CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 agosto 2022, n. 24042
Lavoro – Ausiliaria alla vendita – Contratti di somministrazione – Domanda di riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze della società utilizzatrice – Rigetto
Rilevato che
1. Con sentenza n. 450 depositata il 12.2.2021 la Corte di appello di Roma, in riforma della pronuncia del giudice di primo grado e accogliendo l’appello proposto da GS s.p.a. (già S.S.C.), accertava la legittimità dei contratti di somministrazione stipulati da A.N. con diverse agenzie (e da ultimo con la società G.G. s.p.a.) per lo svolgimento di attività di lavoro, quale addetta all’insieme delle operazioni ausiliari alla vendita, presso vari negozi C. nel periodo 2008-2016, con conseguente rigetto della domanda della lavoratrice tesa ad ottenere il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato alle dirette dipendenze della società utilizzatrice;
2. la Corte territoriale – premesso che doveva ritenersi formato giudicato interno sia in ordine alla decadenza, ex art. 32 della legge n. 183 del 2010, dall’impugnazione dei contratti di somministrazione stipulati in data anteriore al 31.8.2015, sia alla infondatezza delle rivendicazioni retributive connesse alla lamentata disparità di trattamento — ha rilevato che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di primo grado, la società aveva tempestivamente prodotto sia il contratto di lavoro a tempo indeterminato sottoscritto dalla lavoratrice con l’agenzia G.G. (quale all 1 alla suddetta comparsa) sia tutti i contratti commerciali di somministrazione, con relative proroghe, stipulati con le agenzie dopo il 30.6.2015 (come si ricavava dalla corrispondenza con le rispettive numerazioni apposte a tali documenti, quali all.4 della comparsa di costituzione in primo grado della società, oltre che con tutti gli elementi dei contratti di lavoro e con le controdeduzioni della lavoratrice, che aveva stigmatizzato proprio la produzione di soli 9 contratti di somministrazione, numero coincidente con i contratti di lavoro stipulati dal 30.6.2015 in poi); in ogni caso, la Corte territoriale ha sottolineato che il deposito di detta documentazione doveva ritenersi ammissibile anche ai sensi dell’art. 437, comma 2, cod.proc.civ. visto il complessivo contenuto delle allegazioni effettuate nella memoria di costituzione in primo grado dalla società (ove era stata evidenziata la difficoltà di reperire tutta la documentazione necessaria, considerato il numero rilevante di contratti di somministrazione a tempo determinato stipulato con altrettanto rilevante numero di dipendenti, ed era stata avanzata richiesta di esibizione documentale e prova per testi nonché prodotta richiesta avanzata a varie agenzie di somministrazione di invio della documentazione), allegazioni che realizzavano quelle “piste probatorie” in ordine alla effettiva stipulazione per iscritto dei contratti di somministrazione (9 contratti di somministrazione dal giugno 2015 in poi, residuo oggetto del contendere), piste avvalorate altresì dalla avvenuta stipulazione per iscritto dei contratti di lavoro tra lavoratrice e società di somministrazione; per il resto, la Corte territoriale ha escluso ulteriori vizi, formali e sostanziali, dei contratti di somministrazione, rilevando, in particolare, che irrilevante doveva ritenersi la dedotta frode alla legge per assenza di esigenze temporanee trattandosi di requisito non essenziale alla luce della (novellata) normativa contenuta nel d.lgs. n. 81 del 2015;
3. avverso la detta sentenza la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria, e la società resiste con controricorso (depositando memoria di costituzione di nuovo procuratore);
4. la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’articolo 380 bis cod.proc.civ.
Considerato che
1. Con il primo e il secondo motivo di ricorso si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 416 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4 cod.proc.civ.) in quanto la lavoratrice aveva evidenziato, costituendosi in grado di appello, che la società non aveva prodotto in primo grado i contratti di somministrazione successivi all’entrata in vigore del d.lgs. n. 81 del 2015, e ciò era dimostrato dalla sequenza logica degli avvenimenti come suffragata dagli atti di primo grado di entrambe le parti (compresa la dichiarazione, nella memoria costitutiva della società, di aver prodotto i contratti di somministrazione per il periodo luglio-ottobre 2012 e la generica rubrica “contratti di somministrazione” al n. 4 dell’elenco degli atti depositati), con conseguente nullità della sentenza impugnata per violazione del principio del dispositivo;
2. con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 437, comma 2, cod.proc.civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) per avere ritenuto ammissibile, la Corte territoriale, il deposito di documenti non prodotti in primo grado posto che i documenti erano di formazione precedente al giudizio di primo grado, la loro produzione non è stata necessitata dall’evolversi del processo, i documenti non erano volti a completare una pista probatoria ma fornivano in realtà la prova del fatto estintivo della società, e, infine, la società non aveva circostanziato l’avvenuta stipulazione dei contratti commerciali;
3. con il quarto e il quinto motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 416, 437 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ. (ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ.) per avere, la Corte territoriale, fondato la decisione su fatti e circostanze non dedotte dalla società in primo grado, essendosi limitata a descrivere, nella comparsa di costituzione in primo grado, la difficoltà di reperire tutti i contratti di somministrazione succedutisi nel tempo, senza specificarli, senza indicare il periodo dei singoli contratti e le diverse agenzie di somministrazione e affermando di produrre solamente quelli del 2012 e esponendo contraddittoriamente, con il ricorso in appello, da una parte di aver depositato i contratti del 2015-2016 e, dall’altra, di aver richiesto alla società M. s.r.l. i contratti commerciali; la Corte territoriale ha, invece, elencato analiticamente i contratti del 2015-2016, sopperendo alla carenza di allegazioni della società e utilizzando in maniera distorta il potere istruttorio d’ufficio e incorrendo nel vizio di ultrapetizione;
4. i motivi di ricorso, che possono trattarsi congiuntamente per la loro stretta connessione, sono in parte manifestamente infondati e in parte inammissibili;
5. preliminarmente, va rilevato che il vizio di ultrapetizione o extrapetizione, di cui all’art. 112 cod.proc.civ., ricorre quando il giudice del merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi obiettivi dell’azione (petitum e causa petendi) e, sostituendo i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), ovvero attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato) (Cass. n. 9002 del 2018; Cass. n. 8048 del 2019); in particolare, il vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato riguarda soltanto l’ambito oggettivo della pronuncia, e non anche le ragioni di diritto e di fatto assunte a sostegno della decisione (Cass. n. 1616 del 2021); nel caso di specie non è configurabile alcun vizio di ultrapetizione avendo, la Corte territoriale, proceduto alla valutazione degli elementi documentali e processuali, necessari per la decisione, valutazione che è pur sempre devoluta al giudice, indipendentemente dalle opinioni espresse in proposito dai contendenti (cfr. sul punto Cass. n. 16608 del 2021);
6. né è configurabile, nel caso di specie, la violazione dell’art. 2697 cod.civ., che è censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 cod.proc.civ., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018; Cass. n. 18092 del 2020), mentre nella sentenza impugnata non è in alcun modo ravvisabile un sovvertimento dell’onere probatorio, interamente gravante su chi intendeva avvalersi dei contratti di somministrazione (Cass. n. 15610 del 2011 con riguardo alla disciplina dettata dal d.lgs. n. 276 del 2003);
7. questa Corte ha più volte affermato che l’acquisizione documentale potrebbe aversi d’ufficio, anche previa sollecitazione di parte, se i documenti risultino indispensabili per la decisione (art. 437 cod.proc.civ.) e cioè necessari per integrare, in definizione di una pista probatoria concretamente emersa, la dimostrazione dell’esistenza o inesistenza di un fatto la cui sussistenza o insussistenza, altrimenti, sarebbe destinata ad essere definita secondo la regola sull’onere della prova, e ciò proprio al fine di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale (da ultimo, Cass. n. 33393 del 2019; Cass. nn. 11845 e 28134 del 2018);
8. nel caso di specie, la Corte territoriale ha illustrato le ragioni in base alle quali era, “in ogni caso”, giustificato l’ingresso tardivo dei contratti di somministrazione relativi al periodo 2015-2016, a fronte “del complessivo contenuto delle allegazioni effettuate a tale proposito dalla società datrice” (lamentata difficoltà di reperimento di tutti i contratti, dimostrata richiesta all’agenzia di somministrazione dell’invio di detti contratti, tempestiva richiesta di esibizione documentale, istanza di prova per testi) avvalorato dalla dimostrata stipulazione dei contratti di lavoro tra la lavoratrice e la società di somministrazione (circostanza che rendeva verosimile l’avvenuta stipulazione per iscritto anche del corrispondente contratto commerciale tra quest’ultima e la società utilizzatrice, pag. 7 della sentenza impugnata);
9. trova, allora, applicazione nella fattispecie il principio secondo cui, qualora la pronuncia impugnata sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rigetto delle doglianze relative ad una di tali ragioni rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr., ex plutirnis, Cass. n. 13956 del 2005; Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 9752 del 2017; da ultimo Cass. n.27094 del 2021);
10. il rigetto dei motivi (dal terzo al quinto) attinenti alla dedotta violazione dell’art. 437 cod.proc.civ., rende, dunque, inammissibili le doglianze concernenti la seconda ratio decidendi illustrata dalla Corte territoriale per fondare la valutazione dei documenti oggetto del residuo giudizio di secondo grado (e consistente nella ritenuta tempestiva produzione, in primo grado, dei contratti di somministrazione relativi al periodo 2015-2016);
11. inammissibile risulta, altresì, la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., che — secondo consolidato orientamento di questa Corte (Cass., Sez. U, n. 11892 del 2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020) – può porsi solo allorché si alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non introdotte dalle parti, mentre nel caso di specie la Corte territoriale ha analiticamente motivato sulla ritenuta produzione tempestiva, ossia sin dal primo grado di giudizio, dei contratti di somministrazione concernenti il periodo 2015-2016, fornendo specifici e numerosi elementi tali da comprovare l’assolvimento dell’onere del convenuto;
11. per le ragioni indicate il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
12. sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal [ d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 ], comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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