CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2019, n. 60
Tributi – Imposta di successione – Valore degli immobili facenti parte dell’asse – Criteri di calcolo
1. Ritenuto che
a) La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale l’Agenzia delle entrate rideterminava il valore globale netto dell’asse ereditario nella successione della sig.ra B.G.A., unitamente al sig. R.F., alla figlia G.R., sorella del coerede F.. In particolare l’Ufficio rettificava – sulla base dei “prezzi degli immobili rilevati presso la Borsa Immobiliare dell’Umbria per il 4^ trimestre 2008” – il valore degli immobili facenti parte dell’asse, ritenuto che non potesse essere applicata la valutazione sulla base della rendita catastale, come preteso dal contribuente R. F., per errata applicazione da parte di quest’ultimo dei coefficienti di moltiplicazione.
b) Il ricorso del R. era accolto in primo grado, ritenendo il giudice applicabile nella fattispecie la valutazione automatica degli immobili prevista dall’art. 34, d.lgs. n. 346 del 1990. L’appello dell’Ufficio era accolto, con la sentenza in epigrafe, in quanto il contribuente nella propria dichiarazione aveva applicato coefficienti di moltiplicazione diversi, e più bassi, di quelli al tempo normativamente previsti per la valutazione automatica.
c) Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione con quattro motivi.
2. Ritenuto che L’Agenzia delle entrate non ha notificato controricorso ma ha depositato un atto di costituzione ai fini della eventuale partecipazione all’udienza di discussione;
3. Preso atto che il P.G. non ha depositato conclusioni scritte e che le parti non hanno prodotto memorie;
4. Considerato che
con il primo motivo di ricorso il contribuente denuncia la violazione degli artt. 33, comma 2, e 34, comma 5, d.lgs. n. 346 del 1990, nonché degli artt. 1324, 1427, 1428, 1429 e 1431 cod. civ., in quanto il giudice d’appello non avrebbe considerato il dovere dell’Ufficio, imposto dal richiamato art. 33, comma 2, del decreto sull’imposta di successione, di procedere alla correzione degli “errori materiali e di calcolo” commessi dal contribuente nella dichiarazione: a sostegno della ricordata censura il ricorrente richiama quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 14088 del 2004, secondo la quale «La dichiarazione di successione, come ogni dichiarazione fiscale, può essere ritrattata e modificata, anche dopo la scadenza del termine fissato nell’art. 31 del D.Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni) – la cui mancata osservanza potrà comportare solo l’applicazione delle sanzioni di cui agli artt. 50 e seguenti -, purché prima della notificazione dell’avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta. In tale arco temporale è, fra l’altro, consentito al contribuente correggere la dichiarazione stessa, per adeguarla ai criteri legali di valutazione c.d. automatica (art. 34, commi quinto e seguenti, del citato D.Lgs.), e l’Ufficio non potrà ignorare la correzione, apportata uniformandosi ai parametri legali, perché così finirebbe per assoggettare il dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, per legge, devono restare a suo carico».
4.1. Il motivo non è fondato. Nella fattispecie, da un lato, non ci si trova di fronte ad “errori materiali o di calcolo” commessi dal contribuente nel redigere la dichiarazione, bensì all’utilizzo da parte di quest’ultimo di parametri diversi da quelli previsti dalla legge per la valutazione automatica; dall’altro non risulta – e in verità nemmeno sembra sostenuto nel ricorso che tanto sia avvenuto – la presentazione da parte del contribuente, prima della notifica dell’avviso di liquidazione pur eseguita, di una dichiarazione emendativa di quella originaria che adeguasse i parametri in concreto utilizzati a quelli che secondo legge avrebbero dovuto essere utilizzati.
5. Considerato che dei restanti tre motivi di ricorso assume valore assorbente il quarto, con il quale il contribuente denuncia la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per aver il giudice d’appello esaminato una sola (quella esaminata nel Primo motivo di ricorso) delle doglianze a lui sottoposte dal contribuente medesimo: si tratta delle doglianze alle quali fanno riferimento il secondo e il terzo motivo di ricorso, che riguardano l’impugnazione proposta dal contribuente in ordine alla mancata indicazione dei criteri per la rettifica dei valori attribuiti alle unità immobiliari, risolvendosi tale rettifica esclusivamente nell’insufficiente richiamo ai valori OMI, nonché in ordine all’arbitraria (e comunque non motivata) valutazione unitaria per gruppi di immobili di differenti caratteristiche.
5.1. Il motivo è fondato. Il giudice d’appello ha discusso ed esaminato la sola questione relativa alla errata applicazione da parte del contribuente dei parametri per il calcolo della valutazione automatica delle unità immobiliari, nonostante le censure mosse dal contribuente non si esaurissero in tale questione, ma proponessero anche critiche alla attribuzione del valore commerciale non adeguatamente motivata nella specificazione dei criteri utilizzati dall’Ufficio (come indicato ai motivi secondo e terzo del ricorso per cassazione). E ciò senza considerare che la soluzione della prima questione nel senso assunto nella sentenza impugnata, non poteva essere considerata assorbente rispetto alle altre.
6. Considerato che il ricorso deve essere, pertanto, accolto quanto al quarto motivo, assorbiti i motivi secondo e terzo, e rigettato il primo. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice d’appello, che deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il quarto motivo di ricorso, assorbiti il secondo e terzo e rigettato il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione Tributaria Regionale dell’Umbria, in diversa composizione.
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