CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 44
Tributi – Irpef e addizionale regionale – Istanza di rimborso
Fatti di causa
1. La Commissione tributaria regionale per la Puglia in Bari, in riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato illegittimo il diniego di rimborso n. prot. 2008104612 notificato a E.E.P.C. in riferimento a Irpef e addizionale regionale relative all’anno di imposta 1998.
2. Ha rilevato il giudice di appello che l’Ufficio aveva erroneamente rifiutato il rimborso atteso che non vi era alcuna necessità di presentare una dichiarazione integrativa e che non vi era tampoco necessità di documentare l’asserito versamento in eccedenza, trattandosi di compensi forfettari, come tali da qualificarsi come costi necessari alla produzione del reddito.
3. Per la cassazione della citata sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre con due motivi; E.E.P.C. resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 38, commi 1 e 2 del DPR 602/73 in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 4)» deducendo che erroneamente la sentenza avrebbe ritenuto tempestiva l’istanza di rimborso relativamente alla parte di imposta versata dal sostituto, allorquando essa era all’evidenza tardiva, essendo stata presentata solo in data 30 dicembre 2002 mentre il termine decadenziale diciotto mesi era scaduto in data 30 giugno 2000.
b. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 del DPR 600/73 in combinato disposto con l’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3)» deducendo l’erroneità della sentenza laddove avrebbe ritenuto non necessaria la prova dell’effettivo sostenimento dei costi per l’attività espletata come effetto della loro forfettizzazione, allorquando tale requisito sarebbe comunque indispensabile al fine di legittimare l’istanza di rimborso.
2. Il controricorrente chiede accertarsi l’infondatezza del ricorso.
3. Il ricorso va respinto.
4. Il primo motivo è inammissibile. In primo luogo, esso lamenta una violazione di legge, ma invoca come parametro di riferimento l’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc., civ. che riguarda la diversa ipotesi di nullità della sentenza, senza spiegare a quali dei due diversi parametri intenda fare effettivo riferimento. In ogni caso la censura è inammissibile anche perché, come questa Corte ha già affermato (Sez. 6-5, Ordinanza n. 25014 del 06/12/2016) e va qui ribadito, la decadenza del contribuente dal diritto al rimborso per non aver presentato la relativa istanza entro il termine – previsto dall’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 – di diciotto mesi dal versamento dell’imposta indebitamente corrisposta (nella specie IRAP), ancorché rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, non può essere eccepita per la prima volta in Cassazione, qualora dalla sentenza impugnata non risulti la data del versamento, né quella di presentazione dell’istanza per il relativo rimborso, non essendo consentita, in sede di legittimità, la proposizione di nuove questioni di diritto che presuppongano o comunque richiedano nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, né essendo possibile ipotizzare un “error in procedendo” del giudice di merito – consistente nel mancato esame del documento – poiché la stessa rilevabilità d’ufficio della decadenza va coordinata con il principio della domanda, che non può fondarsi, per la prima volta in quella sede, su un fatto mai dedotto in precedenza, implicante un diverso tema di indagine e di decisione.
La censura in esame ricade in tale ipotesi di inammissibilità, in quanto esordisce dando per “implicitamente” respinta dal giudice di appello la questione della decadenza, senza tuttavia spiegare alla Corte quando e dove nel corso del giudizio sarebbe stata introdotta la relativa questione, come sarebbe stato necessario ai fini della completezza della censura ai sensi degli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.
5. Il secondo motivo è infondato. La stessa Agenzia ricorrente riconosce che ai professionisti è consentito conglobare nell’onorario anche le spese necessarie per l’espletamento dell’incarico, entro i limiti previsti dall’art. 13 della legge n. 143 del 1949 (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27331 del 21/12/2006).
Con tale premessa è evidente che non vi è alcun onere per il contribuente di documentare ai fini fiscali l’effettività della spesa e la sua natura autonoma di “costo”. L’Erario, in presenza di un’istanza di rimborso motivata con l’erroneità della determinazione dell’imposta per aver conglobato nell’imponibile anche i costi forfettizzati, è onerato di dimostrare l’insussistenza del diritto alla forfettizzazione, e non può limitarsi a negare il rimborso sulla base della pretesa mancata dimostrazione della natura delle spese, allorquando la legge sui professionisti espressamente consente la loro forfettizzazione e nel caso di specie il sostituto di imposta aveva pacificamente dimostrato l’avvenuto pagamento del relativo emolumento assoggettato a tassazione. Va per completezza rilevato che la giurisprudenza di questa Corte citata nel ricorso non appare pertinente, posto che essa attiene alla determinazione del reddito di impresa, mentre qui si discute di reddito di professionista autonomo, sicché le modalità di contabilizzazione e di tenuta delle scritture contabili sono all’evidenza estranee alla presente controversia.
6. La soccombenza regola le spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del controricorrente E.E.P.C. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.
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