CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 dicembre 2021, n. 38299
Tributi – IRAP – Studio di associati – Omesso versamento – Notifica degli atti a mezzo posta elettronica certificata
Rilevato che
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Commissione tributaria regionale del Lazio ha dichiarato inammissibile l’appello interposto dallo Studio Legale F. & associati avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma (n. 238/44/13) avente ad oggetto l’impugnativa di una cartella di pagamento per omesso versamento dell’imposta IRAP per l’anno 2006.
La pronuncia è così motivata: «dalla documentazione presentata dalle parti si evince che il contribuente ha notificato l’appello in via informale via PEC che al momento è esclusa dal processo tributario ai sensi dell’art. 16, comma quarto, del d.P.R. 16/02/2005, n. 68».
2. Ricorre per cassazione il contribuente articolando due motivi; l’intimata Agenzia delle Entrate ha depositato atto di costituzione finalizzato alla partecipazione all’udienza di discussione della causa.
Considerato che
3. Con il primo motivo, si denuncia violazione dell’art. 156, terzo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.: l’avvenuta costituzione dell’Agenzia delle Entrate nel giudizio di appello dimostrava il raggiungimento dello scopo della notificazione eseguita a mezzo PEC, sicché non poteva essere pronunciata declaratoria di nullità dell’atto di appello.
4. Con il secondo motivo – deducendo violazione di plurime norme di legge – si assume che l’uso della PEC nelle forme previste dalla legge 21 gennaio 1994, n. 53, va considerato «in tutto e per tutto equipollente» alla posta raccomandata, atteso che le disposizioni in tema di notificazione diretta da parte degli avvocati escludono la possibilità dell’uso della PEC solo per la giustizia amministrativa e che il processo tributario fa rinvio alle norme sulla notificazione degli atti civili.
5. Le doglianze – da scrutinare unitariamente, siccome avvinte da vincolo di stretta connessione – sono infondate.
5.1. Va qui ribadito – siccome non scalfito dalle argomentazioni del ricorrente – il consolidato indirizzo ermeneutico di questa Corte secondo cui nel processo tributario la notifica degli atti a mezzo posta elettronica certificata è consentita soltanto laddove sia operativa la disciplina del c.d. processo tributario telematico, per essere invece inficiata da giuridica inesistenza (e, come tale, insanabile) la notifica eseguita in difetto dell’operatività di siffatta disciplina (ex plurimis, Cass. 12/09/2016, n. 17941; Cass. 23/11/2016, n. 23904; Cass. 15/02/2017, n. 4066; Cass. 25/05/2017, n. 18321; Cass. 29/10/2018, n. 27425; Cass. 27/03/2019, n. 8560; Cass. 26/06/2020, n. 12739).
A suffragio della esposta conclusione, va osservato che:
– l’art. 1, secondo periodo, della legge n. 53 del 1994, nel testo da ultimo risultante per effetto dell’art. 46, primo comma, lett. a), num. 2), del d.l. 24 giugno 2014, n. 90 (convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114), dispone che, quando ricorrono i requisiti di cui al periodo precedente della stessa norma, fatta eccezione per l’autorizzazione del Consiglio dell’Ordine, «la notificazione degli atti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale può essere eseguita a mezzo di posta elettronica certificata» ;
– dalla citata disposizione si ricava, a contrario ed in ragione della specialità delle disposizioni che regolano il processo tributario dinanzi alle commissioni tributarie provinciali e regionali, che siffatta forma di notifica (come di seguito disciplinata dall’art. 3-bis della legge n. 53 del 1994, inserito dall’art. 16-quater del d.l. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla legge 7 dicembre 2012, n. 221), non è ammessa per la notificazione degli atti in materia tributaria, se non espressamente disciplinata dalle specifiche relative disposizioni;
– l’art. 3-bis, ultimo comma, della legge n. 53 del 1994, introdotto dall’art. 46, secondo comma, del d.l. n. 90 del 2014, stabilisce che sono escluse dalla disciplina dettata dai commi 2 e 3 del suddetto art. 3-bis le notifiche relative al giudizio amministrativo: e tale previsione conferma che le norme tecniche per la notifica mediante posta elettronica certificata dettata per il processo civile non possono trovare applicazione nel processo tributario, inteso quale giudizio d’impugnazione sull’atto amministrativo tributario;
– ai sensi dell’art. 16, primo comma, del d.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, le disposizioni del regolamento per l’utilizzo della posta elettronica certificata «non si applicano all’uso degli strumenti informatici o telematici nel processo tributario»;
– l’art. 16-bis, terzo comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (introdotto dal d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156) sancisce che «le notificazioni tra le parti e i depositi presso la competente Commissione tributaria possono avvenire per via telematica secondo le disposizioni contenute nel decreto del Ministero dell’Economia e Finanze 23 dicembre 2013, n. 163 e dei relativi decreti di attuazione» ;
– l’art. 16 del d.m. 4 agosto 2015 – emanato in attuazione del d.m. 23 dicembre 2013, n. 163 – nel dettare le specifiche tecniche di attuazione del processo tributario telematico, ne ha disposto l’attivazione, in via sperimentale, con decorrenza dal 1° dicembre 2015 innanzi le commissioni tributarie della Toscana e dell’Umbria, mentre nel resto del territorio nazionale l’attivazione è avvenuta, in forza di ulteriore normativa regolamentare, soltanto a partire dal 15 febbraio 2017.
5.2. Nella vicenda in parola, la notificazione dell’atto di appello, eseguita tramite PEC dal difensore del contribuente nell’anno 2014 (epoca in cui il processo tributario telematico non era operativo in alcuna parte d’Italia), risulta avvenuta con una modalità non contemplata dall’ordinamento, difforme da ogni modello legale e, pertanto, da qualificarsi come giuridicamente inesistente e non sanabile per effetto della costituzione della parte appellata.
In difetto di approvazione delle norme tecniche del processo tributario telematico, avente carattere di specialità rispetto al rito civile, non appare poi predicabile l’equivalenza della trasmissione del documento informatico per via telematica alla notificazione per mezzo della posta stabilita dall’art. 48, secondo comma, del d.lgs. 7 marzo 2005, n. 82, in ragione della clausola di salvezza («salvo che la legge disponga altrimenti») prevista da detta norma.
Ed invero, le suddette regole (c.d. specifiche) tecniche dettate dalla normativa secondaria delegata ad integrazione della normativa primaria, valgono a configurare il «tipo legale», cioè a dire lo schema generale dell’atto di notificazione a mezzo PEC, a definire cioè quali siano i presupposti in forza dei quali la PEC possa essere considerata veicolo di trasmissione di atti processuali (in tal senso, cfr. Cass. 23/07/2020, n. 15771).
Da ciò consegue che l’utilizzo della PEC come strumento per la notificazione di un atto processuale in epoca anteriore alla definizione dei menzionati requisiti integra la radicale esorbitanza dell’atto da un (non ancora sussistente) modello legale di riferimento e sostanzia, pertanto, la giuridica inesistenza della notificazione (sulla cui nozione, cfr. Cass., Sez. U, 04/07/2018, n. 17533).
E tanto segna la differenza della fattispecie qui controversa rispetto a quella decisa da questa Corte con la pronuncia delle Sezioni Unite del 18/04/2016, n. 7665, laddove in tal caso si versava in situazione di mera difformità della notifica eseguita a mezzo PEC rispetto al paradigma stabilito dalla normazione secondaria sulle specifiche tecniche (consistente, in particolare, nell’invio dell’atto con “estensione.doc” anziché in “formato.pdf”), vicenda correttamente sussunta sub specie di nullità degli atti, con derivante applicazione del principio della sanatoria per raggiungimento dello scopo.
5.3. L’inesistenza della notificazione effettuata a mezzo PEC trova infine conforto anche nei principi di carattere generale espressi da Cass., Sez. U., 20 luglio 2016, n. 14916, trattandosi, segnatamente, di atto trasmesso da soggetto che non poteva dirsi munito, in base alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti ratione temporis, della possibilità giuridica di compiere detta attività (specificamente, sul punto, Cass. 05/10/2018, n. 24640).
5.4. Rigettato il ricorso, non va pronunciata la condanna del ricorrente soccombente alla refusione delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate vittoriosa.
Alla costituzione in lite dell’Avvocatura dello Stato, con deposito di atto privo di argomentazioni difensive poiché dichiaratamente finalizzato alla «eventuale partecipazione alla discussione orale», non ha fatto seguito lo svolgimento di alcuna attività processuale di deposito di memoria; né assume rilievo al riguardo la circostanza che
– a seguito della modifica dell’art. 380-bis cod. proc. civ., operata dall’art. 1, comma 1 -bis, del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197 – sia stata preclusa la possibilità dell’audizione della parte in adunanza camerale (così Cass. 26/11/2020, n. 26640; Cass. 07/07/2017, n. 16921).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 -bis.
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