CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 41
Accertamento – Cartella di pagamento – Compensi di riscossione – Aggio
Rilevato
che la contribuente era destinataria di cartella di pagamento per una somma cospicua, derivante da sentenza che aveva riconosciuto la legittimità del presupposto accertamento relativo all’anno di imposta 1998;
che la contribuente reagiva spiccando ricorso, non apprezzato dal giudice di prossimità, circa la mancata compensazione di controcrediti vantati verso il fisco, contestando la debenza dell’aggio anche se il versamento avviene spontaneamente entro i sessanta giorni dalla notifica della cartella, quindi in caso di sostanziale inattività del concessionario, e sollevando subordinata illegittimità costituzionale;
che quindi la contribuente interponeva appello, specificando che nelle more aveva ricevuto il rimborso della somma opposta in compensazione, di talché l’oggetto del decidere si concentrava sulla debenza dell’aggio;
che il giudice di secondo grado rigettava l’impugnazione, donde la contribuente ricorre per cassazione affidandosi a due motivi di ricorso;
che resiste con puntuale controricorso la concessionaria, mentre è rimasta intimata l’Agenzia delle entrate che aveva già ribadito la propria carenza di legittimazione passiva, in ragione del mutato petitum;
che in prossimità dell’udienza la ricorrente e la concessionaria hanno depositato memoria.
Considerato
che con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 17 d.lgs. 112/1999, come vigente tra l’ottobre 2006 ed il 31 dicembre 2008 in parametro all’art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. con riferimento al profilo afferente alle somme recate dalla cartella di pagamento dedotta in giudizio a titolo di compensi di riscossione;
che, nello specifico, si lamenta aver i giudici di merito applicato la norma consentendo il cospicuo aggio di € 766.394,12 pur avendo la contribuente versato l’intimata somma di oltre €. 17 milioni entro i sessanta giorni dalla notifica della cartella e, in concreto, senza attività effettiva del concessionario da remunerare;
che, ancora, si lamenta aver i giudici di primo grado richiamato la norma senza nulla dire in ordine alla sua portata, mentre i giudici di secondo grado ne hanno giustificato il mero richiamo e non hanno ritenuto di adottare un’interpretazione evolutiva che affranchi dalla conseguenza sostanzialmente afflittiva di un simile aggio, a fronte di nessuna colpa da parte del contribuente;
che sul punto è intervenuta questa Corte, affermando che «va fatta una premessa di carattere preliminare. Come osservato da autorevole dottrina, benché la situazione del contribuente sia per certi aspetti affine a quella di qualsiasi debitore di una somma di danaro, il pagamento dei tributi non è affatto improntato alla informalità di solito esistente nei rapporti tra privati. L’amministrazione finanziaria è organizzata burocraticamente, deve gestire milioni di operazioni, ed in questo contesto anche vicende molto semplici se considerate individualmente, quali incassare un assegno o emettere una ricevuta, pongono grandi problemi organizzativi se effettuate su larga scala. L’organizzazione della riscossione richiede pertanto dei costi da sopportare ed il problema di stabilire da chi debbano essere sopportati. Donde la necessità di una disciplina relativa alla riscossione» (cfr. Cass. 4861/2010);
che tale principio è stato recentemente affinato da questa Corte, ricordando come l’aggio abbia natura retributiva e non fiscale, donde non sconta il parametro all’art. 53 della Carta, né può essere considerato di natura sanzionatoria e accessoria al tributo (cfr. Cass. n. 5154/2017, n. 3524/2018);
che, non è in discussione come il testo della norma di riferimento, vigente ratione temporis, ponesse a carico del contribuente larga parte dell’aggio sulla somma iscritta a ruolo, a prescindere dalla tempestività della riscossione e in disparte le maggiori spese in caso di azioni esecutive;
che pertanto i giudici di merito si sono attenuti all’esegesi del testo, nel suo significato letterale e nel senso indicato dalla stessa relazione illustrativa della novella, riportata a pag. 19 del controricorso per cassazione;
che, quindi, il motivo è inammissibile ove si sostanzia in una critica alla scelta legislativa ed infondato ove lamenta una applicazione della norma aderente al testo, seppur non costituzionalmente orientata nel senso auspicato dal contribuente;
che con il secondo motivo si prospetta la medesima doglianza, sotto forma di eccezione di costituzionalità in parametro agli articoli 53 e 97 della Carta;
che l’eccezione è già stata ritenuta manifestamente infondata dai giudici di merito, né – oltre la critica ai capi di sentenza – viene offerto qui dal ricorrente argomento convincente per mutare orientamento, atteso che una parte dell’aggio (più o meno ampia) viene posta comunque a carico del contribuente (l’altra rimanendo a carico dell’erario) in ragione delle remuneratività del servizio e a compensazione delle esecuzioni infruttuose e che tale criterio è conforme anche ai principi di buon andamento espressi nell’art. 97 della Carta;
che, altresì, non si prospetta questione di legittimità costituzionale neppure riguardo ad interposizione CEDU, poiché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha predicato la materia fiscale come afferente al “nocciolo duro” delle prerogative e delle potestà pubbliche, manifestazione dell’individualità e della sovranità dello Stato (cfr. Cass. S.U. n. 16159/2018 e riferimenti Corte EDU ivi richiamati);
che pertanto il ricorso è infondato e va rigettato, le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese a favore di Equitalia che liquida in € undicimila, oltre a € duecento per esborsi, nonché al rimborso forfettario nella misura del 15% ed accessori di legge.
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