il motivo è infondato.
Non è dato riscontrare il rilevato contrasto tra motivazione e dispositivo della sentenza impugnata, posto che, in realtà, nel primo si è affermato il rigetto dell’appello e nella motivazione, per quanto già specificato in relazione agli altri motivi di censura, la corte distrettuale si è limitata a confermare la valutazione di inadempimento contrattuale nel senso già chiarito, incorrendo in un mero lapsus terminologico con la definizione indennitaria della posta risarcitoria già liquidata in primo grado in conseguenza del predetto inadempimento all’obbligazione di facere ex art. 1381 cod. civ.
5. La ricorrente propone inoltre una quinta doglianza con la quale si denuncia la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 329, 346 e 112 cod. proc. civ. Si sostiene che la corte territoriale, confermando la sentenza di primo grado, avrebbe confermato il solo petitum, modificando tuttavia la causa petendi e incorrendo pertanto nel vizio di extrapetizione.
5.1 La doglianza è infondata per le medesime ragioni già sopra esposte in relazione al secondo motivo (che qui si richiamano), e cioè perché il giudice del gravame ha semplicemente confermato quanto già deciso nella sentenza di primo grado, affermando che la G. snc si era resa inadempiente alla propria obbligazione di facere ed era dunque tenuta al conseguente risarcimento del danno, chiamato solo impropriamente “indennizzo” nel corso della motivazione.
6. Con il sesto mezzo la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (e cioè la parziale esecuzione del fatto del terzo), oggetto di discussione tra le parti, la cui valutazione avrebbe escluso in radice l’inadempimento della G. snc.
6.1 Il motivo è inammissibile sia perché volto a richiedere alla Corte di legittimità una rivalutazione in fatto delle risultanze processuale, scrutinio che invece è inibito a questa Corte, sia perché la doglianza neanche coglie la ratto decidendi della motivazione impugnata che ha collocato dopo il mese di maggio 2002 (e dunque nell’arco temporale coperto dal patto di non concorrenza) l’inadempimento alla promessa del fatto del terzo (C. C. s.r.l.) di non svolgere attività concorrenziale in danno della promissaria S. E. s.r.l.. Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso ad.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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