CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 febbraio 2022, n. 3411
Rapporto di lavoro – Cessione di azienda – Meccanismi di continuità ex art. 2112 cod.civ – Accordo sindacale
Rilevato che
1. con sentenza n. 781 del 2015, la Corte di Appello di Firenze, in riforma della la pronuncia di primo grado, ha riconosciuto il diritto dell’attuale intimato a percepire dall’INPS, Fondo di tesoreria, la quota di TFR maturata per lo svolgimento dell’attività lavorativa alle dipendenze della T., nel periodo dal 1° settembre 1997 al 12 ottobre 2010, ritenuto cessato il relativo rapporto di lavoro e validamente derogativo dell’art. 2112 cod.civ. l’accordo sindacale sottoscritto, ai sensi dell’art. 47, comma 5, legge n.428 del 1990 (all’esito della cessione della predetta società, in concordato preventivo, a T.P. s.r.l.), con conseguente novazione del rapporto di lavoro dell’assicurato con la società, datrice di lavoro cessionaria, T. P. s.r.l.;
2. la Corte territoriale, chiamata a dirimere la questione in ordine alla corresponsione del TFR – preteso da dipendente di società ceduta in concordato preventivo e poi riassunto dal cessionario sulla base di un accordo sindacale ex art. 47 legge n. 4218 del 1990 – a carico dell’INPS o come ritenuto dall’ente previdenziale a carico del nuovo datore di lavoro al termine del rapporto, secondo i meccanismi di continuità di cui all’art. 2112 cod.civ., riteneva che l’interpretazione del testo originario del predetto art. 47 avesse già escluso rilevanza alla sequenza cronologica fra stipula dell’accordo in deroga e omologazione del concordato preventivo (con cessione dei beni) e tale distinzione non aveva più ragione di esistere alla data di entrata in vigore del d.l. n. 35 del 2005, conv. in legge n. 80 del 2005, che, in luogo della procedura con cessione di beni, ha previsto la diversa fattispecie dell’assunzione dell’attività d’impresa, per cui la fattispecie regolata dall’art. 160 l.f. nuovo testo si sostituisce, mediante l’assunzione di attività, alla cessione di beni e rileva, nella specie, l’avvenuta omologa del concordato con la conseguenza, in definitiva, della sussistenza di tutti i presupposti per il riconoscimento del diritto dei lavoratori a ricevere il TFR dall’INPS;
3. avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso affidato a un motivo, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese C.F., con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria;
Considerato che
4. deducendo violazione dell’art. 47, comma 5°, legge n. 428 del 1990 con riferimento all’art. 2112 cod.civ. e all’art. 1, co. 755 e ss. legge n. 296 del 2006, l’INPS assume l’erronea applicazione delle predette disposizioni, richiamando la corretta lettura data da Cass. n. 7120 del 2002, pur posta dalla Corte territoriale a sostegno dell’accoglimento della domanda, nel senso dell’affermazione del principio dell’irrilevanza della sequenza cronologica fra stipula dall’accordo in deroga e omologazione del concordato preventivo ma rimarcando che conclusione dell’accordo sindacale e dichiarazione dello stato di crisi, omologazione di concordato o altri eventi richiesti dalla norma, concretano due condizioni che devono congiuntamente sussistere al momento in cui diviene operativo il trasferimento dal cedente al cessionario ancorché non necessario che la seconda preceda la prima, sicché al momento di efficacia del trasferimento devono, necessariamente sussistere sia l’accordo sia uno degli eventi previsti, al fine di escludere l’operatività dell’art. 2112 cod.civ.;
5. nella specie, continua l’INPS, sia la stipula del contratto di affitto di azienda (11 ottobre 2010), sia l’efficacia dello stesso(13 ottobre 2010) si sono realizzati prima della dichiarazione dello stato di crisi (2 novembre 2010) e della omologazione del concordato preventivo (20 ottobre 2011), e anche alla stregua dell’art. 47, comma-te, legge n. 428 del 1990, è necessario che il trasferimento di azienda operi dopo che vi sia stata l’apertura o l’omologa della procedura di concordato preventivo, per cui l’inidoneità dell’accordo sindacale a derogare al disposto dell’art. 2112 cod.civ. comporta la prosecuzione del rapporto di lavoro senza soluzione di continuità con la società cessionaria, con l’ulteriore corollario per cui non essendo mai cessato il rapporto di lavoro lo stesso assicurato non aveva ancora conseguito il diritto a percepire il tfr che presuppone detta cessazione;
6. il ricorso è da accogliere;
7. la questione oggetto del presente giudizio concerne la possibilità che nell’ambito di un trasferimento d’azienda si stipulino accordi sindacali idonei a derogare al principio di cui all’art. 2112, comma 1°, cod.civ., secondo il quale il trasferimento dell’azienda non produce alcuna soluzione di continuità nel rapporto di lavoro, che continua con il cessionario alle medesime condizioni per le quali era stato stipulato dal cedente: come già ricordato nello storico di lite, i giudici di merito hanno infatti accertato che l’azienda presso la quale presta servizio l’odierna lavoratrice è stata oggetto di un contratto di affitto (e di successiva cessione) da T. s.r.l. a Toscana P. s.r.l.;
8. va poi ricordato che l’art. 47, l. n. 428/1990, nella formulazione vigente al tempo dei fatti per cui è causa, prevedeva, al comma 4-bis, che «nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende: a) delle quali sia stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lettera c), della legge 12 agosto 1977, n. 675; b) per le quali sia stata disposta l’amministrazione straordinaria, ai sensi del decreto legislativo 8 luglio 1999, n. 270, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell’attività», e disponeva, al successivo comma 5, che «qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore», aggiungendo infine che «il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante»)
9. la fattispecie che qui occupa, in cui pacificamente s’è avuta continuazione dell’attività aziendale, rientri nell’ambito dell’art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/1990: il successivo comma 5 disciplina, infatti, i casi in cui «la continuazione dell’attività [aziendale] non sia stata disposta o sia cessata» e, ciò nonostante, nell’ambito di una procedura concorsuale finalizzata alla liquidazione dell’azienda, si raggiunga un accordo con un’impresa acquirente che preveda «il mantenimento anche parziale dell’occupazione», ossia l’assunzione di lavoratori già occupati dall’impresa cessata e in fase di liquidazione concorsuale;
10. ebbene, deve radicalmente escludersi che un accordo sindacale stipulato in concomitanza con un trasferimento d’azienda possa in alcun modo derogare al principio posto dall’art. 2112, comma 1°, c.c. e ciò a prescindere dal fatto che l’azienda oggetto di trasferimento sia di proprietà di un’impresa che versi in situazione di “crisi aziendale” ex art. 2, comma 5°, lett. c), l. n. 675/1977, oppure si trovi sottoposta ad “amministrazione straordinaria”, ai sensi del d.lgs. n. 270/1999;
11. nell’interpretare il combinato disposto delle norme contenute nell’art. 47, commi 4-bis e 5, l. n. 428/1990, questa Corte, con le sentenze nn. 10414 e 10415 del 2020, ha infatti chiarito che, in simmetria con le deroghe consentite rispettivamente dal paragrafo 2 e dal paragrafo 1 dell’art. 5 della Direttiva 2001/23/CE, il comma 4-bis appare destinato alle procedure non finalizzate alla liquidazione dell’azienda, laddove il successivo comma 5 presuppone la cessazione dell’attività d’impresa o comunque la sua non continuazione; e proprio tale diversità di ipotesi non consente di attribuire all’inciso che pure è contenuto in entrambi i commi in successione (e relativo al caso in cui sia stato raggiunto «un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione») il medesimo significato normativo: altrimenti non si registrerebbe alcuna differenza tra l’ipotesi prevista dal comma 4-bis e quella del comma 5, in contrasto con la ratio della Direttiva e soprattutto con la finalità per la quale è stato introdotto il comma 4-bis da parte dell’art. 19-quater, d.l. n. 135/2009 (conv. con l. n. 166/2009), ossia di dare esecuzione alla sentenza di condanna emessa da CGUE, 11.6.2009 (C-561/07), che aveva reputato la sussistenza di un contrasto della precedente normativa nazionale con la Direttiva cit.;
12. nella sentenza ult. cit., infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiaramente distinto, agli effetti dell’interpretazione delle deroghe alle garanzie previste dagli artt. 3 e 4 della Direttiva, «la situazione dell’impresa di cui sia stato accertato lo stato di crisi», il cui procedimento mira a favorire la prosecuzione dell’attività dell’impresa nella prospettiva di una futura ripresa, rispetto alla situazione di imprese nei cui confronti siano in atto procedure concorsuali liquidatone, rispetto alle quali la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata. E ha chiarito che, per la prima categoria di imprese, il diritto dell’Unione autorizza bensì gli Stati membri a prevedere che possano essere modificate «le condizioni di lavoro dei lavoratori intese a salvaguardare le opportunità occupazionali garantendo la sopravvivenza dell’impresa», ma senza tuttavia «privare i lavoratori dei diritti loro garantiti dagli artt. 3 e 4 della direttiva 2001/23»;
13. proprio per ciò deve escludersi che l’inciso “anche parziale” contenuto nell’art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/1990, possa abilitare l’accordo sindacale ivi contemplato a disporre in senso limitativo del trasferimento dei lavoratori dell’impresa cedente a quella cessionaria: l’obbligo di interpretazione conforme rispetto al diritto dell’Unione induce piuttosto a ritenere che esso possa disporre solo modifiche (anche in peius) all’assetto economico-normativo in precedenza acquisito dai singoli lavoratori, ma non anche derogare al passaggio automatico dei lavoratori all’impresa cessionaria (così Cass. nn. 10414 e 10415 del 2020, cit., in motivazione);
14. va soggiunto che le anzidette conclusioni, che escludono che il rapporto di lavoro all’esame abbia patito soluzioni di continuità tali da determinare l’insorgere del diritto al TFR, non mutano per il fatto che all’accordo stipulato ai sensi dell’art. 47, comma 4-bis, l. n. 428/1990, abbiano fatto seguito le dimissioni da T. s.r.l. e la successiva riassunzione alle dipendenze di Toscana P. s.r.l.: operando ex lege il trasferimento del rapporto di lavoro in presenza di trasferimento d’azienda, si tratta di negozi chiaramente nulli per difetto di causa;
15. ed è appena il caso di soggiungere che contrari argomenti non possono desumersi da Cass. n. 12573 del 2006, che ha affermato che l’art. 47, l. n. 428/1990, non precluderebbe la stipulazione di accordi sindacali di natura transattiva che rechino una deroga convenzionale alla continuità di lavoro, in funzione della preminenza dell’esigenza di salvaguardia del posto di lavoro sull’interesse alla continuità dei singoli rapporti di lavoro, trattandosi di principio di diritto che risulta affermato in riferimento al testo dell’art. 47 previgente alla modifica introdotta dall’art. 19-quater, d.l. n. 135/2009, cit., per adeguare la normativa nazionale al diritto dell’Unione, e ormai certamente estraneo all’ipotesi, che qui occorre, del trasferimento d’azienda;
16. in conclusione, la sentenza impugnata, che non si è conformata ai predetti principi, va cassata e, per non essere necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa va decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda;
17. novità e complessità della vicenda consigliano la compensazione delle spese dell’intero giudizio;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originaria domanda; spese compensate dell’intero giudizio.
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