CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2018, n. 31153
Lavoro – Contratti di somministrazione – Nullità – Costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato
Rilevato che
La Corte di appello di Brescia con la sentenza n. 172/2016 aveva rigettato l’appello proposto da A.N. diretto all’accertamento della nullità dei contratti di somministrazione intervenuti tra il ricorrente e la Spa C.W. ed alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
La corte territoriale aveva in particolare ritenuto applicabile il termine di decadenza anche alle ipotesi di somministrazione a termine concluse e/o cessate prima dell’entrata in vigore dell’art. 32 I.n. 183/2010, in linea con i precedenti del Giudice di legittimità ed in coerenza con lo spirito della legislazione in questione, diretta a rendere certi i rapporti giuridici e tempestivi i giudizi ad essi relativi.
Aveva poi ritenuto che sebbene il lasso temporale intercorso tra i diversi contratti di somministrazione succedutisi fosse inferiore al termine previsto per la loro impugnazione (60 giorni), ciò non potesse costituire un fatto giuridicamente rilevante ai fini dell’impedimento allo scorrere del termine decadenziale utile per la impugnazione. A ciò faceva conseguire la declaratoria di decadenza per tutti i contratti tranne che per quello intercorso tra il 19 agosto 2013 ed il 1 ottobre 2013, regolarmente impugnato. Con riferimento a questo aveva poi ritenuto legittima la assenza della causale determinativa dell’assunzione, in quanto questa aveva riguardato un soggetto previsti dall’art. 20 co.5 d.lgs n. 276/2003 (soggetti disoccupati, svantaggiati – nel nostro caso privo di istruzione superiore -…) per i quali non era necessaria alcuna specifica causale.
Avverso detta decisione il lavoratore proponeva ricorso affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso la società . Entrambe le parti depositavano successiva memoria.
Considerato che
1) Con il primo motivo è denunciata la violazione degli artt. 3, 1, 41 e 35 Cost. anche in relazione alla direttiva 2000/78/CE (art. 360 n. 3 cpc) con riferimento alla valutazione di legittimità della assunzione a termine in assenza di una causale giustificativa, ed in applicazione del disposto del d.lgs. 2 marzo 2012, n. 2 aggiuntivo dell’art. 20, co. 5 ter, lett. c) del D.Igs n. 276/2003. Quest’ultima disposizione, in attuazione della direttiva comunitaria 2008/104/CE – emanata con l’obiettivo di creare “un quadro armonizzato a livello comunitario per la tutela dei lavoratori tramite agenzia interinale” (23° considerando), tenuto conto che “il lavoro tramite agenzia interinale risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti” (10° considerando) – ha introdotto rilevanti novità nella disciplina della somministrazione di lavoro ed in particolare la possibilità di assumere, pur in assenza delle specifiche ragioni giustificative del termine particolari categorie di lavoratori cosi detti “svantaggiati”, tra le quali i lavoratori sforniti di diploma di scuola media superiore o professionale ( così individuati da successivo decreto Ministeriale).
Il motivo è inammissibile in quanto ripropone lo stesso motivo di gravame senza una specifica critica delle ragioni che sorreggono l’articolata decisione impugnata, avendo la Corte distrettuale correttamente ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale proposta dal ricorrente in considerazione dell’agevolazione, posta a favore di una categoria di lavoratori con maggiori difficoltà a reperire un’occupazione, rappresentata dalla possibilità di omettere la specifica esigenza organizzativa o produttiva nei contratti di somministrazione, ed avendo sottolineato la ratio della disposizione normativa volta a “liberalizzare” le somministrazioni a termine a favore di soggetti più svantaggiati;
La Corte distrettuale ha rinvenuto la ragionevolezza del differente criterio di stipulazione di un contratto di somministrazione con riguardo a lavoratori privi di diploma di scuola media superiore o professionale e la conformità della norma al principio costituzionale di uguaglianza, principio che non impedisce al legislatore di operare distinguo tra diverse categorie di persone bensì vieta di introdurre arbitrarie assimilazioni fra soggetti che si trovino in situazioni diverse o arbitrarie discriminazioni fra soggetti che si trovino in situazioni identiche o affini.
A tal riguardo il ricorrente deduce una disparità di trattamento tra lavoratori con titolo di studio per i quali l’assunzione con contratto di somministrazione richiede una causale e quelli sprovvisti di titolo di studio, invece assumibili anche in assenza di precise ragioni aziendali giustificative .
Il motivo risulta inconferente rispetto alla finalità perseguita dalle richiamate disposizioni chiaramente diretta all’ampliamento delle possibilità di lavoro (sia pur precario) per particolari categorie di lavoratori altrimenti penalizzabili in quanto non in possesso di condizioni che facilitino la loro assunzione. Si tratta invero di lavoratori che non abbiano qualificazioni professionali derivanti da titoli di studio per i quali il mercato del lavoro può risultare meno facilmente accessibile e per i quali il legislatore comunitario prima (Regolamento CE 800/2008) e poi il legislatore italiano in sede di attuazione, ha legato la possibilità di assunzione con somministrazione alla sola condizione personale (svantaggiata) del lavoratore. Alcuna illegittimità è dunque evincibile in siffatta motivazione apposta all’assunzione in quanto coerente con le finalità di promozione sociale e lavorativa dichiarate e comunque conformi con l’art. 1 della Costituzione. Neppure riscontrabile l’ipotesi discriminatoria per l’impossibilità del lavoratore svantaggiato di impugnare la ragione giustificativa dell’assunzione. Val la pena ricordare che la tutela giurisdizionale in materia di assunzioni dettate da esigenze temporanee dell’azienda è diretta a garantire eventuali distonie tra l’assunzione e l’effettiva realtà aziendale e/o abusi nell’effettivo utilizzo dei lavoratori e non può certo riguardare ipotesi nelle quali le ragioni giustificatrici del rapporto di lavoro, perfettamente lecite, si traducano nel corretto utilizzo del lavoratore. Pertanto non è ben chiaro sotto quale profilo opererebbe la lamentata discriminazione tra lavoratore assunto per una lecita ragione legata alle esigenze aziendali e lavoratore assunto in ragione della sua condizione di personale svantaggio come valutata dalla legge.
2) Con il secondo motivo è denunciata la falsa applicazione dell’art.6 I.n. 604/66 come modificato dall’art. 32 I.n. 183/2010 in relazione agli artt. 2966 c.c. e 24 Cost. (ex art. 360 n. 3), per non aver, la corte territoriale, ritenuto che in caso di contratti plurimi succedutisi a distanza inferiore al termine consentito per l’impugnazione, l’impugnativa svolta nei confronti dell’ultimo contratto era da intendersi estesa anche agli altri.
3) Con il terzo motivo è denunciata la falsa applicazione dell’art. 6 l. n. 604/66 come modificato dall’art. 32 I.n. 183/2010 in relazione agli artt. 111 e 14 disp. Prel. c.c. (ex art. 360 n. 3), per aver la corte ritenuto applicabile il termine decadenziale anche ai rapporti costituiti antecedentemente alla nuova disciplina, pur in assenza di disposizione transitorie in tal senso.
I motivi possono essere trattati congiuntamente poiché attinenti entrambi al termine di decadenza ed ai suoi effetti operativi.
Deve preliminarmente richiamarsi quanto statuito da questa Corte con riguardo a tutti i contratti di somministrazione anche se cessati al 31.12.2011. ha infatti chiarito che “l’art. 32, comma 1 bis, della l. n. 183 del 2010, introdotto dal d.l. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla l. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della l. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine, nonché ai contratti a termine in somministrazione, non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. n. 25103 del 2015; Cass. S.U. n. 4913 del 2016; con particolare riguardo all’applicabilità ai contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24.11.2010 cfr. Cass. 2420 del 2016, Cass. n. 7788 del 2017);
Fatta tale premessa, che evidenzia la infondatezza del secondo motivo di censura, deve ritenersi infondato altresì lo specifico profilo inerente la capacità espansiva della impugnazione dell’ultimo contratto intervenuto anche a quelli che lo hanno preceduto, e ciò anche in ipotesi che tra un contratto e l’altro sia decorso un termine inferiore a quello utile per l’impugnazione stragiudiziale.
La singolarità dei contratti e la inesistenza di un unico continuativo rapporto di lavoro (che solo ex post, a seguito dell’eventuale accertamento della illegittimità del termine apposto e della ragione dell’assunzione , potrà determinarsi), evidenzia la necessaria conseguenza che a ciascuno di essi si applichino le regole inerenti la loro impugnabilità. Verrebbe altrimenti anticipata, in modo non giustificato, una eventuale considerazione unitaria del rapporto lavorativo (tutti i contratti intervenuti a prescindere dal lasso temporale che li separa), estranea al fatto storico allegato il cui rilievo giuridico è oggetto della domanda avanzata. Neppure pertinente il richiamo agli atti impeditivi della decadenza (art. 2966 c.c.) in quanto questi devono essere espressamente previsti dalla legge o dal contratto e dunque non sono suscettibili di applicazione estensiva ed analogica che consenta di attribuire efficacia impeditiva ad atti non specificamente individuati, quale sarebbe, nel caso di specie, la circostanza del minor lasso temporale intercorso tra i contratti succedutisi rispetto al termine dei sessanta giorni utile ad impugnare. Il ricorso è infondato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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