CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 luglio 2021, n. 18865
Tributi – Accertamento – Reddito di impresa – Costo documentato da pro-forma di parcella regolarmente pagata – Deducibilità – Ricavi non dichiarati – Prova presuntiva – Finanziamento del legale rappresentate con denaro di provenienza ingiustificata
Fatti di causa
A seguito di verifica fiscale culminata in un PVC del 14 luglio 2010, l’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di V.G. s.r.l. un avviso di accertamento mediante il quale, in relazione all’anno di imposta 2005, contestava alcune irregolarità, consistite nella omessa contabilizzazione di sopravvenienze attive, nella indebita deduzione di costi, nella indebita deduzione di interessi passivi, nella indebita deduzione di costi non documentati, nella sussistenza di ricavi non dichiarati e nell’omesso versamento di importi IVA dovuti.
Il successivo ricorso della V.G. s.r.l. veniva parzialmente accolto dalla CTP di Brescia, avuto riguardo ai soli ricavi non dichiarati.
La contribuente avanzava successivo appello, al quale si affiancava il gravame incidentale della contribuente.
La CTR della Lombardia, in parziale accoglimento dell’appello della V.G. annullava l’avviso di accertamento con riferimento alla ripresa fiscale correlata alla contestata omessa contabilizzazione di sopravvenienze attive; in parziale accoglimento dell’appello incidentale dell’erario riduceva l’ammontare dei ricavi non dichiarati.
L’Agenzia ha avanzato ricorso per cassazione incentrato su due motivi. Ha resistito la contribuente mediante controricorso, spiegando altresì quattro censure incidentali.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso principale, l’Agenzia lamenta ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., il difetto di motivazione della sentenza d’appello, per avere la CTR seguito un itinerario argomentativo permeato da un insanabile contrasto tra le argomentazioni addotte e il decisum, per un verso, mettendo in risalto il finanziamento effettuato dal socio unico e legale rappresentante della contribuente adoperando somme di danaro di provenienza ingiustificata, per altro verso, riducendo l’importo della pretesa fiscale sulla base dei parametri OMI.
Con il secondo motivo di ricorso incidentale, si lamenta la nullità, ex art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., della sentenza per aver deciso su una questione non rilevabile d’ufficio, non dedotta dalle parti e non prospettata da esse, rappresentata dal riferimento ai dati OMI sul valore degli appartamenti di nuova costruzione.
Il primo motivo è fondato e va accolto, con assorbimento del secondo.
Nella sentenza d’appello consta un contrasto tra affermazioni inconciliabili.
Invero, per un verso, si evidenzia la correttezza dell’accertamento condotto dall’Ufficio, per altro verso si addiviene ad un’adesione acritica ai criteri astratti dell’OMI a supporto di una riduzione “meccanica” della pretesa fiscale.
In realtà, quotazioni dell’Osservatorio non costituiscono fonte tipica di prova, ma semplice strumento di ausilio ed indirizzo per un compiuto e indefettibile esercizio della potestà di valutazione estimativa, non avendo altra idoneità che quella di condurre ad indicazioni di valori di larga massima, di per sé inidonei, tanto a sorreggere l’accertamento fiscale (v. Cass. n. 24550 del 2020; Cass. n. 2155 del 2019), quanto a consentire – come accaduto nella specie – un ridimensionamento “forfettario” del credito tributario in assenza di altri elementi di matrice presuntiva idonei a giustificarlo in concreto.
La CTR, che pure dà atto della correttezza dell’operato dell’Ufficio nella parte in cui ha utilizzato quali “elemento di comprova della effettiva sussistenza di ricavi non dichiarati, il dato relativo al finanziamento” effettuato in favore della società dal suo legale rappresentante mediante somme di denaro di ignota provenienza; per altro verso, ad onta di somme riversate ad appannaggio dell’ente dal suo socio unito di provenienza in alcun modo giustificata”, mutua apoditticamente le risultanze OMI e alla loro stregua acriticamente riduce l’importo della pretesa tributaria. Ciò ancorché dette risultanze, da un lato, siano ovviamente idonee a far luce sulla fonte originaria degli importi oggetto di finanziamento, fonte che rimane oscura; dall’altro lato, non sottraggano la determinazione del valore commerciale effettivo degli immobili alla dinamica delle variazioni innescate in concreto da molteplici parametri (quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione del bene nello strumento urbanistico). Le quotazioni OMI, infatti, esibiscono un trend e devono essere valutate necessariamente nel contesto di un più ampio quadro indiziario dal quale si possa inferire il diverso valore di un immobile rispetto a quanto dichiarato nell’atto di trasferimento, a maggior ragione se si considera che i parametri in discorso costituiscono a loro volta il frutto di una rielaborazione tramite un procedimento inferenziale di dati eterogenei;
In definitiva, dalla premessa di un finanziamento di incerta origine vengono tratte dalla CTR, nel caso che occupa, conclusioni disallineate rispetto ad essa e di per sé assertive, posto che la CTR contraddittoriamente, da un lato, assume la pregnanza del dato relativo all’ingiustificata origine delle somme travasate dal socio unico nelle casse dell’ente, dall’altro lato, riduce la pretesa sulla scorta di un elemento astratto e statistico.
Venendo al controricorso, esso ha declinazione di ricorso incidentale ancorché non adoperi detta locuzione.
Un controricorso ben può valere come ricorso incidentale, ma, a tal fine, per il principio della strumentalità delle forme – secondo cui ciascun atto deve avere quel contenuto minimo sufficiente al raggiungimento dello scopo – occorre che esso contenga i requisiti prescritti dall’art. 371 c.p.c. in relazione ai precedenti artt. 365, 366 e 369 c.p.c. e, in particolare, la richiesta, anche implicita, di cassazione della sentenza, specificamente prevista dal n. 4 dell’art. 366 c.p.c. (Cass. n. 8873 del 2020; Cass., sez. un., n. 25045 del 2016).
Con il primo motivo del ricorso incidentale, si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 109, commi 1 e 5, TUIR, per avere la CTR ritenuto erroneamente l’imprescindibilità della fattura ai fini della deduzione dei costi relativi all’attività svolta dal geom. B..
Il motivo è fondato.
La CTR non revoca in dubbio in motivazione né che il costo sia stato sostenuto, né che esso sia inerente all’attività d’impresa; si limita, viceversa, a stimare imprescindibile, ai fini della deducibilità, che la parcella sia seguita dall’emissione della correlata fattura. In realtà, ai sensi dell’art. 75 TUIR (ora art. 109), ai fini della deducibilità è sufficiente che il costo sia certo, inerente, di competenza dell’esercizio e determinato nel suo ammontare, elementi che non risultano nel caso di specie, specificamente contestati in motivazione. L’esborso è sufficientemente giustificato dalla parcella “pro-forma” (o progetto di notula), in quanto benché non formalizzato in fattura, esso non risulta contraddetto dal giudice a quo con riferimento alla certezza e all’effettiva obiettività, oltre che alla sua concreta destinazione alla produzione.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale, si contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 110, comma 1, lett. B), TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto che gli interessi passivi sui prestiti contratti per la costruzione degli edifici, anziché essere resi oggetto di deduzione, dovessero essere inclusi fra le rimanenze finali, non essendo gli immobili ancora ultimati nel momento in cui gli stessi.
Il motivo è infondato.
Invero, la CTR ha correttamente rilevato che “non tutti gli immobili costruiti con il finanziamento a mezzo mutuo bancario risultavano venduti”, traendone la conseguenza per cui “la società avrebbe dovuto iscrivere tra le rimanenze finali gli interessi passivi per la quota non imputabile agli immobili venduti nel 2005”, anziché indebitamente sottrarli alla tassazione.
Costituisce circostanza pacifica che l’oggetto dell’attività della società contribuente è costituito dalla produzione e dallo scambio di immobili, sicché quest’ultimi vanno considerati quali “beni-merce” e la determinazione dei ricavi di vendita degli stessi avviene in base all’art. 53 d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 e con le modalità previste per la produzione e la compravendita di merci, e quindi secondo il criterio “a costi, ricavi e rimanenze”.
Lo schema argomentativo seguito dal giudice regionale, avuto riguardo agli interessi passivi summenzionati, è condivisibile in quanto intonato al principio di competenza, che infatti postula che i costi sostenuti per i beni-merce (nella specie, gli immobili costruiti, ma ancora invenduti) sono suscettibili d’essere dedotti solo nel momento in cui si verifica il disinvestimento o ricavo. Trattasi, infatti, di un “costo sospeso”, che va “neutralizzato” ai fini della formazione del reddito del periodo, fino a quando i beni diventano produttivi di ricavi per effetto della effettiva cessione. In tal senso, gli interessi correlati al mutuo bancario contratto in funzione della costruzione degli immobili non alienati costituivano altrettante rimanenze finali di esercizio, assurgendo a rimanenze iniziali di quello immediatamente successivo.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale, si contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 110, comma 1, lett. B), TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto indebita deduzione dei costi pari a euro 29.643,75, in quanto non documentati.
Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
La CTR evidenzia testualmente che “contrariamente a quanto eccepito dalla società appellante, dal processo verbale di constatazione non risulta alcuna documentazione idonea ad attestare la sussistenza dei requisiti di deducibilità”. Ad onta di detta statuizione, la ricorrente si limita a contrapporre in maniera apodittica una deduzione in antitesi; in particolare, senza riportare in parte qua il pvc, né altra documentazione dalla quale la deducibilità dei costi sarebbe evincibile, si è limitata a sottolineare come l’Ufficio avesse a disposizione “tutti gli elementi relativi”.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale, si adombra la violazione o falsa applicazione dell’art. 110, comma 1, lett. B), TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c., per avere la CTR erroneamente ritenuto di rideterminare i ricavi non dichiarati sulla base dei dati dell’OMI.
Il mezzo è assorbito dall’accoglimento del primo motivo del ricorso principale.
La sentenza d’appello va, in ultima analisi, cassata e la causa rinviata per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il secondo; accoglie il primo motivo dell’incidentale, rigetta il secondo motivo e terzo e dichiara assorbito il quarto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia per un nuovo esame e per la regolazione delle spese del giudizio, alla CTR della Lombardia, in diversa composizione.
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