CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 28
Lavoro sommerso – Mancato versamento dei contributi – Accertamento ispettivo – Tardività della contestazione
Ritenuto che
la Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza n.567/2013, rigettava l’appello proposto dalla S. Srl avverso la sentenza che aveva respinto la sua opposizione contro il verbale di accertamento del 10 settembre 2004 con cui l’Inps aveva accertato il mancato versamento di contributi per € 24.430 per il lavoratore G.P. da considerarsi lavoratore subordinato assunto in nero, facendo seguito ad un verbale della Direzione Provinciale del Lavoro di Chieti del 22 gennaio 2004; a fondamento della sentenza, per quanto ancora rileva, la Corte d’Appello sosteneva che il motivo relativo alla tardività della notifica della contestazione rispetto alla data di accertamento fosse infondato; perché non si poteva tener conto quale dies a quo della data del verbale di accertamento che non coincide con la conclusione dello stesso accertamento visto che può protrarsi nel tempo, come era avvenuto nel caso di specie in cui con nota del 19 novembre 2003 erano stati richiesti chiarimenti al B. circa l’assunzione di G.P., che questi peraltro non aveva inviato; quanto al merito, la contestazione circa la mancata assunzione nel periodo 2001/2002 dello stesso P.G. era supportata dalle dichiarazioni di alcuni clienti della S. Srl, rese agli ispettori nella immediatezza del fatto, i quali avevano tutti confermato la circostanza che nel periodo in oggetto tutte le volte in cui si erano recati presso lo sfascio del B. W. per acquistare pezzi di ricambio vi avevano trovato il Pescara, in abiti di lavoro, con le mani sporche di grasso, intento regolarmente a smontare pezzi delle auto da rottamare ed a servire i clienti;
contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la S. srl con tre motivi, nei quali deduce: 1) la violazione e/o erronea applicazione dell’art. 14 legge 689/81, nonché di ogni altra norma e principio in termini di notificazione della violazione ex articolo 360 n. tre c.p.c. avendo la Corte errato ad escludere la tardività della contestazione rispetto alla data dell’accertamento atteso che nella fattispecie l’accertamento ispettivo era stato effettuato nel maggio-giugno 2003 allorché l’amministrazione già aveva acquisito la disponibilità di tutti gli elementi per la contestazione del presunto illecito, mentre la notificazione degli estremi della violazione era avvenuta il 12 febbraio 2004; né poteva tenersi conto della richiesta di chiarimenti effettuata nel novembre 2003 ben oltre il termine di 90 giorni dall’inizio dell’attività di indagine; posto che appunto l’istruttoria amministrativa concernente il presunto illecito doveva essere completata entro 90 giorni dall’inizio dell’attività di indagine, altrimenti l’amministrazione poteva protrarre sine die il procedimento di accertamento; talché il termine massimo entro il quale vanno notificati gli estremi del presunto illecito era quello di 180 giorni (90 + 90 giorni) dalla data del primo atto di indagine o istruttorio da cui erano emersi dati o elementi che facevano ritenere sussistente l’illecito stesso; inoltre andava considerato che la nota 19 novembre 2003 della Direzione provinciale del lavoro con cui erano stati richiesti chiarimenti al B. circa l’assunzione di G.P. non poteva essere considerato un atto istruttorio né un atto di indagine perché consisteva in una richiesta di chiarimenti; 2) omessa motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. in quanto la Corte di merito non aveva indicato le ragioni per le quali la nota del 19/11/2003 dovrebbe costituire un atto istruttorio e di indagine idoneo a protrarre la conclusione del procedimento amministrativo; 3) violazione e/o erronea applicazione degli articoli 116 e 115 c.p.c., 2727, 2729 2697 c.c. nonché di ogni altra norma e principio in tema: a) di regole ovvero criteri di valutazione delle prove tipiche e di quelle atipiche ovvero indiziarie e presuntive; b) di correlazione tra le une alle altre e di prevalenza delle une sulle altre (art. 360 nn. 3 e 4 c.p.c.) in quanto le risultanze delle prove testimoniali acquisite in giudizio erano univoche e concludenti nel senso dell’insussistenza del rapporto di lavoro subordinato oggetto della contestazione; mentre gli elementi indiziari costituiti dalle dichiarazione di terzi rese agli ispettori non erano stati suffragati né riscontrati da altre risultanze istruttorie e/o processuali; talché era stata pure violata la regola probatoria secondo cui una prova tipica prevale su quelle atipiche; l’Inps ha resistito con controricorso;
Considerato che
il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminare unitariamente per connessione, sono infondati, atteso che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, deve affermarsi che in materia di contestazione di illeciti rilevanti a fini contributivi, per omesso pagamento di quanto dovuto allo stesso titolo agli istituti previdenziali, non rilevi il rispetto dei principi dettati dalla legge 689/1981 in materia di sanzioni amministrative; questa Corte ha avuto modo di dettare tale principio in relazione al procedimento di riscossione a mezzo ruolo (con sentenza n. 3269 del 2009 e con l’ordinanza n. 4225 del 2018 nelle quali è stato affermato che “nel procedimento di riscossione a mezzo ruolo dei contributi previdenziali, come regolato dagli artt. 24 e ss. del d.lgs. n. 46 del 1999, in difetto di espresse previsioni normative che condizionino la validità della riscossione ad atti prodromici, a differenza di quanto avviene in materia di applicazione di sanzioni amministrative, in forza di quanto previsto, segnatamente, dall’art. 14 della I. n. 689 del 1981, la notifica al debitore di un avviso di accertamento non costituisce atto presupposto necessario del procedimento, la cui omissione invalidi il successivo atto di riscossione, ben potendo l’iscrizione a ruolo avvenire pur in assenza di un atto di accertamento da parte dell’istituto”); ma lo stesso canone vale, in base alla premessa generale posta In esordio, anche In relazione al verbale di accertamento ispettivo opposto in un giudizio in relazione ai profili contributivi;
il terzo motivo è invece inammissibile posto che attiene al merito ed alla valutazione delle prove, mentre non risulta denunciato ritualmente alcun vizio di motivazione ovvero, dopo la novella nel testo del n. 5 dell’art. 360 (operata con l’art. 54, co. 1, lett. b), d.l. n. 83 del 2012, conv. con modificazioni in I. n. 134 del 2012), l’omessa valutazione di un fatto risultante dalla sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e che abbia carattere decisivo, tale per cui se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze istruttorie; le censure sollevate in ricorso a tale proposito tendano invece ad operare una contrapposizione non consentita di un diverso convincimento soggettivo della parte rispetto alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice; in particolare prospettando un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti; mentre tali aspetti del giudizio, interni alla discrezionalità valutativa degli elementi di prova e all’apprezzamento dei fatti, riguardano il libero convincimento del giudice e non i possibili vizi del suo percorso formativo rilevanti ai fini in oggetto; essendo altresì noto che la valutazione delle risultanze delle prove e la scelta, tra le varie, delle risultanze probatorie ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, libero di attingere il proprio convincimento dalle prove che gli paiano più attendibili, senza nemmeno alcun obbligo di esplicita confutazione degli elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 7 gennaio 2009, n. 42; Cass. 5 ottobre 2006, n. 21412);
le considerazioni svolte impongono dunque di rigettare il ricorso e di condannare il ricorrente alla rifusione delle spese processuali; sussistono altresì i presupposti per il pagamento dell’ulteriore somma dovuta a titolo di raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in complessivi € 4200 di cui € 4000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del Dpr 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma Ibis dello stesso art. 13.
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