CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 giugno 2021, n. 15432
TIA1 e TIA2 – IVA applicata sulla cd. TIA1 – Illegittimità – Natura tributaria della tariffa – Rimborso – IVA applicata sulla cd. TIA2 – Legittimità
Considerato che
P.C. e altri convenivano in giudizio la I.A. s.p.a. per ottenere la restituzione delle somme versate a titolo di IVA sulla tariffa di igiene ambientale, del Comune di Parma, di cui all’art. 49 del d.lgs. 5 febbraio 1997 n. 22, c.d. TIA1, e sulla tariffa integrata ambientale, dello stesso Comune, di cui all’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006 n. 152, c.d. TIA2, da considerare non corrispettivi di servizi ma tributi e come tali non assoggettabili alla suddetta imposta indiretta;
il Giudice di pace accoglieva la domanda con pronuncia parzialmente riformata dal Tribunale che, per quanto qui rileva: in primo luogo, disattendeva l’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall’appellante osservando che nel progetto di scissione parziale di I.E. s.p.a., a favore di I.A. s.p.a., allegato all’atto di scissione parziale del 2014, si leggeva del trasferimento non solo dei crediti e debiti già iscritti a bilancio ma anche dei rapporti contrattuali sorti entro il 2009, quali quelli oggetto di giudizio; in secondo luogo, affermava la natura tributaria di entrambe le tariffe, la prima, pacificamente applicata dal Comune dal 2000 fino al 2009, in quanto confermata anche dalla giurisprudenza costituzionale, la seconda perché, a prescindere dalla differenza nominalistica, in realtà portatrice delle medesime caratteristiche strutturali;
avverso questa decisione ricorre per cassazione la I.A. s.p.a. formulando tre motivi;
Ritenuto che
con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2504, 2504 bis, 2501 ter, 2506 bis, cod. civ., poiché il Tribunale avrebbe errato mancando di considerare che:
– I.E. s.p.a. non era subentrata ai rapporti facenti originariamente capo a E. s.p.a. (e ancora prima ad A. s.p.a.) poiché successivamente al progetto di fusione la stessa non era avvenuta per non essere stata deliberata dalle rispettive società: era stato documentato che, con effetti dal 2010, E. s.p.a. era stata incorporata per fusione da I. s.p.a., poi denominata I. s.p.a., cui erano stati devoluti tutti i rapporti giuridici interessati, sicché quest’ultima, soggetto distinto da I.E. s.p.a., poi I. s.p.a., era la sola legittimata passivamente, come confermato dal fatto che della fusione coinvolgente I.E. non vi era traccia nei gradi di merito, tanto da poter essere considerata circostanza non contestata, con l’ulteriore conseguenza che, escluso il trasferimento dei rapporti ad I.E. s.p.a., cadeva quello, affermato dal Tribunale, da quest’ultima a I.A. s.p.a. a séguito della scissione parziale del 2014;
– inoltre, quanto agli anni successivi al 2009, il conferimento del ramo di azienda a S. s.p.a., poi denominata I.E. s.p.a. con atto del 2010, aveva riguardato solo il futuro, mentre la scissione parziale del 2014, con conferimento del ramo aziendale “rifiuti” a I.A. s.p.a., non aveva condotto ad alcuna imputazione dei debiti in parola, riferiti a tutto il 2012 e dunque a periodo precedente agli effetti della scissione stessa fissati al 31 dicembre 2013, non facendosi menzione, nell’allegato all’atto, allo specifico punto 9), a rapporti passivi “IVA su TIA”;
con il secondo motivo (suddiviso nei paragrafi da 2.2. a 2.3.2.), si prospetta complessivamente la violazione e falsa applicazione degli artt. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, 5 comma 2 quater, del d.l. n. 208 del 2008, quale convertito, 6, legge n. 133 del 1999, nonché del d.m. n. 370 del 2000, poiché il Tribunale avrebbe errato in quanto, pur nella consapevolezza che il Comune di Parma aveva adottato nel 2010 la c.d. TIA 2, non ne aveva tratto le conseguenze in termini di differenziazione con la c.d. TIA 1, trattandosi, in questo secondo caso certamente, del corrispettivo di un servizio, come, al contempo, avrebbe in ogni modo dovuto considerarsi anche la TIA 1 in quanto controprestazione di un servizio;
con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14, comma 33, del d.l. n. 78 del 2010, quale convertito, e dell’art. 113, cod. proc. civ., poiché il Tribunale avrebbe errato giudicando senza tenere nel conto l’interpretazione autentica che dal legislatore, nel senso escludente la natura tributaria, era stata data alla TIA 2;
Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.;
Rilevato che
il primo motivo è inammissibile;
la questione della mancata attuazione della fusione societaria evocata, a causa del difetto delle delibere societarie susseguenti il correlativo progetto, non si dimostra in ricorso, come necessario ex art. 366 nn. 3 e 6, cod. proc. civ., essere stata allegata nelle fasi di merito;
il connotato di novità determina l’inammissibilità del profilo di censura;
a ben vedere, peraltro, la censura è anche complessivamente aspecifica; il Tribunale ha constatato che E., con atto del 25 maggio 2010 ad effetti decorrenti il 10 luglio 2010, era stata incorporata per fusione in I., poi denominata I. (pagg. 3 e ss. della sentenza impugnata), e questo viene confermato anche nel ricorso concludendo che la legittimata passiva era da individuare in I. (pag. 8);
il Tribunale, riferendo delle allegazioni in appello dell’odierna ricorrente (pag. 3), aggiunge che il ramo di azienda “rifiuti” era stato conferito da I. a S., successivamente denominata I.E., con atto del 27 aprile 2010, ed effetto dal 10 luglio 2010;
parte ricorrente, invece, prosegue (pag. 9) ribadendo che «in difetto dell’originaria fusione» I.E. non poteva considerarsi cessionaria dei contratti, ma non spiega coerentemente a quale fusione si stia riferendo a questo punto, posto che, poco prima, aveva valorizzato quella del maggio 2010 per affermare diversa legittimazione passiva, senza coordinare tale ultima affermazione con l’altra (fatta a pag. 8), prima ricordata, della non meglio precisata fusione non attuata;
la stessa parte ricorrente, subito dopo (a pag. 10), afferma che il conferimento di ramo aziendale dell’aprile 2010 avrebbe riguardato solo il futuro, senza però riportare in ricorso i contenuti negoziali a supporto della potenziale decisività dell’allegazione, in violazione dell’art. 366 n. 6, cod. proc. civ.;
infine, la ricorrente afferma (a pag. 11) che nella scissione del 2014, cui fu interessata quale conferitaria del ramo in questione, al punto 9) non vi sarebbe riferimento alcuno al rapporto passivo di “IVA su TIA”;
ma il Tribunale, come richiamato in parte narrativa, ha osservato (pag. 5 della sentenza) che nel progetto di scissione parziale di I.E. s.p.a., a favore di I.A. s.p.a., allegato all’atto di scissione parziale del 2014, si legge del trasferimento non solo dei crediti e debiti già iscritti a bilancio («tra cui non potevano rientrare quelli, non ancora esistenti, di IVA su TIA») ma anche dei rapporti contrattuali sorti entro il 2009, quali quelli oggetto di giudizio: la censura, dunque, non si misura compiutamente e idoneamente con questo accertamento e rilievo, anche a tal riguardo mancando riportare in ricorso i necessari contenuti degli atti negoziali presupposti;
le altre censure, da esaminare congiuntamente per connessione, sono fondate limitatamente alle prestazioni a titolo di TIA2;
questa Corte, a Sezioni Unite, ha recentemente ribadito che la tariffa di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, come interpretata dall’art. 14, comma 33, del decreto-legge n. 78 del 2010, quale convertito, ha natura privatistica, ed è pertanto soggetta ad IVA ai sensi degli artt. 1, 3, 4, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass., Sez. U., 07/05/2020, n. 8631 e n. 8632);
è stato sottolineato che il legislatore ha legittimamente interpretato la disciplina della c.d. TIA 2, dettata dall’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, per impedire che tra le possibili varianti di senso si potesse propendere per la natura tributaria della tariffa, come, invece, era avvenuto, in epoca appena precedente, per la c.d. TIA 1;
in questa cornice, è stata rimarcato come un rilievo significativo vada assegnato al “diritto vivente” formatosi a cominciare da Cass. 21/06/2018, n. 16332, coeso nel ribadirne i principi, tutti convergenti nel senso della natura di corrispettivo della c.d. TIA 2 e, dunque, della qualificazione in termini di prelievo non tributario: nomofilachia consolidatasi con numerosissime pronunce quali quelle di Cass. n. 32250 del 2018, Cass., n. 4275 del 2019, Cass., n. 4876 del 2019, Cass., n. 14195 del 2019, Cass., n. 14753 del 2019, Cass., n. 15520 del 2019, Cass., n. 15529 del 2019, Cass., n. 16379 del 2019, Cass., n. 19296 del 2019, Cass., n. 19299 del 2019, Cass., n. 19329 del 2019, Cass., n. 19545 del 2019, Cass., n. 19544 del 2019, Cass., n. 23669 del 2019; l’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, dunque, a differenza dell’art. 49 del d.lgs n. 22 del 1997, individua il fatto generatore dell’obbligo di pagamento della c.d. TIA 2 nella produzione di rifiuti, ancorando il debito all’effettiva fruizione del servizio, e, al tempo stesso, diversamente dal passato, assegna natura di “corrispettivo” alla tariffa, parametrando l’entità del dovuto alla quantità e qualità dei rifiuti prodotti;
la natura privatistica della tariffa consente di ritenere il prelievo assoggettabile ad IVA ai sensi dell’art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ciò non trovando ostacolo nella circostanza che il pagamento della c.d. TIA2 (come quello della c.d. TIA 1) sia obbligatorio per legge, atteso che il citato art. 3 del d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che “le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere” costituiscono prestazioni di servizi (ai fini della assoggettabilità a IVA ex art. 1 del medesimo decreto) “quale ne sia la fonte”;
nella prospettiva dell’opzione legislativa è chiaro, dunque, che l’individuazione del costo con componenti predeterminate o accessorie è del tutto compatibile, trattandosi di contratti di massa, nella cornice dei quali trova idonea spiegazione anche la redistribuzione agevolativa dei costi con modalità che tengano conto, altresì, di indici reddituali;
l’approdo del “diritto vivente”, nei termini così delineati – che rendono armonica la configurazione privatistica della tariffa con l’inerenza di essa a un rapporto giuridico che registra la coincidenza tra soggetto tenuto al pagamento e soggetto beneficiario dell’attività di chi eroga il servizio (quale elemento che concorre a configurare quei reciproci obblighi come esplicativi di un rapporto sinallagmatico: cfr. sentenza n. 269 del 2017 del Giudice delle leggi) – ha trovato rispondenza nella più recente giurisprudenza costituzionale, richiamata dalle citate Sezioni Unite;
è stato così rammentato che con la sentenza n. 188 del 2018, la Consulta, nello scrutinare la legittimità di una legge regionale calabra (I.r. n. 11 del 2003) in tema di contributi di bonifica, e affrontando il problema della natura tributaria, o meno, del prelievo stesso, ha rammentato quale sia il perimetro entro il quale il legislatore statale può esercitare la sua discrezionalità in materia di politica fiscale rispetto, segnatamente, alla provvista di un servizio pubblico, essendo consentito prevedere o escludere che la prestazione patrimoniale imposta – “indipendentemente dalla qualificazione” della stessa – sia in “una relazione sinallagmatica con il servizio, seppur non in termini di stretta corrispettività”, così da conformare detta prestazione, rispettivamente, come canone o tariffa ovvero come tributo; la Corte costituzionale, quindi, ha messo in rilievo come il legislatore “può anche passare da un sistema basato sulla fiscalità di un contributo ad uno fondato sulla corrispettività di una tariffa o di un canone, come è avvenuto nell’ipotesi della tariffa di igiene ambientale, istituita con l’art. 49 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22 (attuazione delle direttiva 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio), inizialmente di natura tributaria (sentenza n. 238 del 2009 e, da ultimo, Corte di cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 10 aprile 2018, n. 8822), poi sostituita dalla tariffa per la gestione dei rifiuti urbani ex art. 238 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (norme in materia ambientale), prestazione patrimoniale ritenuta di natura non tributaria (Corte di cassazione, Sezione terza civile, ordinanza 21 giugno 2018, n. 16332), al pari della tariffa per il servizio di fognatura e depurazione (sentenza n. 335 del 2008)”; la menzione, sul punto, della sentenza della Consulta n. 188 del 2018, era stata già colta dalla sentenza n. 1839 del 27 gennaio 2020 delle medesime Sezioni Unite, che, nel riconoscere, in base all’art. 14, comma 33, del decreto legge n. 78 del 2010, quale convertito, la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie aventi per oggetto la debenza della tariffa integrata ambientale di cui all’art. 238 del d.lgs. n. 152 del 2006, ha inteso evidenziare – proprio alla luce della richiamata pronuncia del Giudice costituzionale – come le “scarne ed essenziali indicazioni” dell’art. 14, comma 33, “sottolineano la risolutezza delle formule utilizzate dal legislatore per il passaggio dal vecchio al nuovo sistema, disegnato dall’art. 238 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152”, in tale prospettiva venendo in rilievo, quali elementi di riconoscimento della natura propria della tariffa, la produzione dei rifiuti, la qualificazione del prelievo in termini di “corrispettivo” di un servizio (quello della “raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti solidi urbani”) e, quindi, la soppressione del tributo disciplinato dall’art. 49 del d.lgs. n. 22 del 1997;
queste considerazioni hanno indotto, quindi, a ritenere che la qualificazione della c.d. TIA 2 recata dall’art. 14, comma 3, del decreto-legge n. 78 non si sia esaurita in una “operazione meramente nominalistica”; sono stati quindi esclusi margini per poter apprezzare l’intervento legislativo d’interpretazione autentica come arbitrario e manifestamente lesivo del principio di ragionevolezza, tale da dare consistenza a un dubbio di legittimità costituzionale sulla disposizione anzidetta;
così come è stata riaffermata l’infondatezza di dubbi sulla conformità di un tale approdo alla disciplina eurounitaria (direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto);
quanto appena osservato e ciò che si sta per aggiungere, induce a escludere un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE;
per un verso, infatti, non esiste un vincolo, per gli Stati membri, a finanziare con una specifica modalità, anche in tesi tributaria, la gestione della raccolta dei rifiuti (Corte giust., 15/07/2009, causa 254/08); per altro verso, la Corte di giustizia ha ribadito (sentenza del 22 febbraio 2018, in causa C-182/17) che costituisce una prestazione di servizi fornita a titolo oneroso, soggetta all’imposta sul valore aggiunto, un’attività economica consistente nello svolgimento da parte di una società di determinati compiti pubblici in esecuzione di un contratto concluso tra tale società e, tipicamente, un Comune, rimarcando, in questa prospettiva, come la determinazione forfetaria del compenso non spezza di per sé il nesso tra prestazione e corrispettivo (punto n. 37), così come l’affidamento a una società di compiti pubblici, parimenti, non è logicamente decisivo per valutare lo svolgimento di prestazioni a titolo oneroso nella medesima cornice (punto n. 40) (cfr. Cass. n. 32250/2018 e Cass. n. 19299/2019, citate);
nella fattispecie in scrutinio risulta accertato dalla sentenza gravata che dal 2000 al 2009 il Comune di Parma ha applicato la TIA1, e, parimenti, è stato per implicito indicato che, successivamente, lo stesso ente locale ha provveduto ad adottare la TIA2, pur sostenendo il Tribunale che, con tale passaggio, non era cambiato il quadro normativo, posto che il Comune dal 2010 aveva sì mutato regime ma prendendo ancora e legittimamente a riferimento il d.P.R. n. 158 del 1999 valevole anche per la TIA1 (pagg. 6 e seguenti della sentenza);
la sentenza impugnata risulta quindi errata laddove non distingue tra TIA1 e TIA2 escludendo l’assoggettamento a IVA anche della seconda;
in conclusione, la sentenza va cassata per quanto di ragione;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo e terzo per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Parma perché, in diversa composizione, provveda anche sulle spese di legittimità.
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